Elvira Ameglio: «Ho visto il Signore ma parlava piano»

La comunità di Bose conosce il volto della morte, la prima volta, nel luglio del 1985. Ed è un’autentica celebrazione ecclesiale dell’addio a una donna anziana: Elvira Ameglio, di 86 anni, detta Etta, che la primavera precedente era stata accolta dalla comunità con un’amica, Cocco di 84 anni. Ecco il racconto che ne fa il “Qiqajon di Bose”, cioè il bollettino della comunità, n.17, Quaresima 1986.

 

Da quasi quattro mesi Etta era con Cocco ospite della nostra comunità: era venuta per farsi curare e per morire in pace. Lei stessa l’aveva chiesto perché disse “di sentirsi morire”, non potendo più respirare a causa di una pleurite che le aveva riempito di acqua il polmone sinistro. A Bose Etta, curata quotidianamente dal medico Mauro, era felice, si sentiva piena di vita manifestando più volte la sua paura di morire e il suo desiderio di vivere.

Domenica 14 luglio durante i vespri, Enzo è rimasto solo con lei e le ha svelato che il male era grave, ma lei aveva già capito che un tumore era presente tra lo stomaco e i polmoni. Cominciò allora con serenità a prepararsi alla morte. Il 23 luglio i segni erano chiari e Enzo le disse se voleva l’estrema unzione e la Santa Eucarestia come viatico verso il Regno. Lei disse di sì e alle 9,30 tutta la comunità era in preghiera in cappella mentre alcuni con Cocco, Maria, Enzo, Giancarlo, erano attorno a lei per la celebrazione dei santi sacramenti. Etta rispose con forza a tutte le invocazioni del presbitero, disse con voce ardente il Kyrie eleison e il Padre nostro, ricevette la Santa Unzione e la Santa Eucarestia. Poi disse: “Sono contenta, sì, sì, molto contenta”. A Maria diceva ancora: “Ogni giorno di questa settimana mi sembra domenica, perché Maria?” Alle 13 disse a Enzo: “Dì alla comunità che voglio bene a tutti, a tutti e tu sta’ vicino a Cocco”. Il giorno 24 alle 18,30 tutti i fratelli e le sorelle della comunità sono saliti in camera per farle gli auguri e ricevere con lei la Santa Eucarestia: quel giorno compiva 86 anni. Sorrideva a tutti e dopo la comunione a tutti offrì dei cioccolatini. Il 26 alle 18 si risvegliò dopo aver dormito qualche ora e mentre molti erano attorno al letto disse: “Ho fatto un bel sogno: ero in Paradiso e c’erano i santi, gli angeli, i troni, le dominazioni, le potestà…”. Enzo le disse: “Hai visto il Signore e cosa ti ha detto?” “Sì l’ho visto, ma parlava piano” e Cocco sovrapponendosi con la sua voce disse: “Ma non si può dire quel che dice il Signore!” Fu questo il suo ultimo discorso.

Sabato 27 luglio alle 10 vedendo che peggiorava Enzo iniziò, con la comunità accanto al letto, le preghiere della buona morte, secondo l’antico rito. Si lessero anche i discorsi di addio dell’Evangelo secondo Giovanni e i Salmi 142 e 143. Poi all’ora dell’Ufficio e di pranzo Etta disse a Enzo: “Vai a fare i tuoi doveri. Non muoio ancora, vai!” Alle 18,30 ancora tutta la comunità era accanto per terminare il rito della morte cristiana. Pregato il Salmo 51 e le litanie dei Santi, Enzo disse: “Parti anima cristiana nel nome del Padre che ti ha creata, nel nome del Figlio che ti ha redenta, nel nome dello Spirito Santo che ti ha santificata”. Etta apriva gli occhi, ma non poteva più parlare. Subito dopo, alle 18,55 mentre suonavano le campane dei Primi Vespri della domenica Etta passava da questo mondo al Padre nella pace e nella serenità umana e cristiana.

 

Etta (1899-1985) era vissuta nel Monferrato, facendo la maestra elementare per quasi sessant’anni in un piccolo paese. Si era presa cura, insieme a Cocco, di Enzo Bianchi (il fondatore della comunità di Bose), la cui mamma era morta a trent’anni, nel 1951, quando lui ne aveva otto. Enzo ha raccontato la morte della mamma, nel volume Vivere la morte, alle pp. 262 e 263, mutando il proprio nome in Giovanni, per non attirare l’attenzione su di sé. Ecco il passo importante di quel racconto, intitolato Una cristiana di tutti i giorni, che riferisce le ultime parole della mamma, malata di cuore, la quale giunta la sua ora chiama accanto a sé il marito non credente e spazzacamino, il figlio e una vicina di casa, che era Cocco, ma che avrebbe potuto essere Etta perché già le due donne collaboravano nell’aiuto alla famiglia di Enzo.

 

Angela, alzando a fatica la mano, la pose sul collo di Giovanni. Sembrava piena di forza, la sua voce era ferma e sicura. Disse al marito: “Pinen, mi prometti di far studiare tuo figlio e di lasciarlo andare in chiesa ed essere cristiano come me?” Sta’ tranquilla” rispose il marito. Angela soggiunse: “Non voglio che faccia un mestiere pericoloso come il tuo”. Poi disse alla vicina di casa: “Lo aiuterai a essere cristiano, a crescere bene?” “Sì, sta’ tranquilla!” rispose la donna vicina di casa.

Poi Angela guardò Giovanni e, nascondendo ogni pena e carezzandogli la testa, disse ancora: “Tuo papà è giovane, tu lascerai che si sposi. Un uomo da solo, senza una donna finisce male e diventa una ‘lingera’ (uno straccione). Tu stai buono! Io di là farò più di quanto abbia potuto fare di qui per te. Il Signore ti tenga sempre una mano sulla testa. Abbracciami e salutiamoci, ci vedremo di nuovo!”.

 

Ecco dunque Enzo che – trentaquattro anni dopo – accompagna all’ultimo passo una delle donne alle quali era stato affidato dalla mamma morente. Quanto destino è contenuto nelle ultime parole di una madre.

 

Il caso di Elvira Ameglio l’ho letto sul “Qiqajon di Bose” n.17, Quaresima 1986 e più tardi l’ho trovato nella terza edizione del volume di Enzo Bianchi “Vivere la morte”, Gribaudi, Torino 1992 (pp. 306 e 307). Sono stato a Bose tante volte, ad accompagnare e riprendere i miei figli che partecipavano ai corsi estivi. Una volta, dopo un grave lutto, sono stato ospite della comunità con tutti i figli per una settimana. Amo Enzo come un fratello, una volta fui medicato a un dito dal medico Mauro, ho mangiato e scherzato con Maria e gli altri personaggi che sono citati nella storia: a quella morte comunitaria è come se fossi stato presente. E se mi chiedete che c’è di grande in quella morte, o in quella della mamma di Enzo, io dico “tutto”: sono due morti cristiane. C’è la consapevolezza, la speranza nella resurrezione, la Chiesa che accompagna. Non ci può essere nulla di più altrove.

 

[1995]

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