Anch’io – come Levi – sto con i romeni

“Provo, come italiano, vergogna e preoccupazione per la campagna di odio che si sta scatenando contro «gli zingari» o «i romeni», frutto dell’indignazione per isolati fatti di cronaca, ma anche di parole incaute e pericolose, di sapore razzista, che vengono pronunciate nei loro confronti e che ottengono un’immeritata pubblicità”: Arrigo Levi così scriveva lunedì sul quotidiano La Stampa sotto il titolo: Io sto con i romeni. Ho una grande simpatia per Arrigo e ho letto con piacere quelle sue parole e anch’io ho detto tra me: “Grazie romeni”. Un romeno mi ha imbiancato l’appartamento e ha fatto un buon lavoro. Una romena poverissima che ha scelto di tenere il figlio – nonostante fosse stata abbandonata dal padre del bambino – è una delle persone di mia conoscenza che più ammiro. Ma eccomi alle prese con la tribolazione della cronaca quotidiana. La notte scorsa, non riuscendo a prendere sonno, ho letto anche le notizie minori che fanno star male. Corriere della Sera, pagina 25: “Lo stupratore è un romeno di 36 anni”. Cronaca di Roma dello stesso giornale, p. 11: “Rosa, 93 anni, mette in fuga le ladre” e si tratta di “due rumene” specializzate nel “truffare vecchiette”. Stessa pagina: “Romana muore investita nel centro di Padova” e alla guida dell’auto investitrice “una ragazza romena di 18 anni neopatentata”. – Sento intorno a me crescere l’animosità contro i romeni e vedo le due scorciatoie: stare con loro censurando i fatti che provocano quell’animosità, o calvalcare lo sdegno magari a scopo elettorale. Mi appare chiara la difficilissima terza via che nella notte ho deciso di battere: stare con i romeni non lasciando passare inosservato – per quanto mi riguarda – nessuno dei fatti che possono metterli in cattiva luce. Per aiutarci a capire, per aiutarli a vincere lo scoraggiamento che viene loro – voglio dire alla maggioranza tra loro – dal peso di quei fatti.

22 Comments

  1. LEONE

    Concordo pienamente, io lavoro in Banca e di mestiere presto i soldi alla gente, faccio prestiti, mutui e questo ormai da oltre 20 anni.
    Ricordo che già all’inizio dell a mia carriera, nessuno voleva parlare con gli extraco,umitari e allora mandavano me, e così ho cominciato a concedere mutui oltre 15 anni orsono, quando ancora i pre-giudizi in Banca erano forti.
    Mi ha aiutato lavorare nel commercio equo e solidale per molti anni come volontario ed avere un cognato libanese, sciita, tato che poi abbiamo fondato un circolo cultuarle che si chiamo IN DIALOGO….
    Oggi ogni tanto devo ricordare ad alcuni miei colleghi che anche noi italiani e bergamaschi siamo stati emigranti per secoli, che anche noi italiani abbiamo esportato gente delinquente, mafiosi, ecc, ma la maggior parte dei nostri emigranti era ed è formata da persone oneste e così per chi oggi vive fra noi, che nella grande maggioranza dei casi vuole solo avere un avvenire migliore per sè e per i propri figli.
    Ogni tanto pongo questa domanda, ma se tu fossi un albanese, un Kosovaro, un senegalese, e non avessi un lavoro decente, non partiresti anche tu per un altro paese per mantenere la tua famiglia?
    Poi ci sono i delinquenti e su questi bisogna essere giusti, con pene severe ma uguali a quelle degli Italiani, mi viene da pensare che in molti casi di omicidi di questi ultimi anni, si è sperato spesso che gli assassini fossero i soliti cattivi stranieri, perchè è più comodo sperare che il male sia nel diverso, nell’estraneo, nello straniero, salvo scoprire che nella maggioranza dei casi l’omicida era un familiare o un vicino o un amico ecc.
    Il problema come diceva un famoso esponente della Caritas è che queste persone ci servono per il lavoro, (ho numerose aziende clienti della mia Filiale dove la maggioranza dei lavoratori è straniera e gli italiani non vogliono più fare dei lavori di fatica), ma poi non li vorremmo più come vicini, vorremmo che sparissero….
    Ma nel vangelo è scritto, che ero straniero e mi avete accolto……, certo non si può accogliere tutti ma una seria politica di ingressi e di accoglienza non è mai stata fatta nel nostro paese….
    In conclusione concordo con Luigi, STO ANCH’IO CON LO STRANIERO…

    12 Ottobre, 2007 - 18:53
  2. Mi sono volutamente astenuto dal commentare il post su “io voto Rosy Binbdy” anche se ho letto con piacere i commenti piovuti.

    Su questo post però non ce la faccio a tacere e ad esprimere un mio parziale dissenso. Lo scorso giugno mi sono occupato per il Giornale di una inchiesta molto approfondita sulla povertà a Genova (che ho poi riassunto in questo post intitolato E’ AMANDO GLI UOMINI CHE SI IMPARA D AMARE DIO, con i link agli articoli usciti: http://feynman82.spaces.live.com/blog/cns!A37930DCE4E3EADF!2089.entry) Ho passato diversi pomeriggi a girare per le strade di genova, a parlare con i mendicanti, a chiedere alle persone, a confrontarmi con i sacerdoti della zona, piuttosto che con negozianti fidati come quelli delle paoline. Infine sono andato di persona a sentire la situazione “povertà” alla Caritas di Genova che ha messo su un servizio davvero efficiente ed invidiato da molte altre città. E’ stato anche istituito – come da me raccontato – un “osservatorio delle povertà” che ha fornito dati molto interessanti.

    La questione, secondo me, non va allora posta in termini di stare o NON stare con lo straniero, ma di come rapportarsi correttamente con lui. la CORRETTEZZA nei rapporti dovrebbe essere di base. Il modo giusto è quello di dialogare con queste persone e indirizzarle a chi le puo aiutare (centri di ascolto della caritas, mense, dormitori, ecc) il modo sbagliato è: a)far scattare gli insulti gratuiti o la condanna “a priori” ; b) dare la monetina e dire “poveretti”.
    La monetina non aiuta, anzi è il modo piu’ sbagliato che ci possa essere per aiutare queste persone. Se c’è un parere unanime raccolto nella mia inchiesta è stato proprio questo.

    Tanti stranieri vengono in Italia per lavorare e onestamente. E mettendoci tanto impegno e sudore. Ben vengano. Aiutiamoli. Tanti stranieri vengono per rubare, fare i furbi, vivere di rendita. Diversi rumeni qui a Genova – sempre come documentato nell’inchiesta – sono organizzati in bande atte a delinquere! NON va bene! Queste bande e chi li sfrutta vanno combattute e NON possono avere la mia solidarietà.

    13 Ottobre, 2007 - 11:15
  3. Aggiungo ancora 2 considerazioni.

    1. Durante le ultime elezioni a Genova la Lega ha messo in giro dei cartelli molto significativi – ci tengo a dire che non sono affatto leghista – riportavano una serie di persone di varie razze e con vari abbigliamenti in coda ad una porta di un qualsiasi ente… La scritta recitava: “indovina chi è l’ultimo?”
    Era l’italiano! Ciò mi ha fatto riflettere sul fatto che a dare un mucchio di privilegi e concessioni a chi viene da fuori si rischia davvero – quella della Lega era una provocazione – di non tutelare i diritti degli italiani. Non dico che sia un problema facile, ma occorre stare attenti nel promuovere giuste politiche per gli stranieri.

    2. Mi ha colpito molto in positivo il sindaco di Verona, Tosi. Mi pare che nuovamente sia un leghista, ma credo che in questi casi centri poco l’essere bianco o nero, verde o rosso, ma centri il buon senso. L’altro giorno ero a Verona e non ho potuto che applaudire alla presenza di un gruppetto di poliziotti in ogni piazza / via principale della città, cartelli espliciti che vietano il bivaccare e il questuare, giardini che fino a pochi mesi fa erano in mano ai drogati riqualificati e tenuti per bene. E ora mi dicono che anche i marocchini abusivi che vendono i loro prodotti ricevono delle multe, i graffitari pure. Mi son detto: ci vorrebbe una situazione cosi anche a Genova e in tante nostre città! Da’ un senso di ordine, di pulizia, di vivibilità.

    In conclusione: Ben vengano gli stranieri, ma che si inseriscano a lavorare come tuttri gli onesti cittadini italiani. Non per le strade, ma in un regolare posto di lavoro!

    Qui chiudo, scusate i lunghi interventi ma li sentivo doverosi

    Andrea Macco

    13 Ottobre, 2007 - 11:25
  4. forzajoseph

    Guardate che “palmares” che ha quest’uomo! http://www.stenicotommaso.it/07chisem/chiesasem11.htm
    E’ incredibile, è davvero incredibile. Uno come lui, che si fregia di tanti titoli, arrivato così in alto. Ma dove arriveremo? Di chi ancora ci potremo davvero fidare, a parte il Papa, quando sentiremo predicare bene, anzi benissimo, e il nostro pensiero giocoforza andrà al “sì ma chissà come razzola”?
    E poi quanto male fano a tutti noi queste storie, a noi che ci sforziamo di difendere la barca di Pietro in tutti gli ambienti del nostro quotidiano, a noi che abbiamo ormai un riflesso condizionato apologetico? Ci crederanno ancora i cosiddetti lontani? Saremo ancora testimoni credibili della purezza del Cristo? Dott. Accattoli, lei che può, lei che è letto da tanti e forma l’opinione pubblica, non sia indulgente. Magari FORSE con l’uomo, ma non con il suo agire ed il suo tradimento!

    13 Ottobre, 2007 - 12:16
  5. Luigi Accattoli

    Caro Andrea, perchè parziale dissenso? Che si debba parlare e aiutare gli immigrati onesti e combattere le mafie è appunto la mia idea. Oltre il post, puoi vedere nella pagina “Antologia delle pubblicazioni”, elencata sotto la mia foto, estratti del volume ISLAM STORIE ITALIANE DI BUONA CONVIVENZA, che è un’inchiesta del 2004 in cui intervisto 150 immigrati musulmani. Luigi

    13 Ottobre, 2007 - 14:33
  6. Sembra anche a me che la linea corretta sia evidente: accoglienza verso l’immigrato in cerca di lavoro e integrazione; lotta contro la clandestinità, che non dev’essere lotta contro i clandestini ma tentativo di far “emergere” e regolarizzare il fenomeno (anche se naturalmente una seria politica di espulsioni è necessaria, se no mancherebbe qualunque deterrente); lotta alla criminalità, micro e macro, dal momento che la delinquenza non ha nazionalità o colore.

    13 Ottobre, 2007 - 16:48
  7. Leonardo

    Ah, se si fosse dato retta al cardinale Biffi, invece di coprirlo di ingiurie e di isolarlo (anche nella chiesa), quando pose con schietta onestà la questione delle discriminazioni che uno stato serio deve fare quando si tratta di aprire le frontiere!
    Invece tutti a fare le vergini virtuose e scandalizzate (tanto, molti di quelli col ditino alzato mica ce l’hanno, nei quartieri dove abitano loro, il problema …)

    13 Ottobre, 2007 - 16:50
  8. Luigi Accattoli

    Veramente il cardinale Biffi proponeva di favorire l’ingresso degli immigrati cristiani rispetto agli islamici e i romeni sono cristiani… Luigi

    13 Ottobre, 2007 - 17:01
  9. Leonardo

    È vero, ma io mi riferivo al principio che stava alla base della sua affermazione, e cioè che si dovesse privilegiare l’immigrazione di chi è in grado di meglio integrarsi nella società italiana e scoraggiare quella dei soggetti più ‘problematici’: i “Romeni” che fanno problema sono in realtà gli zingari romeni, che stanno invadendo l’Italia.

