Il diritto a emigrare e quello a proteggersi dai troppi arrivi

 Forum su “le nuove sfide etiche per l’Occidente” – 21 novembre 2018

 

Tocco quattro aspetti: la parziale novità del fenomeno migratorio attuale, il diritto all’emigrazione, il quadro dei doveri e dei diritti connessi alla libertà migratoria, la distinzione tra rifugiati e migranti per lavoro.

 

Migrazioni come evento epocale

Vengono stimati in 244 milioni i migranti attuali nel mondo: cioè le persone che oggi vivono in un paese diverso da quello nel quale sono nate. A esse andrebbero sommati i figli nati dopo lo spostamento nel nuovo paese e forse il numero raddoppierebbe. Duecentoquarantaquattro milioni vuol dire poco più di tre (3, 3) su cento abitanti del pianeta: ovvero uno su trenta. Il numero dei migranti è in costante crescita: nel 1990 erano 153 milioni, nel 2000 erano saliti a 173, nel 2010 erano arrivati a 220.

Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), almeno 102.611 migranti e rifugiati sono giunti in Europa via mare dall’inizio del 2018 all’11 novembre scorso. Sempre dall’inizio dell’anno, 2043 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo. Nell’ultimo report, l’Oim segnala che siamo al quinto anno consecutivo durante il quale gli arrivi nel nostro Paese di migranti irregolari e rifugiati ha superato quota 100.000, anche se per gli anni precedenti tale soglia era stata raggiunta più presto rispetto al mese di novembre.

Quello delle migrazioni è ormai un fenomeno strutturale, ovvero non contingente, legato al crescente divario o quantomeno alla crescente percezione del divario tra Sud e Nord del mondo, nonché alla più diretta conoscenza – soprattutto televisiva e digitale – di come si vive altrove, e infine alla più facile possibilità di spostamento sul pianeta. I ragazzi che fanno il gesto di vittoria con le dita quando vengono salvati in mare sono spesso giovani “connessi” che online dal loro villaggio hanno visto e studiato le possibilità di arrivare nella benestante Europa.

Gli esperti ritengono “limