Incontrare Dio nella Rete

L’esperienza di chi modera un blog
Nella Rete incontro gli uomini e dunque in essa posso incontrare Dio. Navigando ci si imbatte in vantaggi e svantaggi per incontri veri esattamente come nella realtà: vi è più rapida la conoscenza e l’interazione con ognuno, ma più facili sono anche il fraintendimento e l’insulto. L’abbondanza delle occasioni moltiplica la tentazione dell’oblio.
Del continente digitale prendo in esame la sola blogsfera: cioè lo spazio dell’interazione scritta più immediata tra i visitatori di un sito. Il marzo scorso ho raccontato qualcosa della violenza che ribolle nella blogsfera: Nella Rete c’è più odio che nella realtà era il titolo. Ora tratto l’altra faccia, perché nella Rete ci va sia chi spregia sia chi cerca l’uomo. E chi cerca l’uomo – che lo sappia o no – cerca Dio e non è lontano dal trovarlo.

Gli si fa prossimo
o invoca la sua prossimità
Parto da qualche elemento descrittivo di quanto avviene nei blog e che può essere rubricato come occasione in cui l’uomo prende sul serio l’uomo e gli si fa prossimo o invoca la sua prossimità, dandogli un segno sia pur minimo di come lo guarda Dio.
Scusate – scrive un visitatore del mio blog – ma ho appena saputo che è morto un ragazzo di 19 anni della mia parrocchia e non aggiungo altro se non l’invito a rivolgere un pensiero di consolazione a questi poveri genitori il cui mondo è finito in pochi istanti”.
Un altro, un altro giorno: “Leggo adesso che un bimbo di 18 mesi, epilettico, marocchino, è morto per una crisi d’asma ‘perchè i genitori non avevano i soldi per curarlo’. Dio, se esisti, perchè permetti questo?”
Ancora: “Oggi a un’anziana che ha paura di finire all’inferno perché un suo figlio è morto per droga ho chiesto: ma lei ha amato suo figlio? E lei: più di tutti, perchè era quello che mi dava più problemi. Ecco, le ho risposto: Dio la ama così”.
Due settimane fa ho perso il bambino che aspettavo, ed è questa la terza volta per me che, nel perdere il figlio che porto nel mio grembo, l’ho raccolto con le mie mani, potendolo guardare con gli occhi e salutare fisicamente come un figlio nato, anche se di poche settimane e non sviluppato e cresciuto come le figlie che ho”.
Mio padre è morto il giorno di Natale alle 21 circa. Aveva una forma tumorale da 3 anni. Si è spento serenamente”.

Catene di solidarietà
e di invocazione
Il mio cuore è più volte morto – come scriveva Etty Hillesum – vedendo i bambini di Gaza affamati, impazziti, feriti, morti, deposti su un marciapiede nelle loro piccole sindoni colorate di sangue”.
C’è chi narra della moglie che sta iniziando il secondo ciclo di chemioterapia, chi informa che la figlia attende la nascita di una bambina focomelica, chi si sente portato via dal camion che ha travolto la fidanzata nella Repubblica Dominicana dove si trovava per un trimestre di lavoro e dove egli stava per raggiungerla.
Ma c’è anche chi comunica la sua gioia per la nascita di un bambino, chi annuncia che si sposa, chi esulta perche “la mia figlia oggi è diventata nonna”, chi chiede vicinanza nel giorno in cui riceve il diaconato. Uno narra un’illuminazione che gli è venuta meditando il Vangelo del giorno, un altro condivide uno spunto colto in un video o alla vista del mare, o l’aiuto a credere di cui ha fruito frequentando un uomo di Dio.
Si formano catene di solidarietà e di invocazione. Chi può dà consigli o rintraccia nella Rete qualche indicazione medica o tecnologica. Ci si accorda per sintonizzarsi a una “preghiera del mezzogiorno”.  In altri siti si fa di più. In quello di Antonio Socci, che da settembre ha una figlia in coma all’ospedale di Firenze, il 27 ottobre si leggeva: “Domenica scorsa, con quattrocento giovani universitari, gli amici di Caterina di Comunione e liberazione, abbiamo fatto un bellissimo pellegrinaggio a un santuario mariano, per mendicare la sua guarigione e la nostra conversione”.
Anche nella blogsfera dunque si può piangere con chi piange e ringraziare con chi è felice. Ci si può avvicinare a chi è ferito. Lo si fa in spirito ma si prendono anche  appuntamenti per scambiarsi l’abbraccio e pregare e mangiare insieme, dando corpo anche fisico alla comune ricerca dell’altro e di Dio.

