Puglisi e Focherini primizie del martirio contemporaneo

Il 28 giugno è stato annunciato il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi ucciso dalla mafia di Palermo nel 1993, il 10 maggio era stato annunciato quello di Odoardo Focherini (1907-1944) che diede la vita per salvare ebrei durante l’occupazione tedesca. In ambedue i casi abbiamo avuto una primizia alla quale seguiranno altre proclamazioni: Puglisi è il primo martire di mafia, Focherini è il primo nostro martire dell’aiuto agli ebrei.

Molti altri salvatori di ebrei negli anni della Shoah sono stati riconosciuti come martiri e beatificati in Olanda e in Germania, in Polonia e in Francia, ma i processi per i nostri salvatori di ebrei – chissà perché – sono partiti più tardi e sono risultati più pigri. Il primo beato tra tutti i salvatori di ebrei fu Titus Brandsma, carmelitano olandese, il cui martirio fu riconosciuto nel 1985. Forse il nostro ritardo è dovuto al fatto che da noi il dramma della guerra e della Shoah fu meno avvertito che nei paesi che nominavo sopra. Detto brutalmente: abbiamo avuto meno morti.

Ma io credo vi sia anche un’altra ragione: la nostra Chiesa mostra per il momento una minore attenzione al martirio contemporaneo, a quei “nuovi martiri” di cui tanto parlò nella sua predicazione Giovanni Paolo II, forse a motivo di una maggiore tenuta culturale e sociale – almeno apparente – rispetto ad altri paesi europei dove le Chiese hanno conosciuto tragedie e scontri e perdite di consenso prima di noi e più forti delle nostre.

Si avvicina tuttavia anche per noi il tempo della prova. Lo si avverte nel clima di crescente avversione della vita pubblica all’eredità cristiana e nella crescita di un laicismo aggressivo che al momento è ancora minoritario – ma non più sporadico – e che potrebbe farsi in breve maggioritario. E’ storicamente provato che la sensibilità per il martirio cresce con le prove vissute dalla comunità cristiana.

Una conferma di quella evidenza storica l’abbiamo nel confronto tra i due riconoscimenti di martirio da cui sono partito: quello di Focherini arriva a 68 anni dalla morte, mentre per quello di Puglisi sono bastati 19 anni: con una stima approssimativa del divario, potremmo dire che la nostra sensibilità al dramma della mafia sia almeno di tre volte maggiore rispetto a quella per la Shoah.

Giovanni Paolo II è stato il grande apostolo del martirio contemporaneo: volle in particolare per il Grande Giubileo una “Commemorazione ecumenica dei testimoni del XX° secolo” che si fece al Colosseo il 7 maggio 2000. Aveva maturato quella sensibilità nelle tragiche vicende della Polonia vissute in presa diretta quando aveva vent’anni e nell’esperienza dell’ostilità del regime. “Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire”: così in una poesia dedicata al santo martire Stanislao – l’ultima prima di essere eletto Papa – il cardinale Wojtyla ebbe ad esprimere in pienezza la sua avvertenza del dono del martirio nella Chiesa.

Giovanni Paolo parlò con generosità del martirio di Puglisi fin dal primo momento e poi ripetutamente nella visita a Palermo del 1995. Nel 1993 incontrando ad Agrigento i genitori del magistrato Rosario Livatino aveva coniato l’espressione – che ha fatto scuola – di “martire della giustizia e indirettamente della fede”. Quando Livatino e Borsellino e tanti altri “giusti” uccisi dalla mafia saranno riconosciuti martiri, la Chiesa siciliana disporrà di una risorsa in più nell’affrontare la sfida delle cosche.

“La mafia è intrinsecamente anticristiana” ha scritto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi in un articolo su Puglisi pubblicato il 5 luglio dall’Osservatore Romano, motivando così l’interpretazione martiriale della sua uccisione: “L’odio dei mafiosi verso il parroco di Brancaccio era determinato semplicemente dal fatto che si trattava di un sacerdote che educava i giovani alla vita buona del Vangelo: dunque sottraeva le nuove generazioni alla nefasta influenza della malavita”.

Intrinsecamente anticristiana è la mafia come altrettanto anticristiano fu il nazismo – anzi “è” il nazismo: perché ancora vi sono nazisti sul pianeta – e in particolare il nazismo che volle eliminare dai suoi territori ogni presenza ebraica e che più in generale mirava a cancellare dalla vita pubblica – oltre che dalla sua ideologia – ogni riferimento al Dio di Israele e di Gesù Cristo.

Odoardo Focherini è di Carpi e lavora a Bologna, al momento dell’arresto è amministratore del quotidiano cattolico bolognese Avvenire d’Italia, diretto allora da Raimondo Manzini. Passa dal carcere di Bologna ai campi di concentramento di Fossoli, Bolzano, Flossemburg (quello dove verrà impiccato, alla vigilia della caduta di Hitler, Dietrich Bonoeffer).

La sua attività a favore degli ebrei era stata scoperta perché la polizia aveva intercettato la lettera di un prete di Padova che gli segnalava il caso di un ebreo da mettere in salvo “sapendo che lei si interessa di ebrei”. Nella sua casa di Mirandola la polizia trova timbri e altro materiale utile a preparare carte d’identità e passaporti falsi. Un sacerdote che collaborò con lui – don Dante Sala – attesterà che aiutò a passare il confine svizzero ben centocinque ebrei in poche settimane.

Focherini – dicevo – è una primizia e sarebbe bello vedere riconosciuto domani il martirio di tanti altri suoi fratelli di sangue nell’aiuto agli ebrei. Mi piace nominarli qui dal momento che restano come dimenticati nella nostra vita pubblica e persino nella Chiesa: Placido Cortese, Anna Maria Enriquez Agnoletti, Franco e Torquato Fraccon, Giuseppe Girotti, Umberto Marmori, Aldo Mei, Giovanni Palatucci, Norma Parenti, Mario Todesco e i dodici certosini di Farneta. Ho citato solo i casi più noti.

In analogia ai martiri della mafia e a quelli dell’aiuto agli ebrei, sarebbe bello vedere al più presto riconosciuto il martirio di quanti diedero la vita nelle stragi di popolo della seconda guerra mondiale e nella missione alle genti, in particolare in terra di Islam: il medico Annalena Tonelli (uccisa in Somalia nell’ottobre del 2003), il prete Andrea Santoro (ucciso in Turchia nel febbraio del 2006), la suora Leonella Sgorbati (uccisa in Somalia nel settembre del 2006), il vescovo Luigi Padovese (ucciso in Turchia nel giugno del 2010). Sono le quattro palme più fulgide e più recenti ma ve ne sono state altre in ogni decennio del secolo scorso. Il riconoscimento del loro martirio sarebbe prezioso nell’attuale stagione di conflitto e di dialogo con le genti dell’islam.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it

Commento

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    21 Luglio, 2012 - 12:30

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