Francesco e la scomunica dei mafiosi

Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 22 giugno alle pagine 1 e 3

 

Finalmente un Papa dice che “i mafiosi sono scomunicati” e tutti capiamo l’antifona: della rivoluzione di Francesco fa parte una semplificazione del linguaggio che lo espone a critiche all’interno della Chiesa ma che rende comprensibili alle moltitudini le sue parole e a volte – come in questo caso – le mostra ispirate al “sì sì no no” del Vangelo. A partire dal 1944 e fino a ieri, vescovi e Papi avevano condannato con parole di fuoco – e di un fuoco sempre più vivo – le mafie, ma una “scomunica” così inclusiva ed estensiva, mirata ai “mafiosi” in generale, non era mai stata pronunciata.

La prima condanna con l’uso della parola scomunica è contenuta in una lettera collettiva dell’episcopato siciliano che ha la data del primo dicembre del 1944: «Sono colpiti di scomunica tutti coloro che si fanno rei di rapine o di omicidio ingiusto e volontario». Il riferimento – spiegano i canonisti – è ai “delitti di mafia”, che vengono sanzionati con la scomunica ma senza che venga esplicitata la natura mafiosa di essi.

Nel 1952 la stessa pena viene confermata dal Secondo Concilio plenario Siculo con queste parole: «Coloro che operano rapina o si macchiano di omicidio volontario – compresi mandanti, esecutori, cooperatori – incorrono nella scomunica riservata all’ordinario» (dalla quale cioè può assolvere solo il vescovo del luogo). Ora è più chiaro il riferimento alla mafia, che tuttavia non viene ancora nominata.

La parola “mafia” arriva nel 1982, con un documento della Conferenza episcopale siciliana che dopo l’uccisione del prefetto Dalla Chiesa conferma le pene del 1944 e del 1952 con questa premessa: «A seguito del doloroso acuirsi dell’attività criminosa che segna di sangue e di lutti la nostra regione, i vescovi, in forza della loro responsabilità di pastori, riaffermano la loro decisa condanna […] sottolineando la gravità particolare di ricorrenti episodi di violenza che spesso hanno come matrice la mafia e la nefasta mentalità che la muove e la facilita».

Il documento era accompagnato da una “nota” che chiariva le conseguenze di quel tipo di scomunica, avvertendo che “la condizione di scomunicato emergerà quando l’autore di uno dei due delitti si accosterà alla confessione per essere assolto dal peccato: il sacerdote lo informerà che non può assolverlo, in quanto colpito da ‘scomunica’ che i vescovi hanno ‘riservato’ a se stessi: dalla quale, cioè, soltanto loro possono assolvere”. In sostanza: quella scomunica – in vigore ancora oggi – non colpisce chi fa parte di una cosca, ma chi compie una rapina o un omicidio, o ne è il mandante, o il cooperatore. Non è l’associazione mafiosa a essere causa di scomunica, ma il delitto in generale, compreso quello mafioso. 

E’ chiara dunque la novità delle parole dette ieri dal Papa. “I mafiosi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”. I mafiosi tutti, non solo quelli che compiono stragi. Francesco ha dunque sciolto con un colpo solo un nodo attorno al quale la Chiesa siciliana prima e quella italiana dopo si sono arrovellate per settant’anni.

L’ultimo documento della Cei che tratta della criminalità organizzata è del 2010, “Chiesa italiana e Mezzogiorno”: ha parole durissime sulle mafie ma non usa il termine scomunica: “Riflettendo sulla loro testimonianza [dei martiri di mafia], si può comprendere che, in un contesto come quello meridionale, le mafie sono la configurazione più drammatica del male e del peccato. In questa prospettiva, non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di peccato”.

Parole tremende, ma tra le quali non figura la “scomunica”. Durante la preparazione del documento alcuni vescovi – soprattutto siciliani – avevano suggerito di introdurre quel termine ma non ebbero successo. Nel corso dell’assemblea della Cei che si tenne ad Assisi nel novembre del 2009 quei vescovi proposero che il documento dell’intero episcopato italiano facesse propria alla lettera questa affermazione, contenuta nel paragrafo 12 della nota “Nuova evangelizzazione e pastorale” pubblicata nel 1994 dalla Conferenza episcopale siciliana: “La mafia appartiene, senza possibilità di eccezioni, al regno del peccato e fa dei suoi operatori altrettanti operai del maligno. Per questa ragione, tutti coloro che in qualsiasi modo deliberatamente fanno parte della mafia e a essa aderiscono, o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, di essere fuori dalla comunione della sua Chiesa”.

Neanche in quel testo c’era la parola “scomunica” ma a essa alludeva l’espressione “fuori dalla comunione”. Nella Chiesa Cattolica il parto di una parola può risultare straordinariamente difficile. In questo caso è stato necessario un taglio cesareo operato personalmente da Papa Bergoglio.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

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