Ero a Loreto con Papa Giovanni mezzo secolo fa

Pubblicato da LIBRAL il 5 ottobre 2012 alle pagine 14 e 15

con il titolo “Sfida sul Concilio”

 

Ero nella piazza del Santuario di Loreto quando vi andò Papa Giovanni mezzo secolo fa e ieri ho seguito con ripetuti soprassalti di memoria la diretta di Rai1 per la visita di Papa Benedetto: allora si apriva il Concilio e tutti guardavano in avanti, ora si guarda – un poco avanti e molto indietro – all’eredità del Vaticano II e c’è forte disputa su di essa. Non manca chi è tentato di tornare a prima del Concilio e chi afferma che le cose sono andate storte perché il Concilio è stato tradito.

La grande maggioranza dei cattolici praticanti ha ovviamente sentimenti più equanimi e sa – o intuisce – che Papa Benedetto è stato eletto anche a motivo della disputa sul Vaticano II: per ricondurla a unità, come già Paolo VI era stato eletto per condurre nell’unità i lavori del Concilio. Si tratta dunque di aiutarlo nell’impresa e i primi che ne intralciano l’opera sono i militanti delle due ali che tendono ad accentuare la polarizzazione interna alla Chiesa.

Ieri il Papa teologo non è entrato nella disputa e forse si riserva di farlo in uno dei prossimi appuntamenti: poniamo quando aprirà in San Pietro l’11 prossimo – giorno anniversario dell’avvio del Vaticano II – l’Anno della Fede e il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, da lui indetti nel cinquantenario del Concilio e mirati a un fattivo recupero della sua eredità.

Benedetto a Loreto non ha detto nulla dell’eredità del Vaticano II ma ha fatto sua e ripetuto per intero la preghiera che in quel santuario aveva proposto Papa Giovanni – il “beato” Papa Giovanni – e che termina con queste parole piene di slancio, com’era tipico del suo animo: “Per la vostra materna intercessione, negli anni e nei secoli futuri si possa dire che la grazia di Dio ha prevenuto, accompagnato e coronato il ventunesimo Concilio Ecumenico, infondendo nei figli tutti della Santa Chiesa nuovo fervore, slancio di generosità, fermezza di propositi”.

Questa riproposizione della preghiera del “Papa buono” da parte del Papa teologo è dettata da una trepida intenzione: Roncalli con quelle parole invocava l’aiuto della Vergine per il Concilio che si doveva fare e invitava a guardare lontano nel tempo, verso “gli anni e i secoli venturi”, perchè in essi potesse essere riconosciuto il buon esito dei lavori conciliari; Ratzinger torna a invocare quell’aiuto, a mezzo secolo di distanza, perché nuovamente i “figli tutti della Santa Chiesa” abbiano la possibilità di ritrovarsi nelle grandi intenzioni dell’impresa conciliare e sappiano trarne “nuovo fervore”.

Non conviene ormai a nessuno – io credo – fare finta che l’accoglienza e messa in opera delle delibere conciliari non abbiano incontrato ostacoli interni ed esterni alla Chiesa. All’esterno vi è stata una rapida disaffezione rispetto a quell’avvio di “dialogo” nel quale i padri conciliari avevano riposto tanta fiducia. L’ostilità e l’irrisione sono presto tornate a prendere il posto del primo moto di interesse durato lo spazio di un mattino: neanche un decennio, se vogliamo stabilire dei tempi. Dall’annuncio del Concilio, che è del gennaio del 1959, alla primavera del 1968.

All’intero della Chiesa la gelata fu ancora più rapida: la contestazione delle avanguardie e quella dei tradizionalisti sono arrivate prima delle grandinate secolari. I Padri erano appena tornati da Roma alle proprie cattedrali che già si stilavano gli opposti elenchi delle doglianze: si è fatto questo che non si doveva, non si è fatto quest’altro che si sarebbe dovuto.

Papa Benedetto che porta – “mite e fermo”, come ha invocato più volte di voler essere e restare – il peso della ricomposizione di questo conflitto, una volta, il 22 dicembre del 2005, l’ha delineato così, in un testo chiave del suo governo pontificale: “I problemi della recezione [del Vaticano II] sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro (…). Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare ‘ermeneutica della discontinuità e della rottura’ (…). Dall’altra parte c’è l’ ‘ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”.

Questo discorso del Papa tedesco è uno dei più citati ma raramente viene messo in risalto l’uso che in esso è fatto della parola riforma: “ermeneutica della riforma”. In bocca a un Papa tedesco la parola RIFORMA non può non avere un significato pieno, e anche simbolico, perché per un tedesco la “riforma” è per antonomasia quella di Lutero e Calvino. In nessun modo dunque egli sminuisce la portata del Concilio se lo considera portatore di un “rinnovamento” che merita il nome di “riforma”.

