Il Concilio nella nostra storia: presenza del Vaticano II nell’Italia di oggi

 

Frosinone – Parrocchia del Sacro Cuore

Venerdì 11 dicembre 2015 – ore 18.00

Proviamo a guardare al Concilio dall’esterno, come lo può vedere un uomo del nostro tempo. Io sono un operatore della comunicazione in campo laico e rispetto alla vita interna della Chiesa sono un osservatore esterno, anche se personalmente partecipe. Quindi conservo un certo distacco.

A cinquant’anni dalla conclusione del Concilio, mi pongo la domanda: che cosa ha portato nella storia d’Italia? Che mutamenti, che semi, che segni ha lasciato? E che cosa ha colto l’umanità contemporanea di quel messaggio, di quell’evento, di quei documenti? Le cinque generazioni che hanno sperimentato e recepito l’evento conciliare che cosa hanno colto? Nel 1985 Giovanni Paolo II convocò un Sinodo per fare il punto a vent’anni dall’evento. E questo Sinodo definì il Concilio “massima grazia del secolo ventesimo”: che frutti ha dato quella massima grazia? Mi sforzo di dare un’immagine completa e tento di farlo con otto “immagini” dell’opera conciliare, dalla più semplice alla più complessa. Per ognuna di queste immagini cercherò di dire che cosa è andato bene, che cosa ha dato frutto, che cosa non lo ha dato, o lo ha dato solo parziale. Come le novità conciliari sono state percepite dal nostro popolo? Come le riprende oggi Papa Francesco?

Prima immagine: il Concilio ha riformato la liturgia. Ha girato gli altari, ha introdotto nelle celebrazioni le lingue parlate, ha rinnovato i riti, ha promosso le concelebrazioni. Questa è la prima immagine che io colgo, la novità più semplice, che non è sfuggita a nessuno. Chi al tempo era già adulto l’ha vissuta come un evento forte. Alcuni hanno reagito con disappunto, per nostalgia del vecchio rito. Ma anche chi non era partecipe alla vita ecclesiale ha percepito che la Chiesa cambiava: parlava le lingue moderne, modificava i gesti liturgici. Sono stati modificati anche gli edifici: uno di voi mi ha detto che questa chiesa fu la prima, in Frosinone, a girare l’altare. Se ne accorge – della novità liturgica – chi vede in televisione la diretta di una messa domenicale, o Papale. Che possiamo dire di questa prima immagine di grande mutamento? Certamente è riuscito. Papa Benedetto nel 2007 ha facilitato l’uso del messale di prima del Concilio, quello in latino e con il vecchio rito. L’introduzione di quella parziale modifica della riforma conciliare, nel senso di una sua revisione critica, è stata un’occasione per una valutazione statistica: prima del “motu proprio” di Papa Ratzinger in Italia erano una trentina le celebrazioni secondo il vecchio rito. Con la nuova normativa si stima che siano raddoppiate. Se si pensa che in Italia ogni domenica si celebrano oltre centomila messe, sessanta su centomila non hanno rilevanza statistica. La novità liturgica è stata non soltanto ben percepita da tutti, anche all’esterno della Chiesa, ma ha provocato disappunto in poche persone. Papa Francesco il 7 marzo scorso ha festeggiato il 50° della prima messa in italiano, affermando che l’introduzione delle lingue parlate nella liturgia è stato “un gesto coraggioso” e “non si può andare indietro” su questa strada dell’avvicinamento al popolo di Dio: “chi va indietro sbaglia”. Conclusione: la riforma liturgica ha cambiato il nostro modo di pregare quotidiano.

