Cattolici e politica. Una “summa” dello storico Tassani

Ho passato buona parte del mese di agosto a leggere – lento pede – il libro di Giovanni Tassani Il Belpaese dei cattolici. Novecento italiano: politica e interpretazioni (Cantagalli, 265 pagine, 17 euro, prefazione di Sandro Magister). Andavo piano perché a ogni pagina trovavo nomi cari e citazioni nuove dai loro testi e agende e ogni carta d’archivio – spesso mai lette prima da nessuno – e non volevo perdere nulla. È una lettura feconda per chi abbia passione al tema, ricca di pietas per gli sconfitti, sapida nell’esplorazione degli aspetti nascosti di una grande storia.

I protagonisti nominati nell’indice sono Giuseppe Dossetti e Guido Gonella, Aldo Moro e Mario Scelba, Franco Rodano e Augusto del Noce, Gianni Baget Bozzo e Gabriele De Rosa. Ma innumerevole è la schiera dei convocati e via via veniamo informati sui rapporti di quei personaggi con De Gasperi e Fanfani e Gronchi, con Gedda e La Pira e Siri, Con Balbo e De Luca e Montini e non si finirebbe mai di allargare il cerchio. Se Dossetti parla a Rossena noi lo ascoltiamo attraverso gli appunti di Giuseppe Alberigo e Achille Ardigò, e con le note al margine contenute nelle agende di Amintore Fanfani.

Quando Luigi Gedda

andò in soccorso di Rodano

Il metodo di Tassani è “avvolgente e inclusivo” – come lui dice di Moro – e fa emergere connessioni, complicità, legami nascosti e a volte insospettabili. Si concentra per esempio in un lavoro sottile di scavo informativo e di auscultazione degli scritti per ricostruire quello che chiama “legame sotterraneo” tra Augusto del Noce e Franco Rodano interpretati come “speculari” l’uno all’altro e mettendone in luce le “impressionanti analogie” (p. 214).

Ecco una pagina rivelatrice di quella attenzione a unire pur distinguendo: è la 180s. Siamo agli anni 1950-51 e assistiamo alla fuggevole comparsa di una rivista promossa dai reduci della Sinistra cristiana di Franco Rodano e di Felice Balbo che si chiama Cultura e realtà. Esce per soli tre numeri, è diretta da Mario Motta, ha in redazione Cesare Pavese e Augusto del Noce. Su quella rivista Rodano scrive un saggio su Laicismo e Azione cattolica in Italia, firmandosi con lo pseudonimo Novacco. Gli risponde, sul numero seguente, Gianni Baget Bozzo. La rivista è stampata da Luigi De Luca, fratello di don Giuseppe De Luca e ha tra i suoi sostenitori economici Luigi Gedda. Ebbene io dico ai miei lettori: se trovare invischiati in una pagina e in una iniziativa, sia pure effimera e impossibile, uomini tra loro distanti come Gedda e De Luca, Pavese e Del Noce, Rodano e Baget Bozzo vi dà qualche scossa, ebbene siete i lettori giusti per il volume di Tassani.

Sempre in quella pagina Tassani ci segnala che del “parziale apporto” a quella rivista venuto da Luigi Gedda “né Rodano né Balbo mai sapranno”. E come lo sappiamo noi, allora? E’ una scoperta di archivio del nostro autore che mette in nota questa avvertenza: “Nelle carte di Luigi Gedda, in riordino presso l’Istituto Paolo VI di Roma, vi sono riscontri di un interessamento per Cultura e Realtà e il suo gruppo redazionale”.

Dossetti concelebra con Siri

all’ordinazione di Baget Bozzo

Altra pagina rivelatrice è la 228 dove Gianni Baget Bozzo viene ordinato prete a Genova dal cardinale Siri il 17 dicembre 1967 nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore: “Sono presenti tra gli altri Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Luigi Gedda, Nino Badano, nonché molti amici politici di segno diverso, tra cui i comunisti Gelasio Adamoli, ex sindaco della Liberazione, e Giorgio Doria. Dossetti concelebra all’altare, La Pira riceve la comunione dalle mani del neo-sacerdote”.