    13 Ottobre, 2007 - 17:50
  10. LEONE

    Caro Leonardo, privilegiare l’immigrazione in base a criteri religiosi o razziali oltre a non essere applicabile, (per le nostre leggi e per la Costituzione), sfiora e forse non sfiora solamente il razzismo.
    Certo non si può far venire chiunque, ma la prima cosa è che un paese attui serie e realistiche politiche di accoglienza, cosa che il nostro paese non ha mai fatto, (non lo dico io lo dice da anni la CARITAS), in caso contrario è guerra tra i poveri.
    Poi ripeto la sicurezza è un valore e non ho nessu problema a punire con pene certe chi delinque, italiani o stranieri.
    Oggi ho volantinato tutto il pomeriggio per le strade del mio paese per il partito democratico, straordinaria esperienza quella di volantinare ed osservare le persone, si impara tantissimo, c’è chi ha paura anche di ricevere un volantino…).
    Ho notato una cosa che già da tempo osservo, la mancanza in tante persone di una cosa importantissima, LA SPERANZA, LA FIDUCIA, un po’ di ottimismo, la contentezza che non si misura con le scarpe o gli occhiali firmati ma con ben altre cose, le relazioni umane per esempio.
    Mi veniva in mente un articolo di CLAUDIO MAGRIS il grande scrittore triestino che un lunedì di Pasqua viaggiava con la sua auto tra i monti del friuli e vide quattro donne che su un prato mangiavano pane e uova e ridevano ed erano contente, allora si è avvicinato ed ha osservato che erano quattro signore ucraine, quattro badanti probabilmente che probabilmente avevano lasciato le loro famiglie, i figli , i mariti, i genitori nel loro paese e che però riuscivano a sorridere di un uovo e di un pane mangiato su un prato.
    Noi sappiamo ancora sorridere di queste piccole cose?
    potremmopoi parlare degli squilibri economici NORD SUD e deglisconquassi che il capitalismo selvaggio da una arte ed il comunismo dall’altra hanno prodotto, ma in attesa di svolte epocali, l’unica certezza è che il benesser esi sposterà in parte verso altri paesi e non sono convinto che sia del tutto una cosa negativa, se riusciremo a riscoprire i valori sopracitati.
    Ecco penso che gli immigrati, quelli onesti, possano darci
    molto in termini di relazioni umane.
    Grazie per il dibattito

    13 Ottobre, 2007 - 19:26
  11. Biffi, per me, stava battendo strade che non gli competevano e, come purtroppo spesso gli capitava, controverse e spinose.
    Per quello che mi riguarda posso solo raccontare quello che segue:
    – In famiglia (sarebbe meglio chiamarlo clan per il numero dei coinvolti), riassumendo, diamo lavoro ad una rumena (due albanesi l’hanno preceduta) e in case di nostra proprietà abitano 2 famiglie rumene e una croata: ho problemi solo coi vicini… ma per motivi più immaginari che reali (fumare in terrazza al 7° piano, cucinare cavolo), visto che i dirimpettai li adorano. Ah, un lontano parente ha un’azienda in Romania.
    – Mia madre è nata a Tirana nel 1941, figlia dell’Impero e di italiani. Questo fatto di recente l’ha portata a vivere alcuni episodi per fortuna buffi, ma ogni tanto per troncare discorsi imbarazzanti dico che mia madre è albanese…
    – Mio nonno è tornato vivo dall’Albania a fine conflitto perchè albanesi lo hanno aiutato. E lui si sdebitò ospitandone i nipoti dopo l’89.
    – Ho lavorato negli USA e ho comprato gli spaghetti nel reparto cibo etnico, guardando il 14 febbraio la storia della famosa strage di S.Valentino su History Channel e quella di Al Capone su Biography Channel. Ma il governatore del New Jersey si chiamava Florio e quello di New York Cuomo.
    – Mio figlio ha compagni di scuola nati e vissuti in Italia che non sono italiani, mentre miei amici hanno avuto la loro prima figlia in USA ed è tornata in Italia a 3 mesi col passaporto USA in quanto cittadina USA.
    – Essendo io e i miei figli di carnagione scura ho chiesto a mia nonna che ne pensava e lei mi ha detto che avevamo antenati zingari. Ma sono proprio i romeni che conosco a lamentarsi degli zingari col loro stesso passaporto.
    – camminavo per strada nel mio quartiere e ho udito parlare al cellulare in slavo e … qualche tipo di africano.
    – mia figlia di 7 anni, abbronzatissima, era felicissima di potere essere scambiata per la sorella di Alì, suo compagno di scuola di cui adora la madre e i suoi sari ricamati in oro.
    Non so se c’è un senso in tutto questo.

    13 Ottobre, 2007 - 19:58
  12. Leonardo

    Ho già cercato di argomentare in un’altra occasione che, posto che un’apertura indiscriminata delle frontiere è impossibile, è nel pieno diritto (e sarebbe dovere) di uno stato democratico stabilire dei criteri rigorosi di discriminazione. Non ci posso far niente se la parola è ‘maledetta’, ma questo è: si tratta di dire a uno “tu sì” e ad un altro “tu no”. Uno stato serio questo farebbe, per il bene di tutti, sia degli indigeni che dei forestieri. (A proposito della costituzione sarebbe bene ricordare che molti dei diritti che garantisce, li garantisce «ai cittadini»: vedi ad es. art.3; art.4; art.16; art.17; 18 ecc.).
    A proposito di Biffi, intervenire era un suo diritto come cittadino italiano: certo è strano che toccasse a un cardinale dire qualcosa che avrebbero dovuto dire tanti politici e che invece colpevolmente nessuno aveva il coraggio di mettere all’ordine del giorno.
    La non-politica che l’Italia sta non-facendo su questo (come su tanti altri temi: vedi la questione energetica) è espressione della nostra demenza collettiva, che ci perderà. (Se dall’alto qualcuno non ci soccorre, pensando che dopotutto in Italia c’è il papa 🙂

    13 Ottobre, 2007 - 21:15
  13. Leonardo, “.. tanti politici…” lo dicevano già, e volavano le ricette già da tempo (suvvia, non facciamo volutamente i ciechi, non fa bene a nessuno…).
    Ma quando un pastore di una comunità cristiana – non un qualsiasi brillante editorialista – parla, deve sapere che sta coinvolgendo tutta la comunità in quello che dice, non solo il suo più o meno autorevole parere.
    E quello che fece problema era la distinzione sulla base della religione. Non tutto il resto.

    13 Ottobre, 2007 - 21:42
  14. LEONE

    Leonardo, io vivo al nord e ti assicuro che politici come Gentilini, Borghezio Speroni, Calderoli ne ghanno dette moltissime di stupidaggini e molti altri ce ne sono e sono tutti più o meno velatamente razzisti.
    Comunque visto che non si può far venire chiunque, è corretto creare dei criteri che però non possono discriminare una persona in base alla religione o alla razza, senò qui torniamo alla barbaria, oggi tocca a loro e magari domani a noi o viceversa.
    Leggiti la parabola del Buon samaritano.

    13 Ottobre, 2007 - 22:08
  15. LEONE

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    La Stampa, 4 dicembre 2005

    Una religione come il cristianesimo – che al suo apparire nel mondo greco e romano dovette superare la diffidenza, l’ostilità e addirittura la persecuzione da parte della cultura dominante che non ne tollerava la “differenza”, il modo diverso di porsi non tanto rispetto alla propria matrice ebraica, ma soprattutto nei confronti di una religiosità pagana disposta ad accettare e assimilare ogni tipo di divinità, alla sola condizione che non pretendesse l’esclusività – ha finito per divenire ben presto a sua volta cultura dominante e a identificarsi con la società stessa, durante la quasi bimillenaria stagione della “cristianità” che gli ultimi due secoli hanno visto tramontare non senza sussulti di restaurazione. Così, quando i cristiani parlano oggi di “stranieri” e li giudicano più o meno capaci di integrarsi nelle nostre società e culture, dimenticano che all’origine l’espressione “stranieri e pellegrini” – che si trova nella Prima lettera di Pietro (2,11) – caratterizzava proprio loro, così estranei e “differenti” rispetto alla mentalità circostante.

    E difficile negare che questo principio ispiratore dello stare dei cristiani nel mondo e nella storia sia caduto nell’oblio durante quei lunghi secoli in cui, per lo meno in occidente, vi è stata simbiosi istituzionale tra fede cristiana e civiltà, capace di generare un’entità sociale, politica, economica e istituzionale. Eppure quella condizione di “stranierità” – che il vangelo definisce come “essere nel mondo senza essere del mondo” – ridiventa essenziale oggi per un cristianesimo che deve riconoscere la propria situazione di minoranza anche in paesi di antica cristianizzazione. Del resto, fin dal suo nascere sul tronco di Israele, la chiesa si riconosce abitata da una vocazione all’esilio tra le “genti” (le nazioni, i pagani per usare la terminologia biblica), senza mai identificarsi con alcuna etnia, senza mai appiattirsi su un’unica cultura, senza mai adagiarsi in un determinato assetto storico-culturale. C’è anzi da chiedersi se non sia stata propria questa capacità di “inculturazione”, di adattamento, di simbiosi critica ad aver consentito alla fede e alla testimonianza cristiana di declinarsi in modi differenti conservando unità interiore e riconoscimento reciproco tra i fedeli nonostante le vicissitudini della storia e il vasto orizzonte geografico.

    Allora riscoprire questa dimensione della stranierità consentirebbe di misurarsi adeguatamente con l’irriducibile dialettica tra appartenenza e differenza, tra solidarietà e diversità, tra convivenza civile e alterità. Del resto, l’elementare esperienza umana mostra che siamo “stranieri a noi stessi” (secondo la felice espressione di Julia Kristeva), come ci ricordano concordi le svariate voci della cultura del XX secolo – dalla psicanalisi alla filosofia, dalla letteratura alla poesia – che indicano la stranierità come dimensione costitutiva dell’uomo.

    Stranierità allora significa, anche per la chiesa, riconoscere gli assetti culturali come provvisori e transitori, distinguendo la “verità” – eccedenza che supera tutti e che nessuno può possedere – dalle sue definizioni. Il Vaticano II, che si chiudeva proprio quarant’anni fa, ricordava come anche le altre religioni “non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra aetate2): riconoscendo la presenza di questi “semi di verità” e vivendo la stranierità, la chiesa può scoprirsi essa stessa “seme”, annuncio e prefigurazione di una dimensione che la supera infinitamente e alla quale dà il nome di “regno di Dio”. Ma allora l’annuncio cristiano avverrà in una dialettica in cui la de-culturazione dell’evangelizzatore si accompagna alla in-culturazione del vangelo; allora l’altro, cesserà di essere semplice “oggetto” destinato a essere condotto volente o nolente alla “mia” verità, unica e universale e diverrà “soggetto” da accogliere nella sua unicità, con la “sua” verità. Il discernimento della “propria” verità, allora, non potrà avvenire senza l’altro, né tanto meno contro l’altro, non si lascerà ingabbiare in categorie giuridiche o in affermazioni dogmatiche, ma troverà spazio nella storia grazie all’incontro tra diversi, tra stranieri che scoprono possibile una comprensione e una relativa comunione proprio in virtù della rinuncia essere “padroni di casa”, unici detentori del senso e proprietari della verità. Per tutti i cristiani la conoscenza della verità, del bene e del male nell’etica è sempre una conoscenza limitata e relativa, e in questo campo gli “altri” non sono gli avversari della verità bensì occasioni per interrogativi, ricerche, approfondimenti.

    Forse questo della stranierità è un campo che andrebbe maggiormente coltivato e indagato sia da laici che da cattolici, in una stagione che vede ciascuno ripiegarsi su se stesso: sapersi e sentirsi tutti “stranieri” ci aiuterebbe a cogliere l’altro nell’interezza e nella complessità della sua persona, senza ridurlo ai problemi che la sua presenza comporta. Oggi la sfida è per tutti quella di articolare verità e alterità nel senso della comunione, dell’ascolto e dell’incontro, non dell’esclusione, dell’arroganza e dell’autosufficienza. E in questa sfida è grande la tentazione di continuare a ragionare considerando se stessi come “norma” e, quindi, di esercitare pressioni per essere riconosciuti nel ruolo di reggenti in una società in cui sono tramontate le ideologie messianiche e faticano a divenire eloquenti le etiche laiche. Cedere a questa tentazione porterebbe a sostituire la logica della “maggioranza” che impone le proprie certezze con quella dell’influenza del gruppo di pressione che utilizza mezzi e strategie tipici delle lobbies oppure con lo sdegnoso e agguerrito rinchiudersi nei resti di una cittadella fortificata in attesa di stagioni migliori. Sì, oggi c’è troppa nostalgia di “cristianità”: si riaffacciano pretese e invadenze e si vorrebbe imporre ciò che nel cristianesimo si può solo proporre. Ma quella stessa parola di Dio che situa i cristiani come “stranieri e pellegrini” nella storia richiede anche di non strutturare la loro presenza sui modelli politici mondani (cf. Luca 22,25-27): per i credenti l’essere nella storia deve far emergere la “riserva escatologica”, quell’attesa vigilante di “cieli nuovi e terra nuova” che è costitutiva della loro identità e che fonda la loro prassi anti-idolatrica.

