A Midelt con Amal per incontrare il monaco sopravvissuto

Amal – ragazza marocchina che vive in Liguria, a Sestri Levante, dove fa la mediatrice culturale in ospedale – racconta una visita a Midelt, in Marocco, al monaco trappista francese Jean-Pierre, l’ultimo ancora vivente dei due monaci di Thibérine (Algeria) sopravvissuti alla strage del 1996. La visita è avvenuta a fine agosto 2012, organizzata da lei, musulmana, per accompagnare a quell’incontro i suoi amici cristiani della parrocchia ligure che frequenta al fine – dice lei – di “conoscere la fede cristiana (è laureata in Teologia islamica) e di far conoscere la fede musulmana”.

Midelt è un villaggio bello ma molto semplice, si trova in mezzo alle montagne dell’Atlas. I suoi abitanti sono berberi, molto lontani dalle comodità che può dare una città. Dopo aver visto il film “Uomini di dio”, che racconta la storia dei 7 monaci trappisti uccisi in Algeria nel 1996, ho tanto desiderato conoscere la vita dei monaci in una terra musulmana, specialmente nella mia terra dove sono nata e cresciuta, il Marocco.

Finalmente é arrivato il giorno da me tanto aspettato, come pure dai miei amici italiani, venuti con me in Marocco per conoscere il mio paese e anche la realtà dei pochi cristiani in esso presenti. Ci siamo svegliati al mattino presto, si sentiva una brezza fresca di montagna; arrivati davanti al monastero, ci ha accolto con tanto entusiasmo il priore ed é rimasto un po’ a parlare con noi della sua esperienza fatta lì e del suo rapporto molto positivo con la gente del posto .

Dopo qualche minuto é arrivato frère Jean-Pierre, l’ultimo vivente dei due monaci sopravvissuti alla tragedia dell’Algeria: é una persona anziana, indossava un vestito molto semplice che assomiglia tanto a quello che indossa la gente di campagna in Marocco. Ci ha accolto con gioia e ci ha invitato a partecipare alla Messa della comunità, nella chiesa del loro monastero, molto diversa dalle chiese che ho visto in Italia.

Mentre i monaci celebravano la messa in francese, a un certo punto, ho alzato gli occhi dicendo: cosa stanno dicendo? questo non é francese! questo é arabo! dopo aver elaborato quella sensazione strana, ho capito che erano la preghiera del Padre nostro e del Sanctus, recitate in arabo! Questa cosa mi é piaciuta tantissimo, perché mi ha fatto sentire e capire che i monaci, pregando anche in lingua araba, fanno proprio parte del popolo marocchino.

Dopo la messa abbiamo conosciuto delle suore che collaborano con il monastero, molto simpatiche, con le quali abbiamo chiacchierato anche in arabo; poi abbiamo condiviso la colazione con alcuni ospiti del monastero. Alle 9:00 ci hanno raggiunto gli altri amici del gruppo rimasti in albergo e abbiamo fatto l’incontro con il monaco: eravamo seduti in una stanza di stile marocchino a sentire il racconto che frère Jean-Pierre ci faceva degli anni vissuti a Thibérine.

Lo guardavo con molta attenzione, seguivo i suoi occhi che brillavano così tanto e la dolcezza della sua voce che mi riempiva d’amore. Parlava della sua vita in Algeria con tanta speranza di poter ritornarci un giorno. Quella vita all’inizio non era facile per la tanta diversità tra i monaci e la gente del posto: ma, negli anni, quella diversità é poi diventata ricchezza che li ha aiutati a portare avanti una vita insieme, piena di condivisione e di gioie, fino al punto di poter condividere momenti di preghiera e di fraternità con i loro fratelli musulmani “sufi”. A questo proposito il monaco Jean-Pierre ci ha fatto l’esempio delle due scale unite: i cristiani e i musulmani, più si avvicinano a Dio salendo i gradini ciascuno della propria scala, più tendono a incontrarsi in un solo punto che li unisce, in cima alle scale, dove trovano ciascuno l’unico Dio, il nostro creatore, dal quale tutti noi abbiamo ricevuto amore.

Nel loro cammino, la loro vita é però cambiata, perché nel paese ci sono state delle rivoluzioni, anche contro l’esistenza degli stranieri in Algeria, fino al punto in cui sono iniziate le visite dei ribelli al monastero: ci ha raccontato le paure dei monaci, la capacità del priore frère Christian di dialogare con i ribelli per mandarli via, le loro incertezze di fronte alla scelta di rimanere o di lasciare il paese, fino alla decisione presa all’unanimità di restare, nel bene o nel male, con la loro gente. Perché credevano, come i musulmani, che la vita si dà per la propria gente e il proprio paese, perché per loro l’Algeria era divenuto il loro paese…

Ora il cammino della comunità dell’Algeria, così decimata dalla violenza omicida, continua, grazie a frère Jean-Pierre, nel monastero di Midelt, in una terra che assomiglia tanto a Thibérine… Dopo averlo ringraziato di cuore per le due ore molto intense che ci ha regalato, ci siamo lasciati con il desiderio di poterci incontrare un’altra volta. Grazie per questa esperienza! Amal

 

Ho conosciuto Amal in occasione di una conferenza a Barbagelata, Genova. Il racconto della visita a Midelt l’ha scritto su mia richiesta. Nel mio blog, dopo quel primo incontro, avevo narrato la sua avventurosa venuta in Italia: “Mi chiamo Amal e sono arrivata da clandestina”.

 

 

[Ottobre 2012]

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