Io in ambedue i casi – della rivista Cultura e realtà e dell’ordinazione di Baget Bozzo – mi sento coinvolto maledettamente, perché ho frequentato Rodano nella casa di via di Porta Latina a Roma e sono stato alunno della sua Scuola italiana di scienze politiche ed economiche (SISPE) nel 1971-1972; e perché sono stato ospite di Baget Bozzo nella mitica casa di Genova e l’ho presentato a Scalfari all’inizio della sua collaborazione ventennale alla Repubblica, nella primavera del 1976. In qualche pagina ho avuto l’impressione che questo libro fosse scritto per me. Per esempio quando le note danno conto dei Diari di Amintore Fanfani conservati nell’Archivio del Senato e trovo oggettivato qualcosa di quanto ero venuto almanaccando già da ragazzo, ascoltando i giornali radio.

C’è una pagina – la 153 – dov’è citato un brano di un discorso di Aldo Moro segretario della DC al Consiglio nazionale del 17 maggio 1963 che può essere usato per descrivere il metodo storico di Giovanni Tassani: “Credo di poter dire all’on. Scelba che io ascolto tutto quello che mi si dice e ne tengo il massimo conto (…). Tutto quello che io sento accolgo in me con un grande scrupolo, direi con tormento, perché tutto è vivo e presente nella mia coscienza (…). E non c’è niente di quello che mi sia stato detto che, prima o poi, in modo positivo o in modo negativo, non affiori in me, non affiori nella DC, contribuendo a costituire la dialettica ricchezza del nostro partito”.

Simpatia per il molteplice

e cura dell’unità

Proprio questo fa Tassani: indaga e da ogni frutto cava un succo e tutto conserva e se può unisce, collega, riconduce a unità in quest’opera della dispiegata maturità. Come dipendesse anche da lui tenere unito il mondo dei cattolici. Egli appare dispiaciuto quando deve dare conto delle impennate di Gronchi, di Dossetti, di Fanfani, di Scelba che mettono a rischio le strategie larghe di De Gasperi e di Moro. Lo muovono insieme la simpatia per il molteplice e la cura dell’unità. Qui – nel lavoro dello storico – non è più il “partito cristiano” da tenere unito, ma il patrimonio storico del cattolicesimo culturale e politico e al nostro autore preme che di quel patrimonio nulla vada perduto e tutto e tutti vengano ascoltati e considerati, oltre l’ortodossia di partito e oltre la legittimazione ecclesiastica. E’ il caso di Del Noce e Baget Bozzo a destra, di Rodano e De Rosa a sinistra.

Il caso di Baget Bozzo è il più emblematico, perché il battitore libero – e quasi libertario – di Genova va sia a destra sia a sinistra e in ambedue i casi Tassani lo segue e si direbbe che lo pedini, lo studi e l’interpreti con scrupolo e con tormento, per usare le parole di Moro e cerchi di nulla sperdere di ciò che il “mobilissimo Baget Bozzo” – così lo chiama a p. 221 – va ipotizzando e argomentando nei decenni.

Tassani è dispiaciuto quando qualcuno viene tirato da una parte, o escluso, o male interpretato, o “spregiato” come dice con sofferenza. Si dispiace per chi viene spintonato verso destra dall’opinione dominante e si tratterà di Gonella e Del Noce e ancor più di Scelba e Gedda, e del Baget Bozzo a cavallo degli anni conciliari che la vulgata progressista facilmente qualifica come reazionario e fascista (p. 219). Ma si preoccupa anche di chiarire che lo stesso Baget Bozzo non merita spregio neanche quando va a sinistra e si fa “interlocutore privilegiato dei giovani della generazione del ’68, capendo e cogliendo in loro quell’evoluzione, e involuzione, che li stava portando a un nuovo individualismo di massa: la società radicale” (p. 240).

“Che ci fa un prete fascista

nella Repubblica di Scalfari?”

Chi non ha vissuto il massimalistico spregio di quanto era di destra che dominava negli anni ‘60-’70 sappia che quando il nome di Baget Bozzo iniziò ad apparire sulle pagine di Repubblica arrivarono lettere di protesta: “Che ci fa un prete fascista sul vostro giornale”? Si fece un’assemblea e io sostenni – e Scalfari mi diede ragione – che quel prete anomalo, capace di dare nome a fatti e sentimenti nuovi, andava benissimo per Repubblica.

