Il pastore mite. In memoria del vescovo Egger

Ringrazio particolarmente mio fratello gemello Kurt”: così è scritto nel testamento del vescovo Wilhelm Egger, che un infarto ci ha rubato il 16 agosto. Un poco lo conoscevo e meglio conosco il fratello e so qualcosa – a motivo degli incontri che ho avuto con l’uno e l’altro a Bressanone durante la vacanza del papa, tra il 28 luglio e l’11 agosto – di quel loro essere gemelli: che ne sia stato da piccoli, quando restarono soli a nove anni e furono presi in casa da una zia e come siano cresciuti insieme, lieti di ciò e legatissimi, fino a condividere la chiamata a farsi cappuccini e – ancora dopo – il tutto della vita.

Ringrazio mio fratello
Ho deciso di parlare qui di Wilhelm quando ho letto quella frase rivolta al gemello: ringrazio mio fratello e nient’altro, tanta era la sua discrezione. Anzi: ringrazio particolarmente. Importanza di un avverbio. Mi sono detto: so qualcosa e qualcosa debbo dire perché quell’indole tanto riservata non impedisca di cogliere quello che è stato.
Leggo ancora nel testamento: “Ricordo con gratitudine insieme ai miei genitori la signora Maria Gogl-Egger, che per me e mio fratello ha preso il posto dei genitori”. Sono stato insieme a mia moglie sulla tomba di Maria, nel cimitero di Vipiteno, guidato là – come al luogo più caro – dal padre Kurt, appena una settimana prima della morte di Wilhelm.
Prima della gita Kurt ci aveva condotti a un bar per un caffè insieme al fratello vescovo: e si prendevano in giro e motteggiavano a gara. Ho capito che quand’erano insieme tornavano ragazzi. E neanche provo a immaginare che taglio nella carne sia stato per Kurt l’improvviso distacco da Wilhelm. E che cosa abbia visto in quella notte della morte, vegliandolo fino all’alba.
Perfettamente uguali, Kurt e Wilhelm, ma il vescovo aveva la barba e l’altro no. C’è una bella foto dei due che concelebrano a Vipiteno per il 65° compleanno, dunque nel 2005: ambedue ridenti e quieti, il vescovo con mitria e pastorale, Kurt con un briciolo di birbanteria nella piega della bocca.
Amici di posta elettronica da sei anni a motivo di questa rubrica, Kurt e io finalmente ci abbracciammo quel giorno e subito mi disse “andiamo a salutare il vescovo”. Wilhelm l’avevo conosciuto in occasione di una mia conferenza a Bolzano e poi salutato le tante volte alle assemblee della CEI: era vescovo da 22 anni.

Cristianesimo e modernità: un incontro felice
Mentre camminavamo verso un bar veniva fermato da passanti che gli chiedevano di essere portati dal papa e a tutti rispondeva che il suo compito era “garantire il riposo del Santo Padre”. Mi disse: “Dovrebbe intervistare quella coppia di coniugi: hanno preso qui una camera in albergo e stazionano per questa via in attesa che il papa esca a passeggio, incredibile!
Era così viva la sua conversazione ed egli appariva così mitemente contento d’avere il papa in casa e di partecipare in ottobre al Sinodo sulla Parola di Dio come segretario speciale. Ogni mattina alle 10 era in Sala stampa sempre cortese con ogni collega che lo volesse intervistare, e appena protestava per qualche articolo “prevenuto” che insisteva sulla famosa “rana crocifissa”: “Ci sono testate che vogliono mostrare a ogni costo che la gente di qui è arretrata: sono venuti con questa idea e devono tirarla fuori a proposito e a sproposito. D’altra parte si è capito che ben difficilmente l’iniziativa del Museo potrebbe essere ritirata. E’ dunque un caso che chiede a me molta prudenza”. E com’era felice quando il papa aveva parlato – l’8 agosto – di un felice “incontro”, in Alto Adige, “tra le radici cristiane e lo spirito della modernità”.
Una conversazione più ampia con lui l’ebbi il 29 luglio, dopo una sua conferenza stampa all’indomani dell’arrivo del papa a Bressanone. Aveva riferito di aver parlato al papa – nell’ora passata con lui in automobile, dall’aeroporto di Bolzano a Bressanone – “anche delle ombre della diocesi”: il caso di un prete accusato di pedofilia da una donna, assolto in primo grado e condannato in appello; la “rana crocifissa” di Martin Kippenberger “che qui ha provocato una mezza rivoluzione”; la crisi delle vocazioni.
Sulla rana egli aveva scritto una nota di pacata disapprovazione quando la mostra era stata inaugurata e poi non era più intervenuto. Riferendo a noi giornalisti di averne parlato con il papa non volle dirne la reazione e non approfittò della nostra presenza per una nuova deplorazione. Era per questo accusato di debolezza: un poco come oggi il cardinale Dionigi Tettamanzi è giudicato debole da Giuliano Ferrara per il caso Englaro.