    L’essere cristiano non può lasciarsi rinchiudere nell’identificazione con uno specifico progetto di liberazione, di giustizia e di pace, né con le culture generate dall’identità cristiana. Il posto dei cristiani è nella compagnia degli uomini: con loro – senza alcun titolo che a priori li garantisca più degli altri sulla realizzazione di un progetto sociale – dialogheranno e si confronteranno con franchezza e senza arroganza, memori che il loro Signore e maestro li ha chiamati “piccolo gregge” invitandoli a “non temere”: realtà quotidiana di una minoranza fiera della propria identità ma non arrogante, consapevole che, pur senza mai tralasciare di predicare il vangelo, il risultato non dipende dalla sua volontà perché – come ricorda san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi – “non di tutti è la fede”. In una situazione di pluralismo, la chiesa non deve e non vuole essere un gruppo di pressione perché il suo posto nella società è quello di interlocutrice, non di reggente, e perché, come ha ricordato recentemente Benedetto XVI, “la chiesa non intende rivendicare per sé alcun privilegio … non vuole imporre ai non credenti una prospettiva di fede”, ma porsi, insieme a loro, al servizio dell’uomo.

    Enzo Bianchi

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    13 Ottobre, 2007 - 22:14
  16. LEONE

    Essere stranieri, sfida ai credenti
    La Stampa, 4 dicembre 2005

    Una religione come il cristianesimo – che al suo apparire nel mondo greco e romano dovette superare la diffidenza, l’ostilità e addirittura la persecuzione da parte della cultura dominante che non ne tollerava la “differenza”, il modo diverso di porsi non tanto rispetto alla propria matrice ebraica, ma soprattutto nei confronti di una religiosità pagana disposta ad accettare e assimilare ogni tipo di divinità, alla sola condizione che non pretendesse l’esclusività – ha finito per divenire ben presto a sua volta cultura dominante e a identificarsi con la società stessa, durante la quasi bimillenaria stagione della “cristianità” che gli ultimi due secoli hanno visto tramontare non senza sussulti di restaurazione. Così, quando i cristiani parlano oggi di “stranieri” e li giudicano più o meno capaci di integrarsi nelle nostre società e culture, dimenticano che all’origine l’espressione “stranieri e pellegrini” – che si trova nella Prima lettera di Pietro (2,11) – caratterizzava proprio loro, così estranei e “differenti” rispetto alla mentalità circostante.

    E difficile negare che questo principio ispiratore dello stare dei cristiani nel mondo e nella storia sia caduto nell’oblio durante quei lunghi secoli in cui, per lo meno in occidente, vi è stata simbiosi istituzionale tra fede cristiana e civiltà, capace di generare un’entità sociale, politica, economica e istituzionale. Eppure quella condizione di “stranierità” – che il vangelo definisce come “essere nel mondo senza essere del mondo” – ridiventa essenziale oggi per un cristianesimo che deve riconoscere la propria situazione di minoranza anche in paesi di antica cristianizzazione. Del resto, fin dal suo nascere sul tronco di Israele, la chiesa si riconosce abitata da una vocazione all’esilio tra le “genti” (le nazioni, i pagani per usare la terminologia biblica), senza mai identificarsi con alcuna etnia, senza mai appiattirsi su un’unica cultura, senza mai adagiarsi in un determinato assetto storico-culturale. C’è anzi da chiedersi se non sia stata propria questa capacità di “inculturazione”, di adattamento, di simbiosi critica ad aver consentito alla fede e alla testimonianza cristiana di declinarsi in modi differenti conservando unità interiore e riconoscimento reciproco tra i fedeli nonostante le vicissitudini della storia e il vasto orizzonte geografico.

    Allora riscoprire questa dimensione della stranierità consentirebbe di misurarsi adeguatamente con l’irriducibile dialettica tra appartenenza e differenza, tra solidarietà e diversità, tra convivenza civile e alterità. Del resto, l’elementare esperienza umana mostra che siamo “stranieri a noi stessi” (secondo la felice espressione di Julia Kristeva), come ci ricordano concordi le svariate voci della cultura del XX secolo – dalla psicanalisi alla filosofia, dalla letteratura alla poesia – che indicano la stranierità come dimensione costitutiva dell’uomo.

    Stranierità allora significa, anche per la chiesa, riconoscere gli assetti culturali come provvisori e transitori, distinguendo la “verità” – eccedenza che supera tutti e che nessuno può possedere – dalle sue definizioni. Il Vaticano II, che si chiudeva proprio quarant’anni fa, ricordava come anche le altre religioni “non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra aetate2): riconoscendo la presenza di questi “semi di verità” e vivendo la stranierità, la chiesa può scoprirsi essa stessa “seme”, annuncio e prefigurazione di una dimensione che la supera infinitamente e alla quale dà il nome di “regno di Dio”. Ma allora l’annuncio cristiano avverrà in una dialettica in cui la de-culturazione dell’evangelizzatore si accompagna alla in-culturazione del vangelo; allora l’altro, cesserà di essere semplice “oggetto” destinato a essere condotto volente o nolente alla “mia” verità, unica e universale e diverrà “soggetto” da accogliere nella sua unicità, con la “sua” verità. Il discernimento della “propria” verità, allora, non potrà avvenire senza l’altro, né tanto meno contro l’altro, non si lascerà ingabbiare in categorie giuridiche o in affermazioni dogmatiche, ma troverà spazio nella storia grazie all’incontro tra diversi, tra stranieri che scoprono possibile una comprensione e una relativa comunione proprio in virtù della rinuncia essere “padroni di casa”, unici detentori del senso e proprietari della verità. Per tutti i cristiani la conoscenza della verità, del bene e del male nell’etica è sempre una conoscenza limitata e relativa, e in questo campo gli “altri” non sono gli avversari della verità bensì occasioni per interrogativi, ricerche, approfondimenti.

    Forse questo della stranierità è un campo che andrebbe maggiormente coltivato e indagato sia da laici che da cattolici, in una stagione che vede ciascuno ripiegarsi su se stesso: sapersi e sentirsi tutti “stranieri” ci aiuterebbe a cogliere l’altro nell’interezza e nella complessità della sua persona, senza ridurlo ai problemi che la sua presenza comporta. Oggi la sfida è per tutti quella di articolare verità e alterità nel senso della comunione, dell’ascolto e dell’incontro, non dell’esclusione, dell’arroganza e dell’autosufficienza. E in questa sfida è grande la tentazione di continuare a ragionare considerando se stessi come “norma” e, quindi, di esercitare pressioni per essere riconosciuti nel ruolo di reggenti in una società in cui sono tramontate le ideologie messianiche e faticano a divenire eloquenti le etiche laiche. Cedere a questa tentazione porterebbe a sostituire la logica della “maggioranza” che impone le proprie certezze con quella dell’influenza del gruppo di pressione che utilizza mezzi e strategie tipici delle lobbies oppure con lo sdegnoso e agguerrito rinchiudersi nei resti di una cittadella fortificata in attesa di stagioni migliori. Sì, oggi c’è troppa nostalgia di “cristianità”: si riaffacciano pretese e invadenze e si vorrebbe imporre ciò che nel cristianesimo si può solo proporre. Ma quella stessa parola di Dio che situa i cristiani come “stranieri e pellegrini” nella storia richiede anche di non strutturare la loro presenza sui modelli politici mondani (cf. Luca 22,25-27): per i credenti l’essere nella storia deve far emergere la “riserva escatologica”, quell’attesa vigilante di “cieli nuovi e terra nuova” che è costitutiva della loro identità e che fonda la loro prassi anti-idolatrica.

    L’essere cristiano non può lasciarsi rinchiudere nell’identificazione con uno specifico progetto di liberazione, di giustizia e di pace, né con le culture generate dall’identità cristiana. Il posto dei cristiani è nella compagnia degli uomini: con loro – senza alcun titolo che a priori li garantisca più degli altri sulla realizzazione di un progetto sociale – dialogheranno e si confronteranno con franchezza e senza arroganza, memori che il loro Signore e maestro li ha chiamati “piccolo gregge” invitandoli a “non temere”: realtà quotidiana di una minoranza fiera della propria identità ma non arrogante, consapevole che, pur senza mai tralasciare di predicare il vangelo, il risultato non dipende dalla sua volontà perché – come ricorda san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi – “non di tutti è la fede”. In una situazione di pluralismo, la chiesa non deve e non vuole essere un gruppo di pressione perché il suo posto nella società è quello di interlocutrice, non di reggente, e perché, come ha ricordato recentemente Benedetto XVI, “la chiesa non intende rivendicare per sé alcun privilegio … non vuole imporre ai non credenti una prospettiva di fede”, ma porsi, insieme a loro, al servizio dell’uomo.

    Enzo Bianchi

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    13 Ottobre, 2007 - 22:18
  17. Leonardo

    Sì non facciamo i ciechi: quando parlo del colpevole silenzio dei politici dovrebbe essere evidente che parlo di quelle parti della politica che, non essendo sostanzialmente emarginate e ‘impresentabili’ nel discorso pubblico come ii nomi fatti da Leone, avrebbero contato. Quelli, qualunque cosa dicano o facciano, non contano nulla, perché la loro parte in commedia è ben precisa: sparate folcloristiche e poco più. Gli altri, quelli che contano, o tacciono, o divagano, o raccontano balle buoniste, false come l’ottone.
    Di razza nessuno ha parlato, anche perché è uno pseudoconcetto. Invece non vedo perché mai preferire i cristiani anziché i musulmani o altri dovrebbe essere una barbarie. Non si ledono i diritti di nessuno (posto che immigrare in un paese non è un diritto), semplicemente si scegli chi far entrare. Cosa c’entra il buon samaritano?
    Quello che impropriamente chiamate razzismo, e che è la reazione impaurita e incattivita di quel che resta di un popolo privo di guida, verrà, anzi sta già venendo per colpa di chi non ha neppure tentato di governare il fenomeno dell’immigrazione.

    13 Ottobre, 2007 - 22:23
  18. LEONE

    Mons. Tonino Bello, Condivisione e solidariet?: vie alla PACE*

    * A dieci anni dalla scomparsa dell’indimenticato Vescovo di Molfetta, presentiamo la relazione che Mons. Tonino Bello ha tenuto a Castelplanio il 4 febbraio 1988. Con il testo il Gruppo Solidariet? aveva realizzato un quaderno, oramai esaurito. Nel testo, non rivisto dall’autore, si ? volutamente lasciato, per una maggiore immediatezza lo stile del linguaggio parlato.