Una delle idee guida del volume è proprio quella di aiutare al superamento di una forzatura di giudizio che marchiò a lungo, in campo cattolico, chi “resisteva” alla vulgata innovatrice:  “Il senso delle ricerche riunite in questo libro vuol ristabilire la ragionevolezza, la sensatezza storica, di posizioni che furono viste invece in passato, quando si manifestarono, del tutto unilateralmente, come conservatrici o, peggio, quali espressioni di resistenza reazionaria al nuovo, al progresso e alla socialità vincente” (p. 15).

Che non si debba demonizzare chi va a destra come chi va a sinistra, ma che tutto si debba intendere e comprendere nel profondo di una fedeltà che può essere attestata anche nella disobbedienza, è un principio umanistico ed ecclesiale che Tassani applica costantemente al suo lavoro di storico e che in questo volume segnala due volte evocando le opzioni di disobbedienza di Franco Rodano e di Gianni Baget Bozzo.

La massima vicinanza

è con Gabriele De Rosa

A pagina 179 Tassani rievoca la fattiva collaborazione di Franco Rodano con Palmiro Togliatti che gli varrà “un interdetto ad personam con richiesta di ritrattazione – cui non vorrà soggiace, rinviando al primato della coscienza – che lo priverà a lungo dei sacramenti”. Mentre a pagina 240, in una nota sulla parabola post-sessantottina e socialista di Baget Bozzo, richiama il suo conflitto con il cardinale Siri e scrive: “Si aprirà allora una nuova fase nell’intera vita storica e spirituale di Baget Bozzo, vissuta nel segno del primato della coscienza credente, anche a costo di ammonizioni e sanzioni, che cesseranno solo molti anni dopo”.

Bella la cura dello storico per le minuzie: per esempio per gli pseudonimi con cui a lungo Franco Rodano (Teseo Consalvi, N. Novacco, Ignazio Saveri) e più brevemente Gianni Baget Bozzo (Gabriele Lori, Tommaso Rosci, Davide) si sentono costretti a scrivere. E che soddisfazione – legando lo studio alla realtà – quando Tassani può evocare la sua riuscita impresa di portare Franco Rodano a collaborare senza pseudonimo “a un foglio esplicitamente cattolico ed ecclesiale”, cioè al Regno, nel 1981, con un testo intitolato Nella storia comune degli uomini (p.188).

Forse il personaggio al quale Tassani si sente più vicino, tra tutti quelli che studia e interpreta, è Gabriele De Rosa. Non per vicinanza emotiva, che per quella la palma va senz’altro a colui al quale il volume è dedicato: “A Gianni Baget Bozzo, / fraternamente”. La vicinanza a De Rosa è tutta intellettuale, direi da discepolo a maestro. Ammirativa innanzitutto dell’ampiezza della sua esperienza umana. Questo è l’incipit del testo che gli dedica, “scritto con partecipazione” all’indomani della scomparsa, a 92 anni, nel dicembre del 2009: “Quando muore uno storico la sua grandezza è misurata non solo dalla vastità e profondità della sua opera ma anche, se non altrettanto, dalla sua biografia, cioè dalla ricchezza di esperienze, idee, contraddizioni, amicizie accumulate nell’esistenza terrena”.

Cercando or questa

e or quell’altra parte

De Rosa volontario in guerra che combatte a El Alamein e che dopo la guerra farà parte della Sinistra cristiana, che sarà nella redazione di Cultura e realtà (come ho già ricordato) e con Rodano nel PCI, che scriverà per Laterza la Storia politica dell’Azione cattolica in Italia (1953 e 54) e la Storia del Partito popolare (1958); che si farà genialmente erede di don Giuseppe De Luca e di Luigi Sturzo; che collaborerà al Tempo di Gianni Letta e al Giornale e alla Voce di Indro Montanelli; che sarà senatore dc (1987-1994) e poi deputato del Partito popolare di Martinazzoli (1994-1996).

