Famiglia Ugolini: “I kurdi ci invitano a farci musulmani”

Gabriella, Roberto e Costanza Ugolini – moglie, marito e figlia – sono una famiglia di Firenze che dal 2000 vive nell’Est della Turchia, al confine con l’Iran, in mezzo a una popolazione al 99% musulmana. Unici cattolici in quell’immensa regione, realizzano una “presenza cristiana” che un poco si ispira all’esperienza di Charles de Foucauld. Il racconto che segue l’ho raccolto dalla loro voce il 13 gennaio a Roma, al Bar Douhet della Laurentina, durante uno dei loro rientri in Italia per vedere amici e parenti.

Siamo partiti nel maggio del 2000 da Firenze dove abbiamo vissuto e dove io – Roberto – ho lavorato per un’industria farmaceutica. Avevamo avuto contatti con la Turchia per una quindicina di anni nei periodi di vacanza e infine quella terra è stata un po’ la nostra “via di Damasco”. Decisivo è stato – per il nostro cammino di famiglia – il contatto con le persone del posto, nella quotidianità, durante quelle vacanze che potevano durare 15 o 20 giorni, in ambienti lontani dalle zone turistiche, che raggiungevamo con un piccolo camper.
C’era questo desiderio di partire, io mi sono licenziato dalla mia azienda e ora siamo là, in collegamento con il Vicariato Apostolico dell’Anatolia che ha un vescovo che si chiama Luciano Padovese. Ci troviamo a 900 chilometri dalla più vicina chiesa cattolica e a 600 da una siro-ortodossa.
Viviamo fra i nostri amici turchi, soprattutto i nostri amici kurdi, che sono in maggioranza nella regione e che arrivano a circa 20 milioni nell’insieme della Turchia. Per questo popolo la vita è dura e noi – vivendo in contatto diretto con i più poveri tra loro – ci troviamo tante volte a piangere, lo diciamo senza vergogna, quando ragioniamo o siamo spettatori di eventi drammatici, non perché siamo diventati psicolabili, ma perché la realtà che ci circonda è talmente forte e tanto ci sovrasta da ogni lato che avvertiamo immediatamente la nostra incapacità di porvi rimedio.
Viviamo la nostra fede condividendola, tutte le domeniche, con dei profughi iraniani convertiti dall’Islam al cristianesimo, che sono protestanti perché hanno incontrato un pastore protestante e negli anni, stando insieme, hanno deciso per il battesimo. Ecco dunque che ci troviamo a vivere il nostro esser cattolici insieme a un gruppo di protestanti, che sono ex musulmani iraniani, e a noi sembra la cosa più naturale di questo mondo. Prima eravamo una trentina, ora siamo rimasti in 13 o 14 perché alcune famiglie dopo una decina d’anni di permanenza, per così dire ‘al nero’, nella nostra cittadina che è piuttosto piccola, sono riuscite ad avere lo status di rifugiato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati e sono riuscite a partire. Il nostro è uno stare insieme senza fare discorsi teologici, anche perchè nessuno di noi sarebbe all’altezza di farli. Viviamo domenica dopo domenica una liturgia della Parola con loro e così condividiamo la parola di Gesù e in qualche modo ci intendiamo. Per quello che mi riguarda, io mi sono rafforzato moltissimo nella mia cattolicità stando con dei protestanti o stando con degli ortodossi in altre zone, perché mi sono reso conto della bellezza e del respiro di un Concilio Vaticano II e anche di quanto manchi agli ortodossi un Concilio come il nostro.
Abitiamo in un villaggio e abbiamo una casa di terra che esternamente sembra una casa normale, però i muri sono proprio di fango, come tutte le case del villaggio. In quella zona di montagna dove d’inverno fa un gran freddo – adesso che siamo venuti via c’erano 15 o 20 gradi sottozero, con tantissima neve – abbiamo scoperto che una casa di terra con la stufa in una sola stanza centrale d’inverno mantiene benissimo il calore, mentre d’estate è sempre abbastanza fresca.
Il rapporto con la popolazione è ottimo. E’ stato fondamentale per noi imparare anche il kurdo, oltre al turco. Inoltre io – Costanza – sto studiando il persiano perché ci sono anche tanti profughi iraniani che vivono lì e ora stanno arrivando gli afghani. C’è bisogno di stabilire un contatto con questa gente che arriva, che non ha niente e non conosce la lingua locale. E’ per poterli aiutare che stiamo cercando di entrare in queste lingue.
Noi insegniamo l’inglese in una piccola scuola per bambini che hanno difficoltà e che è aperta anche ai figli di rifugiati iraniani. Svolgiamo questa attività di insegnamento anche per entrare in contatto con le famiglie, per stare con loro ed entrare sempre più nella loro realtà. In questi anni poi, grazie all’aiuto degli amici italiani, siamo riusciti a realizzare una scuola di tappeti e un’altra di alfabetizzazione per le ragazze, che non vanno a scuola e non sanno leggere e scrivere.
In questa nostra avventura non ci siamo posti dei limiti, non abbiamo in mente di ritornare in Italia tra un po’ di tempo: per noi ormai la vita è questa. Magari non staremo sempre in Turchia, ma sappiamo che ormai la nostra vita anche altrove sarà fatta così. Questi dieci anni ci hanno insegnato tante cose, abbiamo imparato a vivere in un altro modo. Ci siamo resi conto che si può vivere in un altro modo.
Per far questo ci siamo “alleggeriti”. Non abbiamo più niente a Firenze, abbiamo lasciato la casa dove abitavamo, la macchina e altre cose. Io – Gabriella – dico che ora la nostra è veramente una vita leggera e certo chi non lo prova non lo può capire ma noi ci sentiamo liberi e questo in ogni posto dove andiamo: in Turchia abbiamo tanti amici, ma possiamo far casa dappertutto, non abbiamo bisogno di una casa “per noi” perché la casa è dove ci sono delle persone che ci accolgono.
Così è la nostra vita di ogni giorno, che ci aiuta a trovare delle strade che ci portano a Lui, alla Parola. Perché è talmente più grande di te questo mondo ed è così facile sentirsi schiacciati che a un certo punto ti rendi conto che noi come donne e come uomini, abbiamo un’unica possibilità che è quella di rimetterci a Lui e questo diventa così liberante che io – Roberto – vorrei tanto poterlo trasmettere a chi occasionalmente mi ascolta.
Quello in cui viviamo è un mondo davvero lontanissimo da quello italiano. Oltre ai pochi cristiani che dicevamo sopra ci sono nella nostra zona anche altri protestanti, una cinquantina di persone che, quando gli chiedi di quale chiesa protestante siano, rispondono: “Mah, siamo protestanti!” E a noi va bene così.
Queste persone sono poverissime, non hanno soldi per curarsi, se si ammalano muoiono ma accettano la vita e la morte con una naturalezza e una semplicità che noi non abbiamo. E’ un altro modo di capire le cose, di apprezzare la vita. Quello che ci colpisce è la gioia di queste persone. Se fossimo noi in quelle condizioni chissà come faremmo ad andare avanti, loro invece apprezzano ogni momento di gioia e riescono a essere felici.
Siamo a zero battesimi, non c’è bisogno di dirlo: a zero conversioni. Ogni tanto gli amici kurdi ci dicono: “Ma voi che siete delle brave persone perché non diventate musulmani?” Questo ce lo dicono perché per loro si salvano solo i musulmani e loro ci vogliamo bene e vorrebbero che ci si ritrovasse in Paradiso tutti insieme. Rispondiamo: “Ma noi crediamo in un Dio che ci salva tutti!”
Noi cerchiamo di ritornare a un discorso di ‘fraternità’ un poco come l’intendeva Charles de Foucauld che ha scoperto la sua identità di cristiano vivendo in mezzo ai Tuareg come un loro fratello: questa è la cosa che conta! Al di là delle fedi che talvolta sono anche aggressive nel modo di imporre il proprio credo agli altri, quella di “essere fratello dell’altro” noi crediamo che sia la risposta più bella per tutti: essere insieme all’altro, vivere con l’altro e condividere la sua vita.