Seconda immagine: il Concilio ha modificato la figura degli uomini di Chiesa. Non voglio dire che ha modificato la Chiesa, che sarebbe un’affermazione eccessiva; dico che ha modificato la figura, l’immagine secondo cui la Chiesa è percepita nei suoi rappresentanti. A seguito del Concilio è cambiata l’immagine Papale. Questo è facile ad analizzare. Ma anche è cambiata la figura – qui immagine e figura si possono usare come sinonimi – del vescovo e del prete e del religioso. E sono sorte figure nuove: il diacono permanente, il lettore, l’accolito. Non tutto è stato consequenziale, non si è coerentemente riformato tutto il settore dei ministeri. Più di un Sinodo ha chiesto ai Papi del dopo-concilio di rivedere le norme riguardanti i ministeri ordinati, loro però non l’hanno fatto. Hanno ammesso le donne a leggere nelle celebrazioni Papali: le donne sono escluse formalmente dal ministero del lettorato, però l’esercitano di fatto. Leggono davanti al Papa come leggono in tutte le chiese. Quindi qui siamo in una situazione di passaggio in cui c’è una prassi nuova, ma le regole sono ancora quelle antiche. Tornando agli uomini di Chiesa – e già l’espressione “uomini di Chiesa” ci dice che la donna vi ha poco spazio – riconosciamo che la figura del Papa, la figura del vescovo, la figura dei sacerdoti sono mutate. Abbiamo visto che i Papi sono scesi dal trono, hanno abbandonato la sedia gestatoria. I cardinali avevano 15 metri di coda! Tutte queste cose sono state sfrondate. Si è andati all’essenza: il Papa oggi si comporta come un vescovo. Francesco ha tolto ogni segno di rosso nell’abbigliamento papale: quel rosso che invece è restato nell’abbigliamento di cardinali e vescovi e monsignori. I Papi non celebravano, assistevano alle celebrazioni. Ora celebrano con il popolo. Il prima Papa a celebrare con il popolo è Paolo VI. Poi il Papa è uscito dal Vaticano, è andato per il mondo; è andato persino a sciare, si è lasciato fotografare sulla montagna, in abiti non pontificali, si è curato negli ospedali. Prima, se il Papa doveva essere operato, si montavano le sale operatorie in Vaticano. È cambiata l’immagine Papale anche nell’operare del Papa: oggi egli è meno il capo della Chiesa ed è più apostolo. E poi il Papa recupera per intero la sua dimensione umana, cioè il Papa è un polacco, è un tedesco, è un argentino. Non si spersonalizza. Secondo la tradizione della controriforma tridentina il Papa non era neanche più italiano, anche se erano tutti italiani. Pio XII quando riceveva i pellegrinaggi italiani diceva “la vostra bella patria”; lui non si considerava italiano, era il Papa. I Papi oggi mantengono le loro attitudini, le loro idiosincrasie, le loro passioni. Papa Wojtyla ha pubblicato poesie da Papa. Non avveniva più dal Quattrocento che un Papa pubblicasse opere letterarie. Benedetto XVI pubblicava libri di teologia e diceva “ognuno mi può contraddire”. Francesco dà interviste a ripetizione e accetta ancora di più d’essere contraddetto. Ecco, è cambiata la figura papale: il Papa si ricomprende come un cristiano chiamato ad un particolare ruolo. Se non ci fosse stato il Vaticano II questo non sarebbe stato possibile. Non tutto è completo di questo mutamento, ma noi abbiamo capito in che direzione ci si muove, anche se è appena agli inizi. È stato significativo nella figura Papale, un po’ meno incisivo nella figura episcopale e sacerdotale; ma vediamo che è avviata la ricomprensione dei ministeri ordinati come funzione del popolo di Dio, e non come casta separata, ruoli staccati e al di sopra della comunità.

Terza immagine: il Concilio ha spostato – nella percezione collettiva – la collocazione culturale, sociale e politica della Chiesa Cattolica. Non voglio dire che ha spostato la posizione della Chiesa di fatto e sempre e in tutti i settori, ma nella percezione collettiva sì. La Chiesa era percepita globalmente come appartenente al blocco conservatore: magari non era giusto ma veniva percepita così. La Chiesa difendeva la proprietà privata. Certo, difendeva anche i diritti dei lavoratori, ma nell’opinione pubblica, collettivamente, globalmente era percepita come un’alleata della proprietà, del blocco conservatore; percepita in atteggiamento di contrasto con molte acquisizioni delle società democratiche e pluraliste. Questa percezione è cambiata ed è un frutto del Concilio. Riassumo questo concetto con un’istantanea: Giovanni Paolo II che il 14 novembre 2002 parla a Montecitorio alle Camere riunite. E’ la prima volta che un Papa visita il parlamento italiano, quindi non si può fare un paragone. Ebbene, la destra del nostro Parlamento lo applaudiva sui temi della vita, della famiglia e della libertà di educazione; e la sinistra lo applaudiva sui temi della giustizia, della pace, dell’accoglienza degli stranieri e del segno di clemenza per i carcerati. Quella immagine del Papa che parla a Montecitorio ci dice lo spostamento nella percezione collettiva prodotta dal Concilio: apparteneva al blocco conservatore e si è portata al centro. Per una serie di questioni oggi sembra alleata della sinistra e per un’altra serie di questioni sembra alleata della destra. Se nel nostro Parlamento fosse potuto andare un Papa prima del Concilio, probabilmente non ci sarebbe stata questa equa ripartizione di applausi sui singoli temi e i papi non sono andati prima anche perché erano percepiti come appartenenti ad uno schieramento. Oggi Francesco telefona a Pannella, Scalfari dichiara che destina alla Chiesa Cattolica l’8 per mille, Salvini polemizza con Francesco sull’accoglienza dei profughi. Altro elemento in cui si può evidenziare lo spostamento della Chiesa nella percezione dell’opinione pubblica sono i riconoscimenti degli errori del passato che sono in parte nei documenti conciliari e che sono stati poi sviluppati da Giovanni Paolo II nella Giornata del Perdono giubilare, il 12 marzo 2000. La Chiesa del Vaticano II non è più quella che resisteva alla scienza, quella che ricorreva al braccio secolare per avere sostegno nelle sue posizioni sulla scena pubblica, quella che discriminava i non-appartenenti alla propria compagine. E’ una Chiesa che chiede perdono per quei comportamenti. Anche questo è un riposizionamento.

Quarta immagine: il Concilio ha proclamato che i cristiani devono essere amici degli ebrei e ha avviato un cammino di riavvicinamento. Questo in Italia lo percepiamo poco perché abbiamo una comunità ebraica antichissima ma minima: la comunità ebraica più antica d’Europa, ma una delle più piccole. Lo percepiamo a livello intellettuale perché leggiamo, perché ci informiamo, ma quasi mai incontriamo ebrei nella vita quotidiana. Però sappiamo che nel mondo di ebrei ce ne sono e sappiamo che problema c’è, quanto è grande, quanto lo è stato storicamente. Quando Giovanni Paolo II è andato nella sinagoga di Roma, quando è andato al Muro del Pianto a Gerusalemme nell’anno 2000, quando ha chiesto perdono per il maltrattamento degli ebrei, tutta la nazione italiana si è accorta di questo nuovo atteggiamento. Abbiamo visto il rabbino Toaff abbracciare il Papa: senza il Concilio non avrebbe potuto avvenire, storicamente, questa immagine non esisteva. I papi al Muro del Pianto – dopo Giovanni Paolo vi sono andati Benedetto e Francesco – hanno pregato non assieme, ma nello stesso luogo e subito prima e subito dopo dei rabbini e hanno pregato con i Salmi, cioè con le stesse preghiere usate dai rabbini. Anche questo prima non era pensabile. Per rendere efficacemente questa situazione potrei citare due espressioni dialettali: una del paese dove sono nato io, Recanati nella Marche, e una del paese dove è nata mia moglie, Nerviano in provincia di Milano, due luoghi ben distinti. A Nerviano per dire che una persona è intrattabile, un poco di buono, un asociale, si dice: “E che, sei Ebreo?”. A Recanati, quando si fa la processione del Venerdì Santo detta del “Cristo morto” ci sono degli incappucciati che scortano Cristo che porta la croce e questi incappucciati sono chiamati cangiudei che vuol dire “cani giudei”. E cangiudeo nel linguaggio popolare vuol dire il cattivo, il perfido: “Si è comportato come un cangiudeo”. Neanche lo sanno le persone che cosa dicono perché lì ebrei non ce ne sono, è un’immagine, diciamo, di teatro. Non è antisemitismo, ma è il retaggio di un atteggiamento di diffidenza, avversione, inimicizia. Il Concilio ha sgomberato il campo da questo.