Il punto chiave del Concilio come “riforma senza rottura” è stato discusso ieri sera in un programma di Rai3 dedicato ai “50 anni dal Concilio”, elaborato dall’équipe della Grande Storia. Molti gli ospiti del programma, tra i quali in posizione principe il padre Federico Lombardi, portavoce di Papa Benedetto. Ma si può immaginare che ad attirare l’attenzione degli spettatori siano stati due spezzoni di interviste di archivio, totalmente inedite, sia in video sia per trascrizione, una del 1977 all’arcivescovo Ratzinger appena nominato a Monaco e un’altra del 2009 al cardinale Martini.

Ogni concilio – dice in quel colloquio il cardinale Joseph Ratzinger – è quasi come un intervento chirurgico, in quanto si manifesta innanzitutto come una scossa dell’organismo e come un pericolo. È incontestabile che dopo il Concilio si siano verificate situazioni di crisi, da cui derivano difficoltà e impegni, che solo così possono essere affrontati. Proprio tramite il venire a galla della crisi, si risvegliano forze salutari che possono condurre al rinnovamento”.

Una visione dunque drammatica dell’evento conciliare e della stagione che l’ha seguito, tale certamente da sconsigliare – per oggi e per il prevedibile futuro – altre imprese conciliari. Ben diverso il sentimento del cardinale Carlo Maria Martini, pieno di fiducia nelle risorse dell’evento Concilio: “Auspicherei che vi fosse, ogni venti anni diciamo, un Concilio e questo lo vedo tanto più necessario oggi perché i pastori della Chiesa possano confrontare i loro linguaggi e quindi ascoltarsi, conoscersi, fare amicizia, questo avviene in un Concilio. E bisognerebbe fare in modo che questo Concilio avesse un tema solo. Perché se ha tutti i temi come il Vaticano II allora non si andrà molto avanti. Ma prendere un tema per volta e trattarlo nel Concilio, uno o due, potrebbe portare frutto nella Chiesa”.

In attesa che maturino le circostanze che rendano praticabile il “sogno” martiniano, conviene affidarsi alla paziente opera di ricucitura che è stata affidata a Papa Benedetto, molto simile a quella che a suo tempo era stata posta nella mani di Papa Paolo.

Dicevo sopra che ero nella piazza del Santuario di Loreto il 4 ottobre 1962 quando ci andò Papa Giovanni: avevo 18 anni ed ero lì non per la smania di fare il giornalista ma perché abitavo a sette chilometri, essendo nato a Recanati. Fu la mia prima “folla papale” e in due momenti ebbi paura di restarne schiacciato: quando arrivò nella piazza la Mercedes 300 con il Papa a bordo e quando Giovanni entrò in Basilica e tutti si figurarono di seguirlo.

Era la prima volta da oltre un secolo che un Papa usciva dal Lazio e lo Stato italiano si adoperò ad accoglierlo in pompa magna. Giovanni fece il viaggio in treno, con un convoglio messo a disposizione dal Quirinale: Amintore Fanfani, che era a capo del primo governo di Centrosinistra (quello con l’appoggio esterno dei socialisti), viaggiò con il Papa; il Presidente della Repubblica Antonio Segni lo accolse a Loreto; ad Assisi lo aspettava Aldo Moro, segretario della Dc.

Allora i treni erano lenti, niente Alta Velocità e quando si viaggiava si facevano alzatacce: il treno del Papa – con la motrice a vapore e il bel pennacchio di fumo che si buttava alle spalle, un po’ come le comete dei presepi – si era mosso alle 6,30 dalla Stazione Vaticana ed era arrivato alla stazione di Loreto poco prima di mezzogiorno.

Felice come un ragazzo in gita, il Papa ottantenne non si stancava di affacciarsi alla finestra del treno, ridente e benedicente. Egli era già malato di tumore allo stomaco ma quel sorriso, quella festa di un uomo che risponde alla festa di un popolo non la dimenticheremo. Resta come l’immagine simbolo della primavera del Concilio.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Commento

  1. […] Ero nella piazza del Santuario di Loreto quando vi andò Papa Giovanni mezzo secolo fa e ieri ho seguito con qualche soprassalto di memoria la diretta di Rai1 per la visita di Papa Benedetto: allora si apriva il Concilio e tutti guardavano in avanti, ora si guarda – un poco avanti e molto indietro – all’eredità del Vaticano II e c’è forte disputa su di essa. Non manca chi è tentato di tornare a prima del Concilio e chi afferma che le cose sono andate storte perché il Concilio è stato tradito. La grande maggioranza dei cattolici praticanti ha ovviamente sentimenti più equanimi e sa – o intuisce – che Papa Benedetto è stato eletto anche a motivo della disputa sul Vaticano II: per ricondurla a unità, come già Paolo VI era stato eletto per condurre nell’unità i lavori del Concilio. Si tratta dunque di aiutarlo nell’impresa e i primi che ne intralciano l’opera sono i militanti delle due ali che tendono ad accentuare la polarizzazione interna alla Chiesa. – E’ il salomonico avvio di un mio articolo pubblicato oggi dal quotidiano LIBERAL alle pp. 14 e 15 con il titolo SFIDA SUL CONCILIO. […]

    5 Ottobre, 2012 - 21:55

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