Nella sua esperienza turca la famiglia Ugolini ha abitato prima a Urfa, ai confini con la Siria, e poi – e tutt’ora – a Edremit, a 18 chilometri da Van, nei pressi della frontiera con l’Iran. La loro casa è in un quartiere popolare di Edremit che si trova a millesettecento metri di altezza, con una popolazione di pastori, donne analfabete che tessono ai telai, bambini che lavorano. «Dal punto di vista di un occidentale» dice Roberto «noi non facciamo nulla: lezioni di inglese ai bambini, ogni tipo di aiuto a chi ce lo chiede. Ma anche loro aiutano noi, tutti i giorni. Quando ci chiedono perché siamo venuti e noi rispondiamo: “perché ci piace stare con voi”, quelli di qui capiscono benissimo».

Ho saputo della famiglia Ugolini dal fascicolo 12/2009 di KOINONIA, piccola e vivace rivista pistoiese. Ho fatto ricerche in Internet e ho scoperto che la narrazione più completa della loro esperienza è nel volumetto pubblicato dall’editrice Meridiana di Firenze nel 2005: Roberto Ugolini, Cinque anni nella Turchia dell’Est. Il volume ha avuto una seconda edizione nel 2011 con il titolo “Via dello stupore. Dieci anni nella Turchia dell’Est”, Editore Pardes

[Gennaio 2010 – aggiornamento luglio 2016]

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