Francesco ricorda l’inferno ai mafiosi

Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 22 marzo alle pagine 1 e 23 con il titolo “Mano nella mano come un prete di strada”

 

E’ la terza o quarta invettiva di Papa Francesco dopo quelle ai “mercanti di morte” del narcotraffico (24 luglio e 22 settembre) e delle armi (8 settembre), e dopo l’esclamativo “vergogna” riferito agli annegati di Lampedusa (4 ottobre): moniti diversissimi nella voce e nel gesto rispetto a quelli gridati di Papa Wojtyla, ma altrettanto capaci – si può scommettere – di toccare l’anima.

“Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio” aveva intimato ai mafiosi un Giovanni Paolo col braccio teso e l’occhio irato, in abiti pontificali, impugnando la croce, gridando nel microfono. Era il 9 maggio 1993 e quell’invettiva la pronunciava nella Valle dei Templi di Agrigento, al termine di una messa grande, avendo accanto il cardinale Pappalardo, dopo aver incontrato i genitori del giudice Livatino.

Le parole sono state quasi le stesse, facenti perno per l’uno e l’altro Papa sulla chiamata a cambiare vita: “Convertitevi”. Simile anche il richiamo a Dio e al suo castigo: al “giudizio” Wojtyla, all’inferno Bergoglio.

Ma tutta diversa la scena e la voce del monito di ieri. Il tono basso, smorzato e lento, quasi sussurrato. Nessun gesto della mano, o mossa dell’occhio. Diverso tutto l’atteggiamento: Giovanni Paolo giudicante “nel nome di Cristo”, Francesco implorante come già Paolo VI quando scrisse agli “uomini delle Brigate Rosse” (21 aprile 1978) per chiedere la liberazione di Aldo Moro.

Come Papa Montini, anche Bergoglio ha usato l’appellativo che accomuna: “uomini e donne mafiosi”. “Non sono cristiano fino a questo punto” ebbe a dire allora Leonardo Sciascia, confessando la propria difficoltà a chiamare “uomini” i brigatisti. Paolo VI aveva detto ai rapitori di Moro “vi prego in ginocchio” e ieri il Papa argentino ha detto ai mafiosi: “ve lo chiedo in ginocchio”.

Bergoglio dunque come Montini, anche in questo, più che come Wojtyla. Ma infine e soprattutto, Bergoglio come se stesso: come il se stesso di Lampedusa, come il Papa che ha scelto di essere scendendo da ogni trono e predella, che va allo stesso microfono di don Ciotti, che porta grosse scarpe nere come questo prete di strada che ieri l’assisteva in maglione.

Più che a qualsiasi Papa del passato, ieri Francesco somigliava a don Ciotti: si direbbe che volesse somigliare a don Ciotti. Il prete callejero (di strada) come Bergoglio chiama se stesso, simile anche nella sagoma e nell’andatura pencolante al nostro don Ciotti dalle cento battaglie. L’ha abbracciato e l’ha preso per mano, quel prete lottatore che l’aveva chiamato “fratello” e gli aveva dato del tu.

Ma l’ultimo segno dell’evento di ieri è nella ritualità spoglia, anzi denudata, come gli altari del Venerdì Santo, secondo cui si è svolto. Una ritualità che richiamava la celebrazione di Lampedusa, che era ruotata intorno a una croce e a un calice di legno. Quegli 840 nomi letti come un’interminabile salmodia. Il Papa con indosso la stola che fu di don Peppino Diana. Il suo invito a pregare il “Padre nostro” per quei giusti. Solo appropriandosi per intero della ritualità feriale degli amici di don Ciotti, il Papa delle periferie poteva dare la sua partecipe benedizione a quell’umanità dolorante e vera.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

 

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