    (torna all’indice informazioni)

    Sono contentissimo di trovarmi in mezzo a voi anche se mi ? costato un “tantino”; per? se non c’? un po’ di costo personale non si riesce a far nulla di buono nella vita. Anche voi chiss? quanto spendete in termini di tempo, di affetti, di sentimenti, per poter costruire qualcosa, per poter dar corpo ad una leggera speranza, per poter far fiorire le attese. Quindi figurarsi ! Sono poi molto contento, anche perché vedo che c’? tanta gente, c’? il Vescovo e mi sento incoraggiato perché vedere un Vescovo che solidarizza anche su certe tematiche mi d? motivo per disseminare la speranza.
    Quando si mettono insieme dei Vescovi, anche sul tema della pace, nasce un modulo nuovo di pensare. Io non so se voi avete saputo dalla stampa quello che abbiamo fatto io e altri sei vescovi della metropolia di Bari poco prima di Natale. E’ la prima volta, un avvenimento storico: abbiamo preso posizione contro la militarizzazione del territorio della provincia di Bari e contro il mega poligono di tiro che vogliono installare nella Murgia: hanno sottratto 10.000 ettari di terreno ai contadini con una delibera regionale discussa e approvata.
    Noi abbiamo detto no perché altrimenti che senso avrebbe la parola di Isaia: “Trasformeranno le loro spade in falci, le loro lance in vomeri: un popolo non muover? pi? guerra contro un altro popolo e non si eserciter? nell’arte della guerra”. Che senso avrebbe ? C’? un contro-Isaia oggi che si sta realizzando: sono i vomeri che si trasformano in spade. Negli MX di Gioia del Colle, nei Tornado di Brindisi, nella Garibaldi che viene ospitata nel porto ingrandito di Taranto. Il terreno viene tolto ai contadini perché ci si esercita nell’arte della guerra: capite allora, di fronte a questo modulo un altro modulo: quello scelto dalle comunit? ecclesiali, rappresentate in modo particolare dai loro pastori, che hanno fatto proprio una dichiarazione pubblica.
    Io andando in giro un po’ per l’Italia vedo che c’? una speranza fortissima, una speranza sotterranea, c’? un’economia sommersa della speranza che ? incredibile. Quindi a voi che vi battete per questi temi grossi della pace, giustizia, libert?, convivialit?, solidariet?, tanti e tanti auguri perché non abbiate mai a demordere. Non vi dico questo sull’onda dell’entusiasmo perché non sono pi? un adolescente da scaldarmi per le cose fatue ma non abbiate mai paura di sognare, perché il guaio non ? che al mondo ci sono troppi sognatori, ma che ce ne sono troppo pochi. Noi dobbiamo tenere alte queste calde utopie e dobbiamo avere come disse Gramsci, il “brivido della passione”.

    Un incidente mi ? capitato il giorno in cui ho fatto l’ingresso in diocesi, in cattedrale. All’omelia mi capit? di citare pure Gramsci, era molto azzeccato. Dissi che manca in noi credenti il “brivido della passione”, non sappiamo soffrire, con-patire, con-gioire. A me parve una cosa molto garbata, solo che due giorni dopo ricevetti una lettera, la prima lettera anonima (non ? che ne abbia ricevute molte) che mi colp? e da cui rimasi scoraggiato. Diceva: “prima nella chiesa si citavano i Santi Padri, adesso si cita Gramsci: dove siamo arrivati?”.
    Comunque volevo dirvi, amici miei, anche voi giovani, non abbiate paura di scaldarvi alle calde utopie. Da vecchi vi scalderete alla brace del fuoco che ? divampato nella vostra giovinezza. Prenderete le molle per togliere la cenere e troverete qualche carboncino ancora acceso, quello che ? divampato nella vostra giovinezza per scaldarvi un pochino.

    Ci sono cose bellissime oggi in Italia, nel mondo. Pochi giorni fa, spero che non venga mutilato, a noi Vescovi hanno mandato un dossier pro-manoscritto dalla Caritas: “Il servizio della carit? in Italia”. Un testo formidabile, bellissimo, specie dove si parla della condivisione con i poveri, della condivisione e della sorte degli ultimi, sopratutto dove si parla di pace: un testo veramente profetico, deciso, carico di parresia (coraggio profetico di chi non ha peli sulla lingua e dice pane al pane e vino al vino). Un documento veramente eccezionale.
    L’hanno mandato in visione ai Vescovi per correzioni, aggiustamenti di tiro, probabilmente, mi auguro, per rincaro di dose, e poi probabilmente diventer? pubblico e quando sar? pubblicato non si dir? pi?: “… e voi Vescovi italiani siete sempre col carro, state sempre dietro, non avete ancora prodotto nulla sui temi della pace”(che poi non ? molto vero!). Ma quando uscir? questo documento sui temi del servizio, della condivisione, gratuit?, giustizia, pace, vedrete che ci saranno della cose meravigliose.

    Bene, io stasera quando sono stato con questi ragazzi che hanno organizzato l’incontro e ho sentito parlare delle loro esperienze, ho mandato all’aria un po’ tutti gli schemi che mi ero prefabbricato per questo incontro.

    Tifare per l’uono

    Vorrei cominciare con una suggestione che a me piace moltissimo. Avrete sentito parlare di un grande filosofo morto 45-46 anni fa, Walter Beniamin, di origine ebraica che viveva in Germania: si ammazz? perché era braccato dalla polizia tedesca. Prima di ammazzarsi per? scrisse su dei foglietti volanti dodici o quattordici tesi.

    In una di queste tesi racconta una parabola: c’era una volta un automa che giocava a scacchi con un uomo e vinceva sempre; si alzava un campione, si sedeva un altro e perdeva. Vinceva sempre l’automa. La spiegazione: all’interno dell’automa c’era un nano di intelligenza diabolica, goffo, brutto, storpio, il quale attraverso una serie di apparecchi, rel?, specchi, riusciva a vedere la scacchiera e suggeriva tutti i movimenti adatti, sicché vinceva sempre lui. Nella parabola di Walter Beniamin l’automa ? la storia dei potenti, dei signori, dei ricchi, dei garantiti, di quelli che vincono sempre; il nano ? la teologia, il sapere, la scienza asservita al carro dei potenti.
    L’uomo perde sempre: ? il simbolo dei poveri, degli indifesi, dei non-garantiti, di coloro che le prendono sempre. Allora, dice W. Beniamin, noi dobbiamo tifare per l’uomo; verr? il momento in cui l’uomo finalmente si alzer? vincitore da questo torneo. Come fare? Lui dice cos? (sono delle tesi che hanno il valore quasi di un testamento): “ogni uomo in tutto il cosmo, nell’universo, rappresenta una porticina, una fessura attraverso la quale la fede, la speranza, possono entrare nell’umanit? e alla fine l’uomo avr? partita vinta”. Io penso che noi non dobbiamo stancarci di tifare per l’uomo: l’uomo avr? partita vinta! Vorrei fare ora un po’ di pulitura sul termine pace.

    C’era un pensatore orientale che diceva: “Se io per un attimo avessi l’onnipotenza del Padre Eterno, l’unico miracolo che farei sarebbe quello di ridare il significato perduto alle parole”. Ci sono parole multiuso, inflazionate, specie quelle di serie A, aristocratiche, come pace, giustizia, libert?, solidariet?, amore. Bisognerebbe dare il significato primitivo a queste parole.

    Ridare il significato alle parole

    Alla parola PACE ? capitata questa sorte perché capita che i significati sottesi da questo vocabolo sono molteplici, alcuni anche in contrasto tra di loro. Credo che sul vocabolario dei Signori di Pretoria la parola PACE ha un significato completamente diverso da quello che c’? sul vocabolario dei violentati dall’aparthaid; PACE per i proprietari delle multinazionali ha senza dubbio un significato molto diverso da quella degli oppressi. Ci sono quindi queste parole multiuso e allora noi dovremmo vedere che cosa ? questa pace per la quale ci dobbiamo battere.

    Non ? che si possono fare linee di demarcazione molto precise perché PACE pi? che un vocabolo ? un vocabolario, pi? che una stella ? una galassia, pi? che un’isola ? un arcipelago, non ? una spiga ma ? un covone!!! Per cui ci sono dei vocaboli affini come pace, giustizia, solidariet?, libert?, che si rassomigliano tanto, per? noi dovremmo farla un po’ di questa ricezione. Io vi indico alcune linee.

    Dalla pace della coscienza alla coscienza della pace

    Dovremmo fare delle transumanze, cio? dei passaggi: (transumanza ? un vocabolo che adoperano i pastori; trans- humus: passare da una terra all’altra. Quando i pastori nel mese di settembre vanno verso il mare dai monti) passare dalla pace della coscienza alla coscienza della pace. Cos’? la pace della coscienza? Quando stiamo quieti in casa nostra, nessuno ci scomoda, ci sentiamo tranquilli con Dio, con la gente, con la natura; ci sentiamo innocenti, cio? che non nuociamo né a Dio né agli altri, né alla terra. Questa ? la pace della coscienza: quella pace che ci coccoliamo in termini domestici, quella pace che qualche volta viviamo anche nelle nostre chiese (“Pace in terra agli uomini di buona”); per? dalla pace della coscienza dobbiamo passare alla coscienza della pace. Allora per acquisire quest’ultima dobbiamo non scommettere sulla pace che non venga dall’alto: ? inquinata.
    Io sono un vescovo e vi parlo come credente, ma il discorso ? molto vicino anche a coloro che non si riconoscono nell’aree cristiana, che non vedono in Ges? di Nazareth il punto di convergenza di tutta la loro vita e di tutti i loro affetti. Ripeto: non scommettere su una pace che non venga dall’alto perché ? una pace inquinata.

    Per noi credenti la pace viene da Dio, cio? ce l’ha data Ges? Cristo quando ? risorto, ? entrato nel cenacolo e ha detto: “La Pace sia con voi, Pace a voi”; l’ha detto due volte e poi ha mostrato i pozzi da dove scaturisce la pace, ha mostrato le piaghe delle mani, del costato dei piedi. Ha mostrato le sue ferite, quello ? il pozzo da cui nasce la pace. Cio? la pace viene dall’alto, ? dono di Dio; il pozzo artesiano l’ha scavato Lui, a noi tocca tirar su l’acqua per farla affiorare, farla venire in superficie, e canalizzarla, distribuirla e portarla fino ai confini della terra.

    Quest’opera di canalizzazione, di affioramento dell’acqua della pace, di abbeveraggio, ? l’opera che tocca a noi. E’ un’opera difficile, che ci deve vedere sempre solerti, per? ricordiamoci noi credenti che la pace ? “made in cielo” ? fabbricata nel cielo, viene da Dio. E allora ci dobbiamo mettere accanto a coloro che non credono, ma che si battono pure con un animo sincero per ottenere la pace. Ci dobbiamo mettere accanto a loro per indicare l’al di l? che c’?. “Al di l?” delle loro attese, delle loro conquiste, lotte, c’? un al di l?, c’? qualcosa che travalica i loro sforzi.
    Noi dobbiamo essere il segno della loro finitudine e dobbiamo essere quasi la nostalgia del resto, dell’altro che non ? stato ancora catturato. Questa ? una prima idea per passare dalla pace della coscienza alla coscienza della pace. Una seconda: non scommettere su una pace non connotata da scelte storiche concrete perché ? un bluff. Di discorsi ne stiamo facendo tanti, ? venuta l’ora di passare veramente sui crinali della prassi, di impegnarsi, di sporcarsi le mani, gli abiti, non il cuore.

    Il cuore deve rimanere intemerato. Bisogna passare ormai armi e bagagli sui crinali della prassi, immergendosi veramente nelle scelte storiche concrete, prendendo posizione. Non possiamo rimanere neutrali, ambigui, dire e non dire; qualche volta ci lasciamo prendere dal fascino della previdenza per cui diciamo delle cose che possono essere buone per tutte le stagioni. Sono buone perché, a seconda di come spira il vento, noi abbiamo sempre ragione: questa ? furbizia. Fare scelte storiche concrete che significa allora? Significa darsi da fare per sanare anche le situazioni di ingiustizia che ci sono nel mondo.

    Sapete come ? distribuita la ricchezza sulla terra, no? Questo ? un tavolo; le ricchezze sono i cento pani che mettiamo sul tavolo. Tutti gli abitanti della terra sono i 100 commensali che stanno a questo tavolo. Trenta persone mettono le mani su 88 pezzi di pane, le altre 70 devono accontentarsi dei rimanenti 12 pezzi di pane. Cos? ? distribuita la ricchezza. Allora, che stiamo a guardare? stiamo zitti? subiamo questo fatto? Il mondo ? diviso in due parti, diceva J. de Castro: quelli che non dormono perché hanno fame e quelli che non dormono perché hanno paura di quelli che hanno fame.

    La cosa pi? tragica non ? la distribuzione cos? ingenerosa, ingiusta, della ricchezze, la cosa pi? tragica ? che i poveri diventano sempre pi? poveri e i ricchi sempre pi? ricchi. Anzi, i ricchi diventano sempre pi? ricchi a spese dei poveri che diventano sempre pi? poveri. Questo ? un assioma che vale non tanto perché l’ha proclamato Paolo VI nella Populorum Progressio e l’hanno ribadito anche altri pontefici e anche tanti economisti, ma ? un assioma che ci fa inorridire perché lo stiamo sperimentando oggi storicamente. Quindi capite le scelte di campo.
    Non possiamo proclamare la “pace in terra agli uomini di buona volont?”, non possiamo cantare in chiesa “se qualcuno ha dei beni in questo mondo e chiudesse il cuore agli altri nel dolore, come potrebbe la carit? di Dio rimanere in lui” se poi quando usciamo fuori non sappiamo prendere decisioni, siamo tentennanti, indecisi, abbiamo paura di comprometterci, non partecipiamo alla marcia perché poi dicono che siamo sovversivi, non partecipiamo con quelli perché se no ci dicono che siamo di destra, di sinistra. Come ti pronunci sempre sarai assoggettato alle strumentalizzazioni, alle visioni di parte.

    Ma se nel cuore c’? bisogno veramente di solidarizzare con i pi? poveri noi non avremmo paura di prendere posizione. Poi: non scommettere su una pace che prenda le distanze dalla giustizia: ? peggio della guerra quella pace. E’ una scoperta recente questo abbinamento che si ? fatto anche in campo ecclesiale della pace con la giustizia. C’? un passo di Isaia “Opera della giustizia ? la pace” che in latino suona benissimo “Opus iustitiae pax”: la pace ? frutto della giustizia. C’? poi un salmo, il 35, il quale parla di baci fra la pace e la giustizia.

    Come si fa a rimanere inerti di fronte alla situazione di un mondo in cui 50 milioni di persone muoiono ogni anno per fame? Questo, tradotto in numeri, significa che ogni due secondi muoiono tre persone per fame. Noi stiamo qui a parlare; ogni due secondi sulla terra muoiono tre persone per fame, non di fame. Da noi si muore di fame quando a scuola si fa tardi, quando dal lavoro rincasiamo tardi, … si muore di fame!!! Ma muoiono PER fame 50 milioni di persone. Quante ce ne sono di queste povert?!

    Mentre il pane manca alla gente abbiamo per contro 5 tonnellate a testa di tritolo disponibili, compresi quelli che muoiono per fame. Se qualcuno ci dicesse che hanno depositato 1 kg di tritolo sotto questo palco, tutti prenderemo la sedia e ce ne andremmo velocemente. Ognuno di noi ha 5 tonnellate di tritolo a disposizione: c’? tanto materiale che la terra potrebbe scoppiare 20 volte, essere distrutta, azzerata. Ci sono 80.000 testate nucleari; pensate alla bomba di Nagasaki che ? un giocattolo rispetto alle testate nucleari che ci sono oggi.
    In media una testata nucleare tradotta in tritolo, ne ha tanto quanto basterebbe per riempire un treno che ha la coda nella stazione centrale di Milano e la locomotiva nella stazione Termini di Roma … 650 km … una sola testata nucleare!!! ce ne sono 80.000 sulla terra!!!
    Perché queste cifre? Perché probabilmente solo la riduzione in termini plastici di questo genere pu? far capire la situazione difficile in cui ci troviamo. Ecco perché il nostro impegno si dovrebbe sperimentare in termini anche pi? forti.

    Per un altro verso c’? l’indebitamento dei paesi del Terzo Mondo: 1.000 miliardi di dollari, tanti quanti se ne spendono in un anno per la corsa alle armi!! Sapete che il 40 % delle spese totali per la ricerca scientifica ? diretto a scopi militari? il 25 % del personale addetto alla ricerca scientifica ? impegnato nelle ricerche di carattere militare. E intanto si continua a parlare di difesa strategica. Dopo i fatti dell’8 dicembre abbiamo tutti applaudito perché ? un segno di speranza: Reagan e Gorbaciov con il caminetto dietro che ardeva.
    Quel caminetto per me ? un simbolo, quasi per dire che, se arde il fuoco della coscienza popolare che tiene deste certe vibrazioni, forse alla pace si pu? arrivare- Per? quel caminetto sta anche a dire che tutti quei trattati sono pezzi di carta che da un momento all’altro possono essere bruciati. Comunque l’iniziativa di difesa strategica continua ancora (SDI); lo scudo bucato, lo scudo stellare viene a costare 1.800.000 lire a testa per ogni abitante della terra: ? una follia, una pazzia (parlo ancora da credente).

    Noi credenti dovremmo dire con pi? chiarezza queste cose con maggiore “parresia” dicevano negli Atti degli Apostoli. “Parresia” significa coraggio. Per misurare in termini accessibili l’assurdo di certe cifre, pensate la Garibaldi, portaerei italiana: costa tanto quanto potrebbero costare 10 ospedali moderni con 1.000 posti letto l’uno.

    Dai segni del potere al potere dei segni

    Sulle Murge baresi da cui provengo, ho visto passare cingolati, carri armati di media stazza: 3 miliardi l’uno!!! Si costruirebbero caseggiati con 35 alloggi per ospitare 35 famiglie senza tetto. Non ci sarebbe bisogno degli episcopi per tamponare; qualcuno dice: “Cosa fai? metti negli episcopi gli sfrattati .. va bé .. ma cosa fai? due, tre, cinque famiglie nelle chiese … ma sono tanti gli sfrattati!!”
    Vedete, noi come credenti ma anche come non-credenti non abbiamo pi? i segni del potere. Se noi potessimo risolvere tutti i problemi degli sfrattati, dei drogati, dei marocchini, dei terzomondiali, i problemi di tutta questa povera gente, se potessimo risolvere i problemi dei disoccupati, allora avremmo i segni del potere sulle spalle. Noi non abbiamo i segni del potere, per? c’? rimasto il potere dei segni, il potere di collocare dei segni sulla strada a scorrimento veloce della societ? contemporanea, collocare dei segni vedendo i quali la gente deve capire verso quali traguardi stiamo andando e se non ? il caso di operare qualche inversione di marcia. Ecco il potere dei segni e i segni del potere. I segni del potere non ne abbiamo pi?, non dobbiamo averne; ecco perché non dobbiamo neanche affliggerci.

    Io come Vescovo adesso non mi debbo affliggere pi? che tanto perché ci sono 3.000 marittimi nella mia citt? di Molfetta che sono sbarcati perché ormai le compagnie navali sono in crisi, imbarcano i terzomondiali ecc. Non devo risolvere io il problema ma le istituzioni; per? io devo esprimere solidariet? con questa gente, devo dividere cio? il loro pane nero. Non devo dividere soltanto la mia ricchezza ma devo dividere anche la loro miseria, la povert? di quella gente, lo stile, la sofferenza, tutti grossi problemi.

    La pace che si disgiunga dalla giustizia ? peggio della guerra. I problemi della segregazione razziale, il vilipendio dei diritti umani, non so se qui il fenomeno dei terzomondiali sia conclamato. Io vedo nel Barese, in una citt? della mia diocesi, Ruvo, ci sono 46 marocchini. Mi accorsi di loro dopo tre, cinque anni che stavo in diocesi, l’anno scorso, sapete quando? .. che Vescovo distratto che sono … Quando c’? stata la settimana del congresso nazionale della ACLI, e allora probabilmente per non offuscare il “look” della citt? le autorit? decisero di mandar fuori questi marocchini che stanno l? senza permessi per il soggiorno, senza autorizzazioni della Camera di commercio per vendere chincaglierie, cinturini, orologi, … e sono stati mandati tutti fuori.

    Mi hanno chiamato, stavano sotto la pensilina della Esso. Ho parlato con le autorit? perché non era possibile che stessero l?; siamo andati dal questore e siamo in pratica addivenuti ad un compromesso. Io avrei fatto di tutto perché non superassero il numero, un certo livello di guardia, cio? 45-46 e non pi?. Povera gente … le leggi sono quello che sono, non voglio discutere, per? dobbiamo essere pure coscienza critica per certe situazioni- Uno di loro, Mohamed, mi ha mostrato una foto: 8 figli, come le foto dei cugini di mio zio. La sera contano anche loro il denaro per vedere quanto hanno guadagnato e poi lo mandano a casa. C’? un altro ragazzo che ha la fidanzata a Casablanca. L’anno scorso venne da noi don Luigi Ciotti; da noi non nevica mai ma quell’anno ha nevicato anche a Ruvo. E’ venuto da me Mohamed ed ha detto: “Vescovo, fai qualcosa per i miei compagni marocchini che dormono in un modo …”. Andammo prima da lui che dormiva in un garage, ma disse: “non per me, io qua sto benissimo, l’unico inconveniente ? quell’odore di benzina delle macchine che ti rimane tutto il giorno; per il bagno vado fuori, per? dormo …”, lo diceva con tanto amore come se avesse un attico ai Parioli.

    Andammo a vedere i suoi compagni: in una stalla c’erano otto persone; don Ciotti “? rimasto” … stavano seduti uno sui piedi dell’altro per scaldarsi, perché non potevano accendere il fuoco, c’era la paglia e le finestre erano di cartone. Queste sono le cose che ho visto io e perci? ve le racconto, non ? per l’emozione degli affetti o per rincretinire la gente col sentimentalismo, perché questa ? la realt?, ? inutile che ci portiamo in giro. Ricordo che Mohamed appena entrato l? dentro and? a smorzare la radiolina che trasmetteva nenie orientali, perché l? si capta bene anche la radio del Marocco, poi mi disse: “Fai qualcosa per questi miei compagni!!”.

    Io ho poi esortato i sacerdoti di Ruvo che avevano degli appartamenti; ne abbiamo dati tre a questi Marocchini che si sono messi l? in 36. Gli altri li abbiamo alloggiati altrove. Per questi appartamenti, 16 o 18 non ricordo bene, la gente aveva fatto a gara, pressioni dal sindaco, dai carabinieri, dal vescovo, per averli in affitto. Si era dovuta fare una graduatoria. Sapete che quando abbiamo messo i marocchini hanno lasciato tutti … con tutti i nostri canti che facciamo in chiesa, con tutte le liturgie!!! Ecco allora la condivisione, la gratuit?, il servizio, la solidariet? con la gente.”Onorate l’orfano, lo straniero, perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto”: c’? scritto nella Bibbia.

    Per? sta crescendo anche una sensibilit? nuova: noi sacerdoti in modo particolare ci siamo impegnati a coscientizzare la gente perché i problemi della povera gente sono problemi nostri.
    L’altro giorno ? morto un ragazzo marocchino in un incidente stradale- Sono andato a trovarlo questo ragazzo all’obitorio del cimitero; c’era un raduno di tutti i marocchini della provincia (quanti ce ne erano!) e facevano quei canti lugubri dell’oriente .. sembravano piovere da altri mondi. Hanno preso poi 12 metri di tela ed hanno avvolto questo ragazzo ed ? stato molto bello che i cittadini di Ruvo hanno fatto subito una colletta, la domenica in chiesa, per mandare il corpo alla vecchia madre di quel povero giovane in Marocco.

    Qualche cosa cresce … adesso in quella citt?, da pi? di un anno in una chiesa che ? un salone, ogni domenica c’? la mensa e vengono tutti quelli che hanno fame. Questo ogni domenica inesorabilmente. Allora direte: “che cosa avete risolto? con la minestrina pensate di poter risolvere i problemi colossali del mondo?” Non importa; non ci sono i segni del potere ma il potere dei segni.

    La gente intanto si coscientizza sul dovere dell’accoglienza, della solidariet?, della condivisione, e questo ? molto bello. Ecco perché non bisogna aver paura di queste cose; noi come credenti dobbiamo esprimere l’atteggiamento del samaritano, dell’ora giusta. Questo lo dico anche per quelli che si impegnano nel volontariato e si sentono a volte le orecchie fischiare perché c’? chi li critica: “Cosa volete fare voi con il riciclaggio delle vostre esuberanze emotive? con i panni che mandate alla Caritas pensate di poter risolvere i problemi della gente? con la piccola raccomandazione, con il posticino che trovate di straforo, con la minestra che scaldate per i poveri … cosi non si risolve il problema”.

    La strategia dell’ora giusta

    Attenzione perché questo non ? vero. Dobbiamo mettere in atto la stessa strategia del samaritano, dell’ora giusta. La sapete no la parabola del buon samaritano che arriva sul ciglio della strada, vede un povero che sta perdendo sangue e gli tampona subito le ferite, versa olio e aceto e poi gli fascia le ferite. Eccolo il pronto intervento!! ? inutile che ti metti a discutere sulle cause della sofferenza planetaria quando devi tamponare te ferite.

