Da Pietro Leopoldo a Papa Francesco. Il lungo cammino contro la pena di morte

 

Ponte a Poppi 23 febbraio 2019

 

Abolizione nel Granducato di Toscana nel 1786

Frutto di una fortunata stagione politica e culturale che permise questa precoce affermazione di un umanesimo giuridico a forte caratura cristiana che arriva a motivare l’abolizione della pena di morte come non necessaria, non confacente e soprattutto impedente la “correzione del reo della di cui emenda non può mai disperarsi”

Abrogazione favorita dalla limitata dimensione del Granducato. Infatti Pietro Leopoldo sarà più tardi Imperatore d’Austria (1790-1792) ma non abolirà la pena di morte nell’Impero. E quando l’impero napoleonico annetterà la Toscana, vi reintrodurrà la pena di morte.

La pena di morte di addice agli imperi. Anche oggi sono gli “imperi” che la praticano e la rivendicano. Ce l’hanno tutti i paesi più grandi e popolosi: Cina, India, Usa, Indonesia, Pakistan, Nigeria, Russia, Giappone… il Brasile forse la reintrodurrà…

 

L’Italia l’abolisce nel 1877

La Repubblica di Venezia non l’applicava più dall’inizio del ‘700. Ma la mantenne nel suo “impero” coloniale, cioè nel diritto coloniale.

Oltre che agli imperi la pena di morte s’addice alle dittature – il regime fascista la reintroduce – e agli stati pericolanti: la reintroduce anche lo Stato Pontificio dopo che la Repubblica romana l’aveva abrogata nel 1859.

 

Lo Stato Pontificio la praticava e la difendeva

L’attaccamento a questo istituto va visto nel contesto di un attaccamento a tutto l’assetto del vecchio regime: giustificava la schiavitù, non accettava la libertà di stampa, resisteva alla scuola dell’obbligo, faceva affermazioni sulla libertà religiosa che poi sono state rovesciate come quelle sulla pena di morte

L’abolisce Paolo VI nel 1969

Viene tolta dalla legge fondamentale dello Stato nel 2001

Ora è tolta anche la residua legittimazione teorica che era nel Catechismo

 

Sviluppo dottrinale che rivede un giudizio prudenziale

Una decisione coraggiosa, anche rischiosa, di recupero di un elemento di radicalità evangelica

Abbiamo un Papa che osa affermazioni che la tradizione avrebbe qualificato come “temerarie”: si definivano “temerarie”, nel linguaggio ecclesiastico tradizionale, le opinioni che contraddicevano un insegnamento prudenziale; mentre si definivano erronee quelle che contraddicevano una verità di fede. Temerarie e pericolose: e si direbbe che Francesco ami il rischio

Giudizio prudenziale e discrezionale – pragmatico – non dottrinale né infallibile né immodificabile – legato a circostanze storiche e in materie miste

Paragonabile alle posizioni espresse nei secoli sulla guerra – sulla schiavitù – sulla libertà di opinione e di stampa – sulla scuola dell’obbligo – sui roghi

 

Una revisione che va letta in chiave missionaria

La mia lettura del Pontificato – e, in essa, della modifica del Catechismo – pone al centro l’intento del Papa gesuita di promuovere una predicazione semplice, immediatamente comprensibile nella sua valenza evangelica, libera dalle distinzioni della tradizione europea, che ritiene non più proponibili all’umanità del mondo globale.

Una scelta rischiosa ma non priva di motivazioni. La dirò spregiudicatamente missionaria.