Ho lavorato con il padre Cecco Milli un vulcano di simpatia e di amore di Dio

Sono emozionatissima. Ho fatto la missionaria laica in Tanzania dal 1968 al 1971, non stop. Avevo 23 anni. Ho conosciuto e “lavorato” con padre Cecco Milli: un vulcano di simpatia e di amore di Dio!

Mi sono trovata in una foto di Cecco Milli che avete pubblicato. Sto piangendo di commozione nel leggere quello che lei ha scritto di lui e nel leggere quello che Cecco diceva di se stesso, delle sue emozioni, della sua vita missionaria. Molte delle cose scritte da lui, le ho vissute insieme e fu così anche in quella foto.

Era appena arrivato in Tanzania e, ancora alle prese con il swahili,  mi disse: “Oh tu, Pallina, e che tu verresti con me a cena, stasera, sotto un albero?” “A cena sotto un albero? È un invito piuttosto galante…” risposi divertita. ” Oh, Pallina, a cena dal nostro catechista! Che credevi?!” (Cecco era così)

Non mi parve vero. Lo avrei aiutato a tradurre qualcosa per farsi capire e avrei avuto un’occasione unica per vivere da vicino le usanze degli Wagogo sui cibi consumati attorno al fuoco e al chiaro di luna, sotto un albero. Arrivati alla casa del catechista su una collinetta, altro che cena sotto l’albero!  Il catechista per onorare il nuovo padre Cecco Milli, aveva chiesto a prestito, non si seppe mai da chi, un tavolo, dei piatti, delle posate, delle sedie… alla europea. Niente cena al chiaro di luna, attorno al fuoco e all’aperto, ma al chiaro di una lampada degli Wazungu (europei) che illuminava a giorno tutta la stanza. Tuttavia mangiammo lo stesso all’africana, come faceva il resto della famiglia, prendendo dall’unico piatto centrale la polenta e il pollo in umido che aveva preparato. Cecco era divertito di quel misto di Europa e Africa, condito di kiswahili con accento fiorentino e di italiano ‘kiswahilizzato’ e voleva viverlo il più possibile con simpatia per far sapere loro che era contento e grato di essere lì. Osservava bene il catechista e faceva quello che faceva lui. Metteva un pugnetto di polenta nel palmo della mano, lo schiacciava al centro con il pollice per formare come un cucchiaio che raccogliesse intingolo e pezzetti di pollo e lo portava alla bocca piegando perfino la testa all’indietro. il gioco era fatto! Inevitabilmente tutti ci leccavamo le dita e tutti daccapo le mettevamo nel piatto comune, bimbi compresi. (No, no, non i bimbi nel piatto, solo le loro manine!)

Rientrai nel 1971 perché moriva mio padre e non tornai più in Tanzania per una serie di circostanze sfavorevoli e molto dolorose. La notte per mesi sognavo la gente africana, le mamme con i loro piccoli che mi dicevano: “Mama, rudi tena”, Torna ancora. Invece non sono mai più tornata neanche come turista… Non che mi mancasse il desiderio di farlo.

Cecco Milli mi scriveva sempre e io lo seguivo attraverso i suoi diari che ‘Eco delle missioni’ pubblicava. Poi lentamente e inesorabilmente l’Africa sbiadì del tutto all’orizzonte per lasciare più discreta, spazio alla mia nuova vita.

I giovani che partivano per quelle missioni lo facevano in modo diverso, ormai. Un mese di lavoro a costruire dispensari, scuole, e poi tutti a casa, lontani comunque anni luce da quella che io avevo concepito come vita missionaria. Splendidi ragazzi che io avrei voluto incontrare, ma seguiti dai loro preti di oratorio, avevano altri punti di riferimento, tutti preziosi, ma altri.

Io ero ritornata a studiare per poter accedere all’università e ad occuparmi di volontariato negli ospedali. Sposai un giovane ingegnere, affascinato naturalmente dei miei ideali missionari e io dei suoi nell’elettronica di una prestigiosa compagnia internazionale di ricerca.

Cecco Milli si congratulava ogni volta con frasi da fiorentinaccio senza tuttavia dimenticare mai che i disegni di Dio sono di una tenerezza senza confini per ognuno di noi e me lo ricordava.

Il 28 di dicembre 1978, giorno del quarto compleanno della mia bambina, Cecco Milli muore. Io, ignara che se n’era volato in Cielo, proprio quel giorno ricevetti i suoi auguri di buon Natale che mi aveva spedito quindici giorni prima.

Accadde una cosa inspiegabile mentre aprivo la lettera. Fu come se le pareti di casa diventassero di… vento e il corridoio dove mi trovavo, uno spazio senza confini… Una leggera brezza mi sfiorò il viso e mi commossi tanto senza sapere perché. La frase augurale scritta alla fiorentina, come suo solito, sembrava mi arrivasse da un mondo spirituale lontano eppure così vicino come il respiro di chi ti sta accanto e legge con te; era come la carezza di un fratello amato, più grande di me, ma che si firmava sempre come il più piccolo: “Tuo fratellino Cecco Milli”. Piansi di nostalgia.

In Africa mi aveva donato davvero una dimensione piena dell’amore di Dio e del prossimo e con gioia, allegria, simpatia! Mi sedetti per rispondergli subito, ma prima che potessi spedire la lettera nei giorni che seguirono, mi arrivò la terribile notizia (eppur bella immaginata da lui) della sua morte. “Oh che sarà quando il Babbo (Dio Padre) mi chiamerà e lo vedrò e vedrò il Poverello Francesco di cui son figlio. Balzerò di contentezza! ”

La mia risposta alla sua lettera dall’aldilà gliela gridai dalla mia nuova Africa fino in Cielo e ancora oggi, in diversi momenti della mia vita gli grido qualcosa.

Le mie foto con lui le spedii a sua mamma, pensando di consolarla un po’ sapendo quanto tutti amavamo suo figlio. Ne ho una quando, novizio, credo, andó da Padre Pio e qualcos’altro che cercherò tra i miei ricordi dell’Africa. Conservo la sua lettera postuma del 28 dicembre come una reliquia. Mia figlia, ora donna, lo sente amico. Mio marito ascolta sempre volentieri i miei racconti di lui.

Grazie di avermi ascoltato. Gabriella Tescaro

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