    Per? il samaritano si accorge che da solo non ce la fa: vede che quello continua a perdere sangue, lo porta all’ospedale pi? vicino e gli fa fare la TAC, le analisi, e trascorre la notte con lui perché il Vangelo dice: “Il giorno dopo levatosi diede una moneta al primario, all’oste, e disse: “Prenditi cura di lui, al mio ritorno ti rifonder? il resto”. Qui c’? il secondo momento dell’analisi delle situazioni: vedere da dove arrivano tutte le situazioni perverse che giungono a noi come le ultime branchie di un polipo che ha la testa in chiss? quale bottega oscura della terra; chiss? quali Cagliostri macchinano queste ingiustizie planetarie di cui a noi giungono gli ultimi tentacoli.

    Il credente o l’uomo di buona volont? che oggi vuole impegnarsi a condividere la sofferenza degli altri, non deve limitarsi a mettere il borotalco sulle ferite, a sanare le pustole superficiali, epidermiche, ma deve andare a fare l’analisi della situazione perversa da cui derivano quelle manifestazioni esantematiche.

    Qui noi siamo carenti anche come comunit? cristiana perché abbiamo tantissima esuberanza, veniamo incontro con i pacchi dono, con la S. Vincenzo, ecc. … tanta esuberanza, tanta buona volont?, per? chiaramente dobbiamo impegnarci come credenti, questa ? la piazzola nuova o il ring nuovo dove dobbiamo combattere la battaglia: l’analisi della situazione. Cos? si condivide veramente, cos? ci si batte per la giustizia che ? il prologo della pace: fare l’analisi della situazione.

    Quindi il samaritano dell’ora giusta, il samaritano dell’ora dopo, ma c’? anche il samaritano dell’ora prima!!, questo lo invento io, non c’? sul Vangelo. Se il samaritano fosse partito un’ora prima, fosse giunto sul luogo del delitto un’ora prima, al momento dell’aggressione, il crimine non sarebbe stato compiuto sulla strada, cio? bisogna giocare d’anticipo.

    Una comunit? cristiana, ma anche un’istituzione pubblica, oggi deve prevedere a lunga gittata come andranno le cose. Dove va a finire la giovent? di oggi: i ragazzi quando escono dalla scuola quali sbocchi occupazionali troveranno? Questo scrutare l’aurora ? proprio delle sentinelle, degli episcopi; coloro che sorvegliano stanno solo per vegliare, vegliare nella notte.

    Nel Vangelo di Natale abbiamo letto: “C’erano dei pastori che vegliavano nella notte facendo la guardia al gregge”. Questo ? compito dei sindaci, dei vescovi, dei sacerdoti, di tutti li uomini di buona volont?: “C’erano dei pastori che vegliavano nella notte facendo la guardia al gregge”. Questo giocare d’anticipo deve far parte del nostro stile di credenti, perché altrimenti siamo solo dei romantici che fanno dei discorsi, delle belle manifestazioni, delle lotterie, per? la condivisione non si scatena mai in termini credibili e forti.
    Cos? per tutte le altre cose: per i problemi della tossicodipendenza, degli sfrattati; a volte bisogna avere il coraggio della denuncia pubblica. Quante situazioni ci sono … non so se sto dando pi? spazio alla speranza o alla lamentela!! Ma non importa; quando la lamentela ? intrisa di accenni di risurrezione ? sempre uno stimolo.

    In chiesa c’? un canone bellissimo, un preghiera che dice: “Donaci Signore occhi per vedere le necessit? e le sofferenze dei poveri”. Se lo chiediamo come preghiera ? perché veramente non ce ne accorgiamo, abbiamo gli occhi chiusi, non riusciamo a vedere le situazioni di povert?. Ci sono delle cose incredibili.

    Gennaro l’ubriaco

    L’anno scorso, ricordo, una sera d’inverno mi ero ritirato in episcopio e vidi un uomo che veniva di giorno continuamente a suonare il campanello, a chiedere l’elemosina; quella sera era ubriaco fradicio. Dico: “Che cosa vuoi? A quest’ora cosa stai a fare qui?” “Dammi qualche cosa” “Dove vai a dormire?” “Sotto la barca” “Andiamo”. Pioveva; presi l’ombrello e andai sul porto dove ci sono delle barche capovolte. Sollevo una barca e lui dice: “Io qui dormo!”: c’erano dei cartoni, al posto del guanciale un ammasso di giornali, una bottiglia, una candela. Dormiva davvero sotto una barca!! Gennaro si chiama.

    Lo condussi da me; veniva ogni sera, a volte brillo. Dopo 3-4 mesi, ancora non mi diceva i suoi dati precisi: come si chiamasse, di dove era. Poi seppi che era di Bari; il cognato e la sorella lo rintracciarono e lui comunque si era gi? rimesso a nuovo. Torn? a casa a Bari, mi invitarono anche a casa loro … Gennaro … sotto la barca … Sono passati tanti mesi e l’avevo perso di vista. Nel mese di giugno a Pentecoste ? venuto il Cardinale Maier a nobilitare la chiesa della Madonna dei Martiri col titolo di Basilica. La notte di Pentecoste c’erano tantissimi giovani nella chiesa, abbiamo pregato oltre mezzanotte. Ad un certo momento un giovane ha chiesto al Cardinale: “Perché si chiama Basilica minore?” Il Cardinale ha risposto: “Perché Basiliche maggiori sono le chiese che stanno a Roma, le altre si chiamano Basiliche minori”.

    Io poi ho rincarato la dose dicendo: “Questa si chiama Basilica minore perché la Basilica maggiore sei tu; Basilica significa casa del Re: tu sei casa del Re, non catapecchia di periferia, non spelonca da trivio. Tu con la tua persona, la tua vita, per quanto squallida sia, sei Basilica Maggiore”. Poi ce ne siamo andati. Sono passati dei giovani in macchina mi hanno dato un passaggio e siamo andati all’episcopio. Davanti al portone, a terra, disteso, c’era Gennaro, ubriaco. Quello che guidava ha detto: “Don Tonino, Basilica minore o maggiore?” Ho detto: “Basilica maggiore”.

    Giuseppe, avanzo di galera

    L’altro giorno scrissi una lettera ad un giovane di 37 anni, Giuseppe, che entra ed esce dal carcere, ha fatto 19 anni di galera. Lo incontrai una sera perché venne a raccontarmi la sua storia, poi l’hanno rimesso di nuovo in carcere. La lettera diceva cos?:

    “Caro Giuseppe, non ce l’abbiamo fatta né tu né io. Non ce l’hai fatta tu, perché a tre mesi esatti da quando sei uscito dal supercarcere di Trani, ieri ci sei tornato di nuovo. Non ce l’ho fatta io, perché avrei dovuto dare ben altro credito alla tua parola d’onore. Ricordo quella sera del 25 marzo quando venisti da me stringendo con fierezza il foglio di congedo dalla prigione come se fosse un diploma di laurea; era il foglio della tua libert?. A cena mi dicesti che in galera non saresti ritornato pi?, che stavolta ce l’avresti messa tutta perché a 35 anni uno, anche se ha sbagliato, la vita pu? rifarsela da capo.

    Brindammo alla tua libert?. Dal quel giorno sei venuto ogni mattina a trovarmi per dirmi sempre le stesse cose, che le sedie della sala d’aspetto della stazione erano dure per dormirci la notte ma erano sempre meglio delle brande di una cella; che quelle quattro lire che giornalmente ti concedevo ti bastavano appena per non morire di fame, ma che comunque un panino e una birra del bar ti saziano pi? delle minestre calde del carcere; che un giorno se avessi trovato uno straccio di lavoro saresti andato a vedere dopo tanti anni la tua bambina chiusa in un collegio di Catanzaro.

    Ai servizi sociali e al centro di Igiene Mentale ci assicurarono che si sarebbe fatto qualcosa e questa lusinga ? servita per un po’ a non far cessare le speranze che si riducevano progressivamente da quando sopratutto capimmo che per te il buco di un alloggio non lo avremmo trovato mai, perché, diciamocelo brutalmente, una faccia come la tua uno non la vuole incontrare né di giorno né di notte. Braccato da tutti, un po’ di piet? l’hai trovata solo in ospedale, dove per qualche giorno ti hanno accolto senza fiatare dopo che al medico di turno ho indicato i tuoi piedi gonfi.

    Ma ormai il tuo destino era segnato. Mi ripetevi sempre che, nella tua lunga carriera di galeotto, ogni volta che uscivi dal carcere, dopo tre giorni ci tornavi di nuovo. Una sera ti dissi che stavolta dovevi resistere almeno tre mesi; dovevi farlo per me. Mi desti la tua parola d’onore anche se ormai a star fuori non ce la facevi pi? e hai mantenuto la tua promessa meglio di un galantuomo. Ieri, alla scadenza, ti hanno arrestato mentre rubavi un motorino. I ragazzi ai quali da qualche tempo impartivi le prime lezioni del mestiere, pi? svelti del maestro, hanno fatto in tempo a fuggire.

    Caro Giuseppe, stasera sono contento, ma non perché la citt? si ? liberata di un essere pericoloso come te, non fraintendermi, e neppure perché ti so disteso finalmente su un materasso meno romantico della panchina della stazione ma senza dubbio pi? comodo, e neanche perché sei al riparo dalle violenze dei pi? violenti di te, se ? vero che l’altra notte ti iniettarono a forza una dose di eroina mentre cercavi di prendere sonno su una panchina.

    Sono contento perché ho capito che se tu dai una parola la sai mantenere ed ora quasi mi pento di non averti chiesto tre anni invece che questi tre squallidi mesi che sono passati lenti per te come una eternit? e dolorosi come un calvario. Ma forse ? meglio che sia finita cos?. Tutto sommato la tua libert? si ? frantumata non contro le sbarre del supercarcere di Trani, ma contro quelle del nostro perbenismo borghese, delle nostre ipocrite paure dietro le quali siamo tutti prigionieri, dalle cui pareti non sappiamo evadere, non dico per tre mesi come te, ma neppure per tre giorni.

    Coraggio Giuseppe, siamo tutti pezzi di galera ma prepariamoci ad uscirne. Tu coprendo, sotto la tutela della tua parola d’onore, non un frammento di tempo, ma tutto l’arco della tua vita; noi ritrovando nel Vangelo, nella gioia di un’accoglienza che ci faccia intuire, se non per tutto l’arco della vita, almeno per un frammento di tempo, anche sotto l’amarezza di uno sguardo fosco come il tuo, la dolcezza del volto di Cristo. Sono in attesa di questo incontro, verr? presto, lo sento. E allora, ridiventato uomo, brinderemo di nuovo senza pi? paure, alla tua libert?, anzi alla nostra. Alla salute Giuseppe, uomo d’onore”.

    La gente comune della nostra citt? sa che non sono solo elucubrazioni letterarie, la gente che dorme nelle stazioni; qui lo so che la situazione sociale ? molto diversa, ci sono forse povert? diverse, non ci saranno i poveri di denaro, ma c’? la gente povera perché non ha motivo per vivere, ha magari il portafogli gonfio ma il cuore vuoto; c’? tanta gente che vive in solitudine, capite allora la solidariet?, la condivisione, ? avere occhi per scorgere i poveri; non so se vi ricordate “Il muro” di Sartre o di Camus.

    L’episodio ? questo: C’? un commesso che andava da una citt? all’altra a vendere; quando arrivava la sera nella citt? nuova, andava in un albergo, prendeva il pasto, poi il giorno dopo andava a vendere e poi cambiava. Un sera arriva in una grande citt? e va in un albergo e chiede un posto per dormire. Era un uomo molto triste perché dalla vita non aveva avuto nulla, era solo, non aveva figli, moglie, non aveva affetti, non sapeva pi? che farsene della vita. Ad un certo momento, appoggiato al bancone, mentre sta fornendo la carta di identit?, arriva una coppia di sposi. Si vedevano che erano sposi, perché erano vestiti tutti e due in bluejeans, si abbracciavano ogni tanto, avevano una grossa valigia, erano in viaggio di nozze. Anche loro hanno chiesto una stanza per dormire.