Quinta immagine del cambiamento: il Concilio ha voluto il riavvicinamento tra Chiese cristiane e le altre religioni. Anche questo in Italia lo vediamo poco. Perché in Italia di Chiese cristiane non cattoliche fino a ora c’erano solo i Valdesi, i Valdo-metodisti come suona l’attuale denominazione. Ma li si conosceva soltanto nelle Valli Valdesi, a Roma, a Milano, in altre grandi città. Nel resto del paese non c’erano. Adesso, con l’immigrazione dai paesi dell’Est europeo, ci sono gli ortodossi, più numerosi, e cominciamo ad avvertirne la presenza nella quotidianità. Prima era un problema degli intellettuali, che avevano percepito come sul pianeta, al di fuori dell’Italia, questa fosse una grande questione. Ora i cristiani cessano di combattersi, cercano di intendersi, di superare i contrasti del passato. Questa per noi cattolici è una conseguenza del Concilio. Quando vediamo i raduni ecumenici (magari in occasione dei viaggi papali nel mondo) oppure quando si riuniscono le Conferenze o le Assemblee del Consiglio Ecumenico delle Chiese e vediamo gli orientali con quei loro copricapi caratteristici, i luterani, i calvinisti che ormai vestono in abiti non ecclesiastici e hanno anche le donne ministro. Oggi si fanno queste grandi riunioni e si prega insieme. Quando Giovanni Paolo II e Benedetto convocavano le giornate di Assisi e c’erano anche i non cristiani, tutti i cristiani pregavano finalmente insieme il Padre Nostro. Non si era mai visto, non era mai stato possibile. E questo è un frutto del Concilio. Pensate quale sarebbe oggi la nostra difficoltà nell’indebolimento che sperimentano tutte le Chiese nel nostro mondo, europeo ed occidentale, che si va allontanando dalla tradizione cristiana, se ancora stessimo a combatterci tra cattolici, ortodossi, luterani, calvinisti come abbiamo fatto per tanti secoli. Pensate alla provvidenzialità che questo combattimento sia stato disinnescato proprio a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Quando Giovanni XXIII pensa al Concilio, non si percepiva la crisi cristiana che noi oggi abbiamo davanti agli occhi. Ebbene, se non si fossero fatti quei passi, se non si fosse disinnescata l’inimicizia, oggi noi ci troveremmo a far fronte alla secolarizzazione essendo ancora divisi gli uni dagli altri e in lotta tra di noi. Ancora, pensate che cosa sarebbe il problema di fare i conti con l’Islam, un interlocutore così difficile, se il Concilio non ci avesse preparati ad interloquire, a parlare con tutti; se avessimo mantenuto tutte le prevenzioni che avevamo prima e ci fossimo trovati con l’Islam in casa essendo assolutamente impreparati, avendo ancora la mentalità dei secoli in cui eravamo lontani, quando ognuno stava a casa propria e loro pensavano il peggio di noi e noi il peggio di loro. Dico di più e stringo questo ragionamento ad una data: la provvidenzialità che Giovanni Paolo II sia entrato in una moschea il 5 giugno del 2001, tre mesi prima dell’11 settembre. Dopo l’11 settembre probabilmente non sarebbe stato più possibile, sarebbe stato percepito come un gesto provocatorio. Per fortuna questo Papa profeta ci è entrato prima, ha creato un precedente e così sono potuto andare nelle moschee anche Benedetto e Francesco.