Poi fuori dalla blogsfera
si scambiano messaggi personali
A volte non si arriva al contatto diretto ma si esce dalla blogsfera per una comunicazione via e-mail che può essere anche più intensa. Molti visitatori mi chiedono di trasmettere ad altri un messaggio personale e così si attivano relazioni familiari e calde.
Una visitatrice ha letto un mio commento alla “carità” paolina che “tutto sopporta” – Penso a una donna abbandonata dal marito che non sparla di lui con i figli” – e mi chiede consigli per attuarlo nella sua difficile situazione. Mi scrive uno che ha rotto con i figli a motivo dell’orecchio voluto dal maschio e dei capelli verdi scelti dalla femmina e chiede aiuto su come recuperarli, perché io un giorno ho scritto di “non badare” a capelli e orecchini. Una coppia senza figli mi interpella severamente avendo io sostenuto che si può fare propri i figli degli altri: “Lo dice lei che ne ha la casa piena”.
Il modo propriamente cristiano di incontrare Dio – ma il cristiano sa che ve ne sono altri – è di incontrarlo nell’uomo, facendosi suo prossimo: “Se sono cristiano, non solo posso ma devo vedere Cristo nel prossimo” (Hans Urs von Balthasar). Ne viene una reciprocità che ha dell’abissale, se l’avessimo presente nei nostri incontri da uomo a uomo: “Quando io mi avvicino al prossimo con questo sguardo e con questa buona disposizione, non solo egli rivela a me Cristo e Dio, ma io rivelo a lui Cristo e Dio” (idem). Obietteresti che ciò potrà valere per una Madre Teresa ma il teologo insiste che vale per ognuno: “come il solo e unico comandamento ordinario di Cristo, che ci obbliga a incontrare continuamente Dio nel modo più reale” (idem).
Quel comandamento ordinario ha a che fare con la Rete perché essa apre a impensate possibilità di incontro e ci provoca a una nuova attestazione nei confronti dei non cristiani: se sapessimo rapportarci a chi incontriamo nella Rete come a creature in cui inabita Dio, non solo dilateremmo la nostra esperienza di quella inabitazione, ma anche moltiplicheremmo le occasioni per darne testimonianza a chi non conosce il Cristo. A chi obietta che Dio non l’incontra né guardando il mondo né rientrando in sé – e magari ci rivolge l’obiezione in un blog – potremmo segnalare anche la via “digitale” come un luogo dove prendere sul serio il prossimo, poniamo  a quel modo in cui egli si vede seriamente considerato come prossimo dai veri cristiani. E dunque, poniamo, dall’interlocutore cristiano che al momento siamo noi. Non c’è via più breve e più diretta che possa portare all’incontro con Dio.

Quando vediamo nell’altro
una creatura amata da Dio
La blogsfera ci può aiutare a tenerci in contatto e a ricordarci la vocazione a fare di ogni contatto una comunione. L’incontro con Dio si verificherà poi – nella Rete come nella vita – quando ci sarà dato di vedere nell’altro una creatura amata dal Signore e di presentarci a lei nella stessa attitudine.
Ma è giusto prendere sul serio la blogsfera fino a questo punto? Io sento che dobbiamo farlo e dico che la Rete deve interessarci quanto la realtà: essa infatti è reale.
Ma che affezione reale ci può essere nei confronti di chi è lontano e che incrociamo solo in maniera virtuale? Diciamo “ricordami quando preghi”, ma è credibile che ci si “ricordi” di qualcuno non avendolo mai incontrato? L’apostolo Paolo non ne dubita e così scrive ai cristiani di Roma che non ha mai visto: “Io mi ricordo sempre di voi, chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi” (Romani 1). Oggi ci sono vescovi che tengono un blog e dunque possono trovarsi nella condizione di Paolo che interloquisce con chi ancora non ha visto. Anche i cristiani di Colosse Paolo non li ha mai visti (e mai li vedrà) eppure li sente fratelli: “Da quando abbiamo saputo vostre notizie, non cessiamo di pregare per voi” (Colossesi 1)
Lo scambio tra fratelli – come anche l’opera della carità – tende a trovare la sua pienezza nel contatto diretto, che il messaggio verbale non  può surrogare: “Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico (…). Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri” (Colossesi 4). Tichico è il latore della lettera, Onesimo è lo schiavo fuggitivo che Paolo a Roma ha portato al Vangelo e che ora rimanda a Filemone, il suo padrone, come messaggio vivente di una nuova pratica delle relazioni umane: “Non c’è più schiavo né libero”.

Se l’apostolo Paolo
avesse potuto fare uso dei link
Anche il link – che collega straordinariamente bene i bloggers tra loro – sarebbe stato utile a Paolo: “Quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi” (Colossesi 4).
Tanto di utile, se non tutto, l’apostolo Paolo e l’insieme dei nostri padri fino a ieri avrebbero potuto trovare in internet e nella blogsfera, tranne ciò che è più prezioso per predisporre all’incontro con Dio: il silenzio. Oltre a esso almeno altre due sono le condizioni perché la Rete sia occasione dell’incontro con Dio: cercarvi l’uomo e non accontentarsi dell’incontro virtuale. Una poi è la meta da perseguire: quella di riservare a quanti incontriamo navigando un’affezione memore e possibilmente fattiva. Ma di essa e del chiasso che domina nella Rete parlerò un’altra volta.
NB. Le citazioni di Von Balthasar sono prese dal testo Incontrare Dio nel mondo contemporaneo, Concilium 3/1965, pp. 34-50. Ho applicato alla Rete quanto egli dice del “mondo” d’oggi.

Luigi Accattoli
Da Il Regno 20/2009

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