    L’albergatore ha preso anche i loro documenti e ha dato loro le chiavi. All’anziano commesso viaggiatore, che intanto non si stancava di contemplare quei 2 giovani, d? la chiave n. 23; ai due sposi la n. 24. Vanno a dormire. Il vecchio commesso viaggiatore non riesce a chiudere occhio, si gira e rigira nel letto, prima di tutto per il caldo, poi perché pensa sempre alla sua sorte cos? malinconica, e poi perché effettivamente, al di l? della parete, sente un rumore di sedie, di pianto, di lamenti.

    Alla sua fantasia accesa non ? difficile immaginare quale festa d’amore si celebrasse al di l? della parete. Poi finalmente riesce a chiudere occhio, ma per poco tempo, perché si sveglia di soprassalto perché c’? un via vai nel corridoio, un rumore nell’albergo. Si alza, apre la porta, tira fuori il capo e ad una domestica che passa chiede cosa sia successo. Quella l? fa un gesto come per dire lascia stare, possibile che tu non ti sia accorto di nulla e va via.

    Passa un cameriere e gli chiede cosa sia successo. “Come tu non sai niente? ? morto un uomo stanotte qui nell’albergo, nella camera n. 24. C’era un vecchio, si ? sentito male nella notte e non ? riuscito a chiedere aiuto, ha cercato di muovere un tavolino, si ? lamentato, ha pianto, abbiamo visto sedie mosse, ha cercato di far giungere i segnali della sua sofferenza, ma non gli ? riuscito di farli intendere a nessuno ed ? morto” “Un vecchio? Dove?” “Qui accanto, nella stanza n. 24” “Ma non c’era una coppia di sposi?” Il cameriere “S?, n. 24 ,ma del piano di sopra”.

    La conclusione, nell’amarezza dell’esistenzialismo francese di quell’epoca, ? che quando vogliamo giudicare una persona ci sbagliamo sempre di un piano; pensiamo che nella stanza accanto ci sia una festa d’amore e invece c’? un uomo che sta morendo. Cos? anche noi passiamo davanti alla gente, la vediamo sorridere, ci sbagliamo di un piano …

    ? vero che ? un tipo di letteratura sorta in un ambiente particolare, quando andava di moda anche nella cinematografia l’incomunicabilit?, ricordate la canzone di Modugno “L’uomo in frac”: il vecchio che cammina lungo il fiume e saluta tutti quanti, dice addio alla vita, vestito con il frac, un candido gil?, un papillon di seta blu e dice addio al mondo. Al mattino sul pelo dell’acqua si vede galleggiare un cilindro, un fiore e un frac … un uomo che ha finito di vivere perché non ha trovato la possibilit? di comunicare con nessuno.

    Capite, sar? diversa la situazione, non ci saranno quelli che hanno bisogno del denaro, di una casa, qui da voi sar? diverso, m a dovunque andiate, amici miei, ricordatevi che ci sar? sempre qualcuno con cui bisogna pur condividere la propria gioia e col quale bisogna spartire la di lui sofferenza; dovunque andiate, potete andare dove volete. Capite allora questa transumanza che dobbiamo fare dalla pace della coscienza, dalla tranquillit?, dalla pace che non implica itinerari, scavalcamenti di barriere, alla coscienza della pace.

    Dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione

    Un’altra transumanza che bisognerebbe fare ? dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione. Non entriamo a discutere dell’obiezione di coscienza perché questo problema lo stanno discutendo a livello teologico, ? proibito l’accesso ai non addetti ai lavori. Io spero comunque che le risposte che si daranno oggi anche dalla congregazione della fede, saranno veramente profetiche.

    Questo libro pro-manoscritto della Caritas ? eccezionale anche per l’obiezione di coscienza. Pensate quanto coraggio si ? espresso da parte della Caritas su questo problema; alcuni anni fa, nel 1982, il presidente della Caritas diceva (forse poi abbiamo fatto un pochettino di marcia indietro ): “Dobbiamo sfidare il potere a non costruire pi? armi con i soldi del contribuente”. I soldi devono essere destinati ad opere di pace per togliere la fame nel mondo, per la vita non per uccidere. Allora dobbiamo anche essere pronti unitariamente a non dare contributi per le armi ma darli ugualmente con forme che indichino la nostra opposizione agli armamenti e la nostra opera di costruzione della pace.

    Dobbiamo quindi passare dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione, cio? al rifiuto di fronte a certe cose, di fronte al quadro delle ingiustizie planetarie, del quale abbiamo dato solo qualche rapidissimo abbozzo; di fronte a questo quadro non possiamo rimanere inerti. Le stelle non possono stare a guardare, noi non possiamo rimanere l? a guardare se veramente vogliamo condividere la sofferenza dei poveri, non possiamo stare a guardare quando vediamo soprattutto quello che sta succedendo in Italia; lo sapete che le armi italiane uccidono in tutto il mondo? Oggi nel mondo si spara italiano, si veste italiano, si calza italiano, … oggi si spara italiano … Avete tutti quanti seguito la vicenda su Nigrizia, sulla stampa, l’anno scorso soprattutto, su questo problema.

    Io non voglio entrarci dentro, per? capite che basterebbe solo questa verit? per farci insorgere tutti quanti contro un commercio che subordina al profitto il sacro diritto alla vita. E voi sapete che l’Italia ? al quarto posto nei paesi che esportano armi in tutto il mondo, anzi al terzo posto tra quelli che le esportano nel Terzo Mondo.

    Sicché con una mano diamo gli aiuti per lo sviluppo economico e con l’altra ci prendiamo questi soldi attraverso le armi che smerciamo in Iran, Iraq, Sud-Africa e Afghanistan (le prime in classifica). Sapete come Pax Christi, Acli, Missione Oggi, MLAL, Mani Tese, con il cartello “Contro i mercanti della morte” abbiano parlato, gridato da due anni a questa parte perché finalmente ci sia una legge che abolisca il segreto che copre tutto questo osceno commercio di morte, perché ? coperto dal silenzio, ? tab?, non si sa il fatturato, niente. C’? un antico regolamento del 1941 che regola ancora tutta questa storia. Abbiamo convocato i parlamentari, siamo stati pi? volte ricevuti da Nilde Jotti, dalla Commissione Difesa della Camera, del Senato … poi la legislatura cade e si riprende tutto da capo …

    Adesso stiamo vivendo un momento di scoraggiamento; d’altra parte capite, ci stiamo accorgendo che non vale la spesa battersi solo contro il commercio clandestino, bisogna battersi contro il commercio delle armi, anzi, contro la fabbricazione delle armi: qui c’? la parresia, il coraggio profetico. “Trasformeranno le loro spade in vomeri” e non: accorceranno le loro spade a coltello a serramanico, perché sempre arma rimane. Un’altra cosa vorrei che capissimo a fondo e cio? il fatto che adesso anche nei gruppi cattolici, nella chiesa, questo problema della pace sta diventando cos? forte; non dipende dalla planetariet? dell’olocausto finale perché qui c’? poco da illudersi; la parola guerra ? scomparsa dal vocabolario, c’? solo la parola olocausto, apocalisse, distruzione totale. Oggi una guerra trascina nella morte, non solo il drago, ma anche il cavaliere, Giorgio e il serpente.

    Se noi prendiamo coscienza del fatto che ci stiamo battendo contro il commercio di armi, di morte, ci stiamo battendo per la pace, tutto questo non deve derivare dalla planetariet? dell’olocausto come se fosse proprio questa de-creazione, anti-genesi, a provocare il nostro impegno. L’impegno per la pace deve essere dettato dall’amore e non dalla paura per cui anche una scaramuccia in paese per noi non pu? essere accettata. In Italia ci sono 85.000 operai che lavorano nelle fabbriche d’armi, ci sono tantissime fabbriche d’armi, dappertutto, anche a Bari; noi Vescovi lo abbiamo detto in quel documento ed ? per questo che non ? stato pubblicato sull’organo locale pi? diffuso: anche il potere dell’informazione ? terribile!!

    Dalla nonviolenza della strategia alla strategia della nonviolenza

    Avviandoci alla conclusione: queste sono le transumanze forti che dobbiamo fare. Ho detto: dalla pace della coscienza alla coscienza della pace, dall’obiezione di coscienza alla coscienza dell’obiezione, dalla nonviolenza della strategia alla strategia della nonviolenza. Anche qui c’? tutta una scoperta che dobbiamo compiere come credenti, per cui in questi gruppi di solidariet? il tema della nonviolenza dovrebbe essere meglio studiato, approfondito. La nonviolenza: “Rimetti la spada nel fodero. Chi di spada ferisce di spada perir?” con questa espressione Ges? Cristo ha disarmato per sempre tutti gli eserciti della terra: volenti o nolenti come cristiani dobbiamo prendere atto di questo fatto.

    Quando ci dicono: “Ma cos? disarmando gli eserciti come si difende la patria?” La difesa non si fa solo con le armi, c’? anche la difesa popolare nonviolenta: Ges? Cristo ci ha dato un esempio e non siamo utopici. Noi credenti non dobbiamo avere paura di questa accusa; Ges? Cristo ha disarmato uno schiaffo; al soldato che lo ha schiaffeggiato di fronte al sommo sacerdote non ha risposto con un altro schiaffo, ma dicendo: “Se ho parlato male dimmelo, se ho parlato bene perché mi percuoti?” Chiss? come si ? sentito incenerire quel soldato!!

    Concludo davvero dicendo che se noi ci facciamo carico di tutte le sofferenze del mondo, se le assumiamo come sofferenze nostre e se lo facciamo anche con uno stile cristiano sull’esempio di Ges? Cristo che ha condiviso in tutto e per tutto la nostra condizione umana eccetto il peccato, Lui che ebbe l’icona della condivisione nel modo pi? totale, se noi facciamo questo sono convinto che i grovigli della speranza cominceremo a sentirli anche percettibilmente sulla nostra schiena.

    Sono stato due anni fa in Argentina a trovare un parroco della mia diocesi che a 51 anni ha lasciato tutto ed ? andato in missione l?. In un ritiro del clero mi sfuggi: “Nonostante tutto, se qualcuno volesse partire missionario non troverei nessuna difficolt?”; lui il giorno dopo viene da me e dice che vuole andare via. Sta in Patagonia; sono andato a trovarlo perché non stava molto bene; un giorno siamo andati in una citt?, forse la pi? bella dell’Argentina (un po’ come la nostra Cortina D’Ampezzo), luogo di villeggiatura dei big, che si chiama Bariloce.

    Attorno alla citt? dei ricchi sfondati c’? la cintura della miseria, incredibile … Io non ho visitato Bariloce “bene” ma quella della povert?, delle baracche fatte di cartoni, di lamiere contorte. Era il mese di ottobre che corrisponde al nostro mese di marzo, c’erano alberi innevati e c’erano bambini scalzi nonostante il freddo, il fango, che facevano volare gli aquiloni.

    Io ne ho “catturato” uno con le lusinghe del “signorotto” e gli ho chiesto dove abitasse: mi ha indicato una capanna. Siamo entrati dentro, una casa misera, terribilmente misera, con un donna di 30 anni che aveva 12 figli, una donna che doveva essere molto bella; solo gli occhi le erano rimasti belli … C’era un tavolino con un libro: il Santo Evanghelio. Ho chiesto a quella Signora in italiano, capiva perché era cilena, se leggeva il Vangelo; la Signora ha risposto: “Unico consuelo por nuestra povereza” (unico conforto per la nostra povert?). Quando sono uscito fuori ho visto gli aquiloni nell’aria e mi sembrava che fossero stati ritagliati sulle pagine del Vangelo e che andassero a portare annunci di liberazione agli estremi confini della terra.

    Io credo che se noi non tiriamo i remi in barca, se non ci lasciamo abbattere da tante contraddizioni, avversit?, perché ? faticoso, la speranza ancora pu? rinascere su questa vecchia terra. Perci? vi faccio tanti auguri perché il vostro impegno non demorda e perché possiate anche suscitare in tutti coloro che vi accompagnano in questo cammino tanto coraggio e tanta buona volont?.