Sesta immagine: il Concilio ha voluto il dialogo con gli uomini di buona volontà. Ha creato i presupposti e le motivazioni perché i cattolici collaborassero con i non credenti in un lavoro comune a promozione dell’uomo e della pace. All’ultima marcia Perugia-Assisi c’erano, secondo la mia stima, forse 40.000 persone. Sono tante, non pagate da nessuno, arrivate da tutta Italia. Francesco ha inviato un messaggio di saluto. Questa marcia è fatta al 90% da cattolici: sono gli scout dell’AGESCI, sono le ACLI, è la Comunità di Sant’Egidio, sono le organizzazioni del volontariato, sono i giovani di Azione Cattolica. Ma poi si intreccia, in questa marcia, tutto il mondo laico, i Verdi, i radicali. Io sono andato diverse volte a questa marcia, non per marciare, ma perché lì avvengono dei dibattiti, per esempio uno organizzato a Perugia dalle ACLI la sera prima della marcia, a quarant’anni dalla “Popolorum Progressio”, nel 2007. Ebbene, un contesto di questo genere non era pensabile prima del Concilio. Nel 2003, quando c’era la grande discussione per cercare di evitare la guerra all’Iraq, Giovanni Paolo II gridava “Mai più la guerra!”. Ebbene, si tennero grandi manifestazioni per la pace in tutto il mondo: a Tokyo, a New York, a Londra, a Roma, più volte lungo tutta quella primavera. E Giovanni Paolo II era contento di quelle manifestazioni: le interpretava come un segno della maturazione dell’idea di pace tra i popoli. E quando indiceva le giornate di digiuno per la pace contro l’ipotesi della guerra e dichiaravano di aderire anche non credenti, lui era contento e ringraziava quelli che avevano aderito. Analogamente si è rivolto a tutti Francesco con la giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria, nel 2013 e con l’enciclica Laudato si’ dove è scritto: “Voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta”. L’atteggiamento di disponibilità a collaborare con gli uomini di buona volontà nella promozione della pace è un frutto della Gaudium et Spes in specie e del Concilio in generale.

Settima immagine di novità: il Concilio ha riconosciuto la libertà religiosa. Ho detto che si andava dalla cosa più semplice, che era la novità liturgica, alle più complesse. Bisogna porsi a livello universitario, ci vuole riflessione, bisogna essere informati, per capire bene cos’è la libertà religiosa. Ora che ci scontriamo con l’Islam iniziamo a capirlo perché vediamo cos’è la mancanza di libertà religiosa, l’oppressione nel campo della fede. Ma noi questi problemi li abbiamo superati e quindi per noi sono difficili da intendere. Riassumo con due frasi il cambiamento che c’è stato su questo tema. Nel Sillabo di Pio IX (1864) è condannata la proposizione n. XV che suona: “Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che, guidato dal lume della ragione, ciascuno avrà ritenuto vera”. E Benedetto XVI, ricevendo il 21 settembre 2007 i partecipanti a un Incontro promosso dall’Internazionale Democratica di Centro e Democratico Cristiana (IDC) afferma: “L’esercizio della libertà religiosa comprende anche il diritto di cambiare religione, che va garantito non soltanto giuridicamente, bensì pure nella pratica quotidiana”. Il contrario, dunque. Nell’Ottocento la Chiesa resisteva all’idea della libertà religiosa e condannava il diritto di cambiare religione. Adesso la Chiesa che si scopre nella sua dimensione universale e che subisce l’aggressione degli indù in India contro le conversioni al cattolicesimo e le fatwa islamiche, la Chiesa oggi rivendica la libertà di religione e ne scopre il valore. Con il Concilio, la Chiesa Cattolica ha avviato quello che Joseph Ratzinger in un libro-intervista ha definito “il grande balzo nel presente”. Non lo ha completato: lo ha avviato. Quando noi ci stupiamo leggendo come si comportano gli islamici nei confronti dei correligionari che si convertono al cristianesimo, dobbiamo riflettere sul fatto che noi facevamo lo stesso: anche noi condannavamo l’apostata. Il cambiamento di atteggiamento è venuto appunto dal Concilio con il documento sulla libertà religiosa.

