Rosaria Schifani «Io vi perdono però vi dovete mettere in ginocchio»

La preghiera di Rosaria Costa alla messa per il marito Vito Schifani – che faceva parte della scorta di Giovanni Falcone – ha commosso il mondo. La poveretta perdonava e si ribellava, negava con le sue aggiunte le parole di speranza che si era impegnata a leggere, ma le ha volute leggere per intero. E alla fine abbracciava il cugino prete che le aveva proposto quella preghiera e che a metà della lettura l’aveva invitata a smettere. Altre volte abbiamo avuto testimonianze più nette. Questa ci commuove di più perché incompiuta, come è sempre una parola di perdono su questa terra. Contraddetta ma letta tutta e non rinnegata, neanche il giorno dopo.
Questa ragazza di 22 anni, cui hanno strappato il marito poliziotto, che non ha potuto vedere morto, tanto era fatto a pezzi dalla bomba – questa piccola donna, restata sola con un bimbo di quattro mesi voleva davvero perdonare, ma al momento di farlo la sua carne si è impennata. Ed è andata avanti mescolando la ribellione al perdono. Ecco per intero quella preghiera: le parole in neretto sono quelle che Rosaria ha aggiunto al testo scritto, che era stato approvato dal Cardinale.
Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo
Stato, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia.
Adesso, rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, e non, ma certamente non cristiani: sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono. Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però…
Se avete il coraggio di cambiare… di cambiare; loro non vogliono cambiare, loro, loro non cambiano, non cambiano… Se avete il coraggio di cambiare radicalmente i vostri progetti, i progetti mortali che avete…
Tornate a essere cristiani: per questo preghiamo nel nome del Signore, che ha detto sulla croce: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Pertanto vi chiediamo per la vostra città di Palermo che avete reso… che dolore, che dolore… l’avete resa una città di sangue…
Vi chiediamo signori per la città di Palermo che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia e la speranza e l’amore per tutti… non c’è amore qui, non ce n’è amore qui, non c’è amore per niente!
La preghiera l’aveva scritta – vegliando i cinque morti nel palazzo di giustizia di Palermo, la notte di sabato 23 maggio – don Cesare Rottoballi, 34 anni, cugino di Rosaria. Che era incerta, ci aveva pensato tutta la notte e infine aveva accettato. E aveva ricopiato di suo pugno il testo del cugino e l’aveva firmato.
Il giorno dopo questa cristiana che ha combattuto una grande lotta con l’angelo ha detto ai giornalisti: Quel messaggio avrebbe dovuto essere solo di pace e di perdono. Ma poi in chiesa, guardando quelle facce, non ce l’ho fatta. Avrei dovuto leggere parole che parlavano di pentimento e loro non si pentivano… Io sono una persona semplice, credo profondamente. Penso che solo Dio abbia il potere di condannare. Ma mentre leggevo quel messaggio, gridare “inginocchiatevi!” mi è venuto dall’anima.
Rosaria che non hai potuto nominare Vito senza dire “Vito mio”, che sei svenuta in mezzo a quella messa, mentre noi in chiesa non sveniamo mai: tu ci ricordi Giona che non riusciva a pronunciare le profezie che il Signore gli comandava, ci ricordi Giobbe che non cedeva alle consolazioni degli amici e Paolo VI che rimproverò il Signore per non aver salvato Moro.
Quella preghiera – quell’intimazione di pentimento – almeno un frutto l’ha dato, documentato dalle cronache giudiziarie: è stata all’origine del pentimento di Narduzzu (Leonardo) Messina, boss di San Cataldo, che pochi giorni dopo il funerale di Falcone chiese di parlare a Paolo Borsellino e gli disse:
“Mi hanno colpito come macigni le parole pronunciate in tv da Rosaria Schifani, la vedova dell’agente morto con Falcone, e il suo appello ai mafiosi. Ci ha invitato a pentirci, così ho deciso di uscire dall’organizzazione”.

Dal mio volume “Cerco fatti di Vangelo. Inchiesta di fine millennio sui cristiani d’Italia”, SEI 1995, pp. 74-76