    DIBATTITO:

    Domanda: -Dato che si ? parlato di parresia, cercher? di fare una domanda sincera, quindi anche un po’ critica, ma senza intenti polemici. Una domanda che mi sgorga dal cuore perché a volte mi crea, come credo un po’ a tutti che a volte siamo impegnati su questi temi, un po’ di sofferenza, amarezza.
    Mi sembra che all’interno di questo movimento che si ? creato in questi ultimi anni, che d? molta speranza a tutti noi, intorno a Pax Christi, Missione Oggi, Nigrizia, Mani Tese, Caritas, ci sia una contraddizione: vedo tanto coraggio, tanta parresia, tanta profezia all’esterno per il rinnovamento, vedi obiezione di coscienza, pace, giustizia, libert?, per? mi sembra che ci sia una carenza nel versante ecclesiale, cio? non c’? questo coraggio nei rapporti tra di noi, nella comunit? cristiana. Questa per me ? incoerenza. ? una domanda che forse non dovevo fare a lei perché se c’? una persona che ? coraggiosa ? proprio lei, per? la faccio a lei per quello che rappresenta. Io in questo movimento vedo una contraddizione, vedi per esempio l’abolizione dei cappellani militari come graduati all’interno della struttura militare: ? un fatto gravissimo eppure le voci sono debolissime. Oppure il caso Zanotelli, Boff … Cosa ne pensa di questa situazione ? Perché manca la parresia di S. Paolo che rimprovera S. Pietro?

    Risposta: -La parresia ? questo coraggio profetico. C’? un icona, un’ immagine bellissima, negli Atti degli Apostoli che dice cos?: “Pietro allora si lev? a parlare, insieme con gli altri undici e disse ad alta voce …” Questa ? la parresia: si lev? a parlare, il coraggio. Con gli altri undici indica la fermezza, la grinta, la forza. Questa ? la parresia. All’interno della chiesa vorrei ricordarvi non ? che stiamo facendo spreco di coraggio, per? ci sono prese di posizione molto forti, come per esempio la scelta della povert?. Vi posso dire quest’episodio, a cui ho accennato, della citt? di Ruvo con i suoi appartamenti, del capitolo cattedratico: abbiamo fatto una scelta fortissima, bellissima.
    Erano successi dei diverbi proprio all’interno della chiesa che sono durati pi? di un anno ed io avevo scritto ai sacerdoti: “Mi sembra gi? di vedere nella nostra citt? l’emergere di una chiesa pi? libera, sobria, vigilante, non ubriaca di potere, una chiesa di viandanti con la cintura ai fianchi e le lampade accese, una chiesa che ama la mobilit? delle tende e la leggerezza dello zaino pi? che la pietrificazione delle sue dimore e i Tir delle sue stupide suppellettili.
    Una chiesa che alla corazza di Golia preferisce la fionda di David, senza neppure i ciotoli del torrente. Una chiesa povera, non omologata alla logica del denaro, non garantita né dall’oro né dall’argento ma ricca unicamente del nome di Ges?. Una chiesa che non attende all’accumulo delle cose e dei campi ma che attende il regno di Dio e lo annuncia come un nuovo raccolto di speranza.
    Una chiesa che non si limita a fare beneficenza ma che diventa coinquilina degli oppressi, abitando nei sotterranei della storia piuttosto che nei palazzi del potere. Coraggio miei cari sacerdoti, non abbiate paura di assumere la povert? come principio ermeneutico della vostra strategia pastorale. Ecco allora quello che vi propongo. (Proponevo ai sacerdoti proprietari di tanti appartamenti, di consegnarne gratuitamente 5 alle famiglie pi? povere della nostra citt?).
    Coraggio, se il vescovo non ? stato seguito sui sentieri del cos? detto buon senso non c’? da rammaricarsi pi? che tanto. Il vescovo non ? specialista in buon senso; non seguitelo per? sulla strada della rinuncia profetica, potrebbe lasciarvi il rimorso di non aver dato ascolto al Vangelo. Oggi ? San Lorenzo, il diacono martire della Caritas romana; all’imperatore che gli chiedeva di consegnargli i tesori della chiesa indicando i suoi poveri esclam?: -Ecco i tesori eterni che non diminuiscono mai e che fruttano sempre-.

    Miei cari fedeli, questi tesori, i poveri, teniamoceli, siamone gelosi, facciamo carte false per non perderli, curiamone l’accatastamento presso le nostre comunit?, non permettiamone in nessun modo la messa in liquidazione e contestiamo contro tutti gli uffici della terra che vogliono intestarli sotto altra ditta. Gli altri tesori, quelli di pietra, diamoli senza paura.
    Il Signore che non ha fatto mancare la sua presenza in questa chiesa quando era ricca, non potr? lasciarla sola ora che, per seguire Lui pi? da vicino, si spoglia di tutti i suoi beni. Non temere piccolo gregge, sopraggiungono tempi nuovi lo sento; forse questa lacerazione sta addirittura accelerando l’arrivo e un giorno la vedremo come una semplice crisi di crescita che ci ha fatto soffrire, s?, ma in fondo ci ha fatto diventare pi? uniti, anche nella fede. Apriamoci alla novit? imprevedibile di Dio, la nostra non ? la strada della sicurezza ma la strada della graticola, il cui fuoco lento brucer? tutte le nostre cupidigie”.
    Nella chiesa si stanno facendo cose incredibili. Io vedo che ci sono gesti favolosi all’interno della comunit?, questo volontariato che sta scoppiando da tutte le parti .. Per quanto riguarda certe scelte, la scelta dei cappellani militari, penso che arriveremo anche l? al momento in cui i nostri soldati saranno serviti pastoralmente all’interno del territorio dove si trovano. Dico”penso”, perché ? opinabile. Non saranno pi? inseriti nel contesto della gerarchia militare, perché effettivamente ? una cosa che fa un pochettino soffrire. Comunque dobbiamo accettare anche la lentezza della maturazione di certi temi, dobbiamo far maturare la base.
    Giorni fa ? venuta una Signora: -Aiutami sono stata sfrattata da casa. Ero l? da 19 anni .. ora mia figlia ne ha 18, ? nata l? e fra giorni si sposa. Io vorrei chiedere proprietaria che mi lasci stare almeno un mese perché mia alla figlia vuole uscire con l’abito da sposa dalla casa in cui nata!-
    -Signora, ma lei ha il diritto alla proroga ….- -No, perché ? l’ultima ingiunzione che mi ? arrivata, per? se interviene lei …- -Ma io non la conosco …-. Ho telefonato: -Pronto?- -Pronto- -Sono il vescovo ..- -Come mai? Mi dica …- -Vorrei chiederle un favore; c’? la Signora ….- -Non me ne parli- -Mi ascolti, Signora, almeno la proroga di un mese …- -Non c’? niente da fare-.
    Non c’? stato niente da fare ho abbassato il telefono sconsolato .. la Signora in lacrime .. poi per? abbiamo trovato una casa.
    Due giorni dopo sono andato a celebrare in una parrocchia. Dopo la celebrazione ? arrivata in sagrestia una Signora che ha detto: -Mi deve scusare, sa, sono la padrona della casa ; non c’? niente da fare- -Va bé, ma per un mese …- -S?, lo so, ma se a questa gente non si d? una lezione non impara mai!!-
    Poi ha detto: -Scusi, ho fatto la comunione questa mattina, la posso ripetere stasera?-
    Ho detto: -Signora, ma lei vuole tutto doppio? Lasci fare, una basta ..-
    Non ho avuto la prudenza del vescovo perché c’era anche altra gente; penso che qualcuno, almeno il sagrestano, abbia imparato che certe cose bisogna dirle nella chiesa senn? Ges? Cristo, nel quale crediamo, il nostro indefettibile amore Ges? Cristo, non pu? essere contento; dice: voi dite in un modo e poi fate in un altro, ma che razza di cristiani siete? Queste maturazioni avvengono dalla base. Adesso per quanto riguarda i cappellani militari c’? anche tutto un movimento; con l’andare del tempo io sono convinto che ci saranno veramente tempi nuovi, di maggiore libert?. Acceleriamo anche con il nostro impegno e per chi crede anche con la nostra preghiera!!

    Domanda: – Lei ha parlato anche di disarmo; io sono per? convinto che il disarmo unilaterale non sia praticabile …

    Risposta: -Il disarmo unilaterale a livello di nazioni corrisponde al perdono a livello individuale. Nel Vangelo si parla di perdono. Il perdono ? il disarmo unilaterale incondizionato. La via profetica oggi laddove non ? possibile altra soluzione, ? predicare anche il disarmo unilaterale perché non ? la quantit? delle armi ma la logica stessa della violenza che Ges? Cristo ha bocciato in radice. Io non capisco come mai ci siano tanti che non derivano da matrice cristiana e sono predicatori della nonviolenza e noi credenti facciamo fatica. Quel documento che ho detto della Caritas speriamo possa uscire presto, perché cadrebbe cos? anche l’obiezione dei cappellani militari. In questo documento si dice che ? scandaloso come mai oggi nelle comunit? cristiane il discorso della nonviolenza attiva non sia ancora penetrato. Su questo discorso ? chiaro che bisogna fare delle scelte molto precise.

    13 Ottobre, 2007 - 22:27
  19. Caro Luigi,
    sono contento che ci troviamo allora d’accordo.
    Probabilmente ho mal interpretato la prima parte del post che mi sembrava sbilanciata verso una posizione del tipo: solo una piccolissima minoranza degli stranieri è delinquenti, gli altri sono tutti bravi. Fare percentuali è pericoloso, ma ho come l’impressione che ce la giochiamo sul 50 e 50. Anche se vorrei davvero che i romeni (e gli stranieri in generale) venuti qui onestamente schiaccassero nettamente l’altra parte.
    Un altro problema toccato in questi giorni dai TG e dai giornali è quello della giustizia: i delinquenti di là preferiscono venire a delinquere qua perchè sanno che se anche finiscono dentro, ci stanno poco… Questo dovrebbe farci riflettere molto…

    Rileggendo il suo post, caro Luigi, trovo che ci sia unità di intenti e di vedute tra noi quando lei scrive: “stare con i romeni non lasciando passare inosservato – per quanto mi riguarda – nessuno dei fatti che possono metterli in cattiva luce. Per aiutarci a capire, per aiutarli a vincere lo scoraggiamento che viene loro – voglio dire alla maggioranza tra loro – dal peso di quei fatti.”

    Penso sia proprio questo l’atteggiamento giusto: CERCARE DI CAPIRE. Per poi dare delle risposte giuste, migliori.

    Auguri di buona domenica, oggi che proprio un samaritano (noi forse diremmo oggi un romeno) ci insegna il valore del ringraziamento

    Andrea Macco

    14 Ottobre, 2007 - 11:31
  20. Leone, occhio al copia-incolla! La bontà degli argomenti non si misura in km. Magari qualche volta basta un link ed un estratto….

    14 Ottobre, 2007 - 11:45
  21. LEONE

    Hai ragione scusate sto imparando.

    14 Ottobre, 2007 - 22:00
  22. Claudine

    Buongiorno.
    Stavo sbirciando i vostri post qua e là e l’occhio mi si è fermato sulla presenza dei rumeni ed extra comunitari in genere. Si parla di razzismo o intolleranza verso queste persone che hanno invaso letteralmente le nostre città soprattutto nelle periferie. La soprendente nell’osservare dove vivono, come vivono, la grande forza di sopravvivenza che possiedono. Ci sono delle grotte di tufo abbandonate in prossimità del fiume Aniene, una specie di immensa cavità malsana, umida, abitata da pipistrelli, ebbene, in quel posto spettrale ci abitano in tanti, tantissimi: vecchi, donne, bambini. Il giorno girovagano chiedendo elemosina, alcuni dei piccoli frequentano la scuola elementare con gli altri piccoli coetanei ma le difficoltà son tantissime. Ci sono casi di tubercolosi, di meningite, pediculosi e quant’altro. Qui non si parla di razzismo ma di salvaguardare la propria pelle. Personalmente provo una pietas indicibile, e pur tuttavia comprendo le proteste ad oltranza che i genitori sollevano: è difficile accetare tout court lo straniero quando si presenta in tutta la sua drammaticità! Sono tanti, troppi, indigenti, sfortunati fratelli, e noi siamo completamente impotenti di fronte al fenomeno. Credo che le istituzioni debbano sondare con più serietà la situazione, che prima del collasso: mandare dei vigilanti a monitorare, e sia lo stato a farsi carico, senza pesare sui residenti che pagano le tasse e vivono di onesto lavoro. Ad essi il compito di risolvere la situazione. Non siamo razzisti noi Italiani, ma si rischia di diventarlo presto o tardi.

    23 Ottobre, 2007 - 21:24

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