Osvaldo Piacentini: “Alla scoperta della bontà misericordiosa del Signore”

 

Ho conosciuto Osvaldo Piacentini (1922-1985) ad Assisi, nell’agosto del 1972, a una settimana della Comunità del Diaconato, di cui era instancabile animatore. Lo ricordo presente a ogni momento della giornata, con un’agenda in mano, a guidare canti e dare avvisi, accompagnato con festosa collaborazione dalla moglie Liliana e dai dodici figli. L’ho riscoperto dopo la morte, leggendo alcuni suoi testi che mi sono venuti da amici reggiani e bolognesi. Negli anni è divenuto importante, a sostegno della mia preghiera, il testo di una sua lettera a una ragazza africana della parrocchia dov’era diacono, scritta dall’ospedale due mesi prima della propria morte, nel giorno in cui la ragazza aveva perduto un fratello in un incidente:

Carissima Adia, ho saputo poche ore fa dai ragazzi che tornavano da Messa la notizia della disgrazia che avete subito […]. Come sai sono qui ricoverato in ospedale ammalato abbastanza gravemente e sto dettando questa lettera a mia figlia Anna che te la consegnerà. Volevo però consolarti ricordandoti che, per i cristiani, i morti sono coloro che riposano, i dormienti, aspettando la risurrezione; la risurrezione che ci è stata promessa appunto con la venuta di Gesù. Tu che canti in chiesa la Sequenza di Pasqua ricordi a tutti, cantando, quello che oggi può consolare nella speranza te stessa: il Signore della vita era morto, ora il Signore è vivo e trionfa. Perché quanto è oggi avvenuto possa significare un grande passo in avanti nella scoperta della bontà misericordiosa del Signore, io ti consiglio di leggere e meditare altri due brani della Scrittura: il primo preso da Ezechiele capitolo 37 [“Aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri”]; il secondo brano, preso dalla liturgia odierna, della Prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, capitolo 4, 13-18 [“Verremo rapiti sulle nubi per andare incontro al Signore”]. Adesso la cosa importante è quella di pregare per Louis, senza stancarsi mai, come dice San Paolo. Da me un abbraccio affettuoso. Osvaldo, diacono.

Partigiano, attivo per un decennio nella vita politica cittadina di Reggio Emilia, architetto e urbanista che svolge la sua attività tra Reggio e Bologna, animatore parrocchiale dal 1960, diacono dal 1978: in ogni attività portava tutto se stesso, gioviale a tavola e con tutti ma severo negli impegni che assumeva.

Don Giuseppe Dossetti (ma la conoscenza di Osvaldo con Dossetti risale al 1942, quando non era ancora “don”) e don Alberto Altana sono stati il suo principale ispiratore e il suo primo alleato nella vicenda del diaconato.

Dell’impegno partigiano di Osvaldo, Giuseppe Dossetti (che fu suo comandante) ha dato questa ricostruzione: “Il 4 dicembre 1943 chiamato alle armi fugge insieme al fratello Bruno a Palagano di Montefiorino, dove conosce elementi che stanno già organizzando la futura resistenza. Il 19 gennaio 1944 Osvaldo e Bruno devono abbandonare quel rifugio per un rastrellamento e pochi giorni dopo Bruno si presenta al battaglione lavoratori di Guastalla per ottenere la scarcerazione del padre, arrestato a causa della loro fuga. Il 20 febbraio Osvaldo viene individuato e arrestato davanti alla Chiesa di don Cocconcelli, dove si era recato per passare alle file partigiane. Viene incarcerato e percosso nel carcere dei Servi, dove rischia molto perché rifiuta l’arruolamento volontario. Irreggimentato nella brigata Monte Rosa, e inviato per l’addestramento in Germania, rimpatriato nel luglio 1944, riesce a farsi trasferire a Fivizzano, donde il 10 dicembre fugge nuovamente per arruolarsi tra i partigiani della terza brigata apuana ed è poi inviato al comando unico di Reggio. Ma il 22 febbraio, mentre cercava di fare con Bruno nuovamente visita ai genitori, è con lui nuovamente catturato in divisa di partigiano e armato. La pattuglia tedesca che li ha sorpresi, li conduce in un luogo poco distante per la fucilazione immediata. Ma il loro contegno dignitoso e forte, di credenti, si impone all’ufficiale tedesco, che soprassiede alla fucilazione e li trasporta a Reggio, nuovamente nel carcere dei Servi, dove resta fino quasi alla vigilia della liberazione”.

Nei giorni della prima prigioni scrive una lettera alla famiglia che segnala come a 21 anni egli fosse già fermo e forte:

In nomine Domini. Carissimi, sono molto su di morale e tutto va bene. Non spaventatevi e mettetevi calmi. Sia fatta la volontà del Signore. Ho usato fino ad ora la massima sincerità e sono deciso ad andare fino in fondo. Non smuovete nessuno e non seccate troppo qui; non abbiate paura di nulla perché il Signore è dalla mia parte; pregate per me, ma chiedete soltanto che sia fatta la sua volontà. E se potete, mandatemi il Santo Vangelo, le Lettere di San Paolo, un Crocifisso e la corona del Rosario. E anche qualche candela perché siamo senza luce. Non preoccupatevi per il mangiare. Sto bene. Adesso sono a dormire sulla branda. Se mi volete fare un favore state calmi e rassegnati. Se il Signore ha permesso questo vuol dire che questa è la sua volontà.

In un testo del 1950 destinato ai giovani Osvaldo – che aveva allora solo 28 anni: ma era un educatore nato – traccia con sicurezza una linea di condotta cristiana nei confronti del denaro alla quale resterà fedele nell’intera esperienza professionale e familiare:

Voi state preparandovi alla lotta per il pane di ogni giorno, per la vostra casa, per l’educazione dei vostri figli. Ogni vostro minuto sarà assorbito dal lavoro. Non avrete pace anche nei momenti cosiddetti di ferie. Il vostro lavoro sarà il vostro padrone per sempre. Soltanto se saprete inquadrarlo, vederlo come accrescimento del bene del Corpo Mistico, sentirvi in ogni momento servi della Chiesa tesi a far sempre meglio a maggior gloria di Dio, potrete salvarvi. In caso contrario il lavoro diventerà la vostra maledizione, vi cercherete uno scopo al lavoro, e se non lo troverete in Dio il vostro scopo fatalmente diverrà il denaro. Sarà, prima del denaro, l’ambizione, il posto, la posizione, ma raggiunte le mete rimarrà soprattutto il denaro. E questo ad un certo momento vi dominerà.

Osvaldo è oggi per me un fratello che è andato avanti con passo deciso avendo compiuto scelte di generosità, avendo guardato con cuore fermo alla possibilità di morire, avendo affrontato con affidamento totale la malattia che l’ha portato al Padre, avendo trovato le giuste parole cristiane per consolare una giovane amica davanti alla morte di un fratello. Parole che ho applicato a me stesso in più occasioni.

Il testo di Giuseppe Dossetti e le citazioni dai testi di Osvaldo Piacentini li ho presi da “Osvaldo Piacentini. Il profilo morale e civile”, Centro Editoriale San Lorenzo, Reggio Emilia 1988 [riprende una relazione tenuta da Dossetti a un convegno bolognese del 2 dicembre 1988 sul tema “Osvaldo Piacentini un architetto del territorio”. Un’antologia di testi e lettere di Osvaldo è stata pubblicata nel 2000 dall’editrice Diabasis di Reggio Emilia: “Osvaldo Piacentini. Senza stancarsi mai. Scritti di un cittadino diacono”.

[1995 – aggiornato al 2000]