Parlo serenamente, senza alzare la voce
Egger era abituato a quell’accusa. Ecco come l’aveva commentata in un’intervista al settimanale diocesano Il Segno nel ventesimo di episcopato (2006): “Credo di aver sempre preso posizione sui grandi temi di attualità, solo che parlo sempre in modo sereno e non intervengo mai quando la polemica è al massimo perché non voglio alzare la voce”.
Undici giorni dopo la sua morte una delibera del Consiglio di amministrazione del Museo di Bolzano che esponeva la rana ha deciso con sei voti contro tre di tenerla al suo posto, nonostante le marce, i digiuni e il coinvolgimento del papa da parte del presidente del Consiglio regionale Franz Pahl, che rese pubblica il 27 agosto – alla vigilia del voto – una lettera di riscontro a una sua, inviata dalla Segreteria di Stato vaticana il 7 agosto. Ora si può valutare appieno la caratura della “prudenza” dimostrata dal vescovo: che vantaggio si sarebbe ottenuto se egli avesse coinvolto il papa e avesse fornito ai media l’argomento per convalidare l’idea che “la gente di qui è arretrata”?
Interrogato da me – in quella conferenza stampa – sulla sua nomina a segretario speciale del Sinodo, aveva detto che in visita ad limina si era sentito chiedere dal papa, che lo conosceva per i precedenti soggiorni a Bressanone, se avrebbe partecipato – egli, vescovo biblista – al Sinodo sulla “Parola di Dio” e aveva risposto che dipendeva dal voto dell’assemblea della CEI.
Ma in assemblea Egger non fu eletto ed ecco che il papa lo recuperò chiamandolo a quell’incarico. Dopo la conferenza stampa mi chiese: “Lei che è vaticanista, mi sa dire con quali criteri vengono scelti in assemblea i delegati al Sinodo?” Mite sì, dunque, ma non ingenuo.
“Sono contento di questa nomina”, aveva detto in pubblico a conclusione della risposta alla mia domanda: “potrò dare un contributo – spero – sull’argomento che conosco meglio”. Disse anche che in Italia si era fatto un buon lavoro su questo argomentò e citò come “un testo ancora valido” la relazione all’assemblea della CEI del 1997 del vescovo Lorenzo Chiarinelli sulla “situazione della pastorale biblica nell’attuale contesto religioso e culturale”: vedila nel volumetto Elle Di Ci La Bibbia nel magistero dei vescovi italiani, 1997, dov’è riportata insieme all’altra relazione tenuta nella stessa assemblea dal cardinale Martini: Proposte di pastorale biblica per un incontro vivo con Gesù Cristo. Aggiunse che guardava al cardinale Martini come al suo “maestro” nella lectio divina.

I bambini soli e la fraternità
Ero partito accennando alla gita in auto da Bressanone a Vipiteno in compagnia del padre Kurt con visita al cimitero e preghiera sulla tomba della zia Maria. Ci fece visitare la bella Vipiteno con la svelta torre in capo alla via centrale e ci mostrò con la giusta soddisfazione il banco della parrocchiale – la luminosa Santa Maria – dove da chierichetto aveva inciso le proprie iniziali.
In macchina Kurt lodò molto il coraggio della zia: “Appena entrammo nella sua casa prendemmo dei fascicoli di una rivista che erano su una sedia, ne facemmo trombette e ci mettemmo a correre per la casa con il maggiore strepito: povera donna, avrà pensato che sarebbero stati dolori con quei due!”
Era il 1949. La zia – che viveva sola – aveva difficoltà a sfamare i gemelli e c’era chi suggeriva di divederli tra i parenti: “Ma lei non volle dividerci e questo è il dono più grande che ci fece”. Altra riflessione a proposito dei bambini che restano soli: “Molto, quasi tutto, dipende dalle persone che sono intorno ai piccoli orfani. Noi avemmo la fortuna di quella mamma adottiva e la nostra vita rifiorì”.
La bella fraternità dei gemelli Egger l’avvertivo dalle battute – sempre rispettose e libere – con cui l’uno si riferiva all’altro. Quando dissi al telefono al padre Kurt che noi giornalisti avevamo avuto una conferenza stampa del vescovo mi chiese: “Che cosa ha detto sua eccellenza?” Il giorno dopo la gita a Vipiteno il vescovo domandò: “Che cosa vi ha mostrato il padre Kurt?” Indicai i posti e le iniziali sul banco osservando che non avevamo trovato le “sue” iniziali e lui: “Io ero un poco più disciplinato”. Kurt invece quella differenza la indicava così: “Mio fratello è straordinariamente mite e secondo me qualche volta non sa difendersi”.
Forse qui dovrei dire qualcosa del carisma francescano com’era interpretato da questo vescovo “tanto erudito quanto amabile e pio”, come l’ha scritto il papa nella lettera alla diocesi. Mi accontento di una battuta del segretario don Thomas: “Era felice anche per le più piccole cose, come le verdure che arrivavano dal nostro orto o come il pane fatto in casa dalla signora Rosa”.
Per un profilo del vescovo Egger bisognerebbe ricordare le pubblicazioni bibliche e pastorali, l’azione per la convivenza tra le tre popolazioni, l’attenzione ai divorziati risposati, la compassione per i bisognosi. Ma questo non è un profilo e concludo con un’istantanea di una sua celebrazione dell’Eucarestia, il 10 agosto, nella piazza del Duomo di Bressanone, in attesa dell’angelus del papa: un rito in tre lingue (tedesco, italiano e ladino), a cui il vescovo riusciva a conferire lentezza e concentrazione. I suoi gesti attiravano il silenzio della folla.

Luigi Accattoli
Da Il Regno 16/2008

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