La parabola di Giovanni Tassani è meno ampia ma anch’egli ha sempre cercato or questa e or quell’altra parte, accumulando un invidiabile patrimonio di frequentazioni: l’Università di Trento negli anni “formidabili”, il lavoro nelle Acli e al Regno, gli studi giovanili sulla destra cattolica e le amicizie che ne vennero e gli incontri con Baget Bozzo, Rodano, Del Noce, De Rosa e i loro vasti archivi e le giuste chiavi per passare ad altri con essi imparentati. Incontra anche Rienzo Colla della Locusta, per la quale cura un volumetto di Franco Rodano. Con Vittorio Tranquilli cura la pubblicazione di altri testi di Rodano. Con Baget Bozzo realizza un grosso volume intitolato Aldo Moro. Il politico della crisi (1962-1973), pubblicato da Sansoni nel 1983.

Tassani si appassiona – strada facendo – a ogni figura, a ogni cenacolo. Quante mai riviste di area cattolica censisce ed esplora, in maggioranza mai da me incontrate, e sì che siamo nati nello stesso mese dello stesso anno: Azione sociale, Politica sociale, Società nuova, Lo Stato, Stato sociale, Stato democratico, per nominare solo quelle che hanno nel titolo la società e lo stato. Ricordo d’aver scorso in appendice al primo saggio di Tassani, La cultura politica della destra cattolica (Coines 1976), un impressionante Indice delle riviste e dei giornali consultati per quel lavoro.

Esploratore di radici

e sentieri intrecciati

Conoscendo il mio legame con Domenico Farias [vedi il ricordo che ne ho fatto in questa rubrica il luglio scorso] mi ha fornito ultimamente la fotocopia di un suo saggio apparso nel 1959 su L’Ordine civile – rivista diretta da Baget Bozzo sotto il patrocinio di Gedda – con il titolo La parola di Dio e la risposta dell’uomo nel Nuovo Testamento. Incredibile esploratore di radici intrecciate il mio amico Tassani. Festeggia se trova Quinzio in Renovatio (p.283) e non gli sfugge un Giovanni Malagodi che scrive in mortem di Rodano rievocando la comune esperienza nell’Ufficio studi della Banca Commerciale italiana (p. 179).

Egli è anche uno spigolatore che si innamora dei numeri unici e delle edizioni non più in commercio. Regala a Gabriele De Rosa “un’autobiografia di Mao Tse Dun con sua prefazione”, cioè di De Rosa, “che accettò per averla persa negli anni”: vedi a p. 246 questo curioso episodio e il contesto dei vivaci incontri con il maestro. Sono stato anche a Palazzo Lancillotti e so qualcosa della conversazione con De Rosa sempre feconda di piste e suggerimenti.

Ma viene il momento in cui lo storico umile, che si appassiona al dettaglio, deve guardare più ampiamente ed ecco un testo magistrale che ci offre ad apertura del volume e la cui idea guida è detta dal titolo: Tra sinistra e destra. Con la Chiesa al centro (pp.17-48).

La via inclusiva di Moro

e il monito a fare spazio a tutti

La laicità di Sturzo, il senso dello Stato di De Gasperi, la via inclusiva di Moro, la “pazienza del non giudicare” di De Rosa che vaglia tutto e ritiene ciò che è buono: sono questi i lasciti politico-culturali della grande tradizione cattolica che Tassani segnala a chi lo voglia ascoltare. Una segnalazione a mio parere feconda e tra le più attuali in questo momento in cui di nuovo ci si interroga – tra i cattolici – sulle motivazioni del fare politica e sulle modalità pedagogiche per diffonderle tra i giovani.

Tassani non tratta dell’oggi ma dal suo lavoro su ieri viene un monito impegnativo a fare spazio a ogni voce, evitando i condizionamenti ideologici e la tentazione di procedere per le vie obbligate dell’adesione e della ripulsa (vedi in particolare alle pagine 221 e 250). Un invito a fare oggi in campo aperto quel lavoro di vaglio e di raccordo che ieri si faceva nel campo trincerato del partito cristiano.

Luigi Accattoli

Da Il Regno 16/2010

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