Alpidio Balbo cento viaggi in Africa e seicento pozzi

 

C’è stato un momento di festa tutta italiana durante la prima delle tre giornate del viaggio papale in Benin, il 18 novembre 2011, quando Benedetto ha incontrato presso la Nunziatura un creativo “missionario laico” italiano: Alpidio Balbo di Merano, che era al suo centesimo viaggio africano e che da quattro decenni anima – insieme alla moglie Carmen – un movimento di aiuto all’Africa che si chiama “Gruppo missionario di Merano” (GMM: per saperne di più visita il sito internet http://www.gruppomissionariomerano.it/). Il fondatore del Gruppo è stato presentato al Papa dal nunzio in Benin, arcivescovo Michael Blume.

Mi racconta Alpidio che Benedetto è restato “colpito” nell’apprendere che quel piccolo uomo sorridente che da poco aveva compiuto 80 anni avesse potuto compiere così tante “trasferte” africane, portando a quelle popolazioni il suo generoso aiuto soprattutto con lo scavo di pozzi (il progetto ha il motto “Un pozzo per la vita”) di acqua potabile nei villaggi che ne sono sprovvisti in Benin, Togo, Burkina Faso, Niger, Ghana, Camerun, Ciad, Kenya, Madagascar, Congo. E così anche in America Latina: in Brasile, Ecuador e Perù.

Alpidio (che in Africa chiamano “Papà Balbo”) domenica 19 novembre è stato ospite di “Raiuno” durante la diretta della Messa che Benedetto XVI ha celebrato nello stadio di Cotonou ed ha potuto narrare ai telespettatori la sua avventura: “E’ iniziata in Togo durante un viaggio di vacanza, in una fase di convalescenza dopo un grave incidente stradale. Il 4 marzo del 1971 visitando una missione è avvenuto qualcosa che mi ha cambiato la vita: in poche ore ho visto sei bambini morire davanti ai miei occhi per mancanza di medicine che sono del tutto comuni in Europa. Io, turista benestante, ne ricevetti un pugno nello stomaco e uno scossone decisivo per la mia fede abitudinaria. Quel giorno ho capito che Cristo era venuto a visitarmi”.

Tornato a Merano raccoglie medicine e riparte per l’Africa: “Ho visto un bambino guarire grazie alle medicine che avevo portato io. Sono scoppiato a piangere. E ho alzato gli occhi al cielo chiedendo al Signore di aiutarmi. Capivo che non potevo più barare con quella gente. Ora dovevo dare una risposta”. La risposta fu quella di dedicarsi a tempo pieno all’Africa.

Dalla “conversione” di quel piccolo commerciante in macchine da cucire è venuta la costruzione di 600 pozzi per l’acqua potabile e di 80 tra scuole e centri di formazione professionale. Ma sono venuti anche piccoli ospedali, dispensari, centri nutrizionali, 200 container spediti dall’Italia, un migliaio di bambini aiutati con il sostegno a distanza. In essa è sostenuto da seimila benefattori e un centinaio di associati.

Da diciassette anni mi considero un “amico a distanza” di Carmen e Alpidio, che sono tra le persone più generose che conosco. L’affiatamento e la complicità spirituale della coppia è straordinario. Sono arrivati – nel marzo 1995 – alla consacrazione nella comunità dei “Figli di Dio” di don Divo Barsotti. Ho parlato con loro al telefono tante volte e il 18 maggio 2010 ho avuto la possibilità di abbracciare Alpidio che era venuto a sentirmi in occasione di una mia conferenza a Merano.

[Novembre 2011]

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