Ultima immagine di cambiamento: il Concilio ha promosso partecipazione e concertazione all’interno della Chiesa. Qualche passo è stato realizzato: sono nati consigli, conferenze episcopali, sinodi, convegni, comitati. È come se la convocazione del Concilio fatta da Giovanni XXIII non fosse mai cessata, come se la Chiesa fosse rimasta in stato di concilio permanente. I vescovi sono tornati a casa, però ogni tre anni si riuniscono i sinodi, le conferenze episcopali si radunano una o due volte all’anno, nelle diocesi si fanno i sinodi locali. Bene, tutto questo lavorare, ricercare, studiare, discutere è un prolungamento della convocazione conciliare. Amo vederlo così. E lo vedo come un elemento di salute nella crisi che subisce il nome cristiano oggi nel nell’Occidente sviluppato, un elemento di forza. Noi stiamo svegli sui problemi della fede, non ci acquietiamo. Ma questo è anche il punto, tra i miei otto, dove il risultato è stato più parziale, solo iniziale. Perché questa partecipazione e concertazione che parte dal Concilio avrebbe dovuto realizzare, dare corpo e consistenza fattuale alla pari dignità di tutti i battezzati affermata dal Concilio, fondata sul Vangelo. “Uno solo è il Signore e voi siete tutti fratelli” dice Gesù. Il Vaticano II parla di pari dignità di tutti i membri della Chiesa: questa non è stata realizzata, non è ancora realizzata. Non voglio dire che non verrà realizzata; no: voglio dire che è ancora da realizzare. Il testo a cui faccio riferimento è Lumen Gentium 32: “Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune di tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo”. Ora io credo non ci sia bisogno di fare un lungo discorso per convenire che questo non è realizzato. È mutata la figura degli uomini di Chiesa, ma al mutamento delle figure papale, episcopale e sacerdotale non si è accompagnata un’adeguata promozione del ruolo dei laici e in particolare delle donne. E quindi la situazione resta sbilanciata. È vero però che dei passi di avvio sono stati fatti. Ne cito uno: il riconoscimento della santità degli sposati. Quando nel nuovo rito del Matrimonio si fa l’invocazione dei santi, si invocano i santi sposati: Rita da Cascia, Monica mamma di Agostino, Francesca Romana, Tommaso Moro: tutti santi antichi. Ma ultimamente in quelle litanie sono entrati Gianna Beretta Molla e, l’ottobre scorso, Ludovico Martin (1823-1894) e Maria Azelia Guérin (1831-1877), “coniugi”: cioè i genitori di Teresa di Lisieux, la prima coppia di santi dell’epoca moderna. Prima, per mezzo millennio, tra Tommaso Moro e Gianna Beretta Molla, non ci fu nessun riconoscimento di santi sposati. Ecco che cosa intendo quando dico che la pari dignità non è riconosciuta: il più gran numero di santi, in ogni epoca, erano sposati; ma questo non veniva riconosciuto perché non c’era il riconoscimento della pari dignità, perché si riteneva che la condizione del religioso, del sacerdote, del vescovo, del Papa fosse di maggiore vicinanza alla perfezione – come si usava dire – e quindi i santi andavano cercati in quella direzione. Ma i santi sposati c’erano in antico e ora stanno tornando, grazie al Concilio.

Concludo segnalando le parole con cui Francesco martedì scorso, otto dicembre, ha rievocato l’attualità del Concilio durante la celebrazione per l’aperura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia: “Oggi, qui a Roma e in tutte le diocesi del mondo, varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo […]. In primo luogo il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro, dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo”.

Parole che segnalano un atteggiamento di “ripresa” del lascito conciliare che ha riflessi anche nel programma riformatore che Francesco ha messo in cantiere. Papa Bergoglio segna una rinnovata attualità del Vaticano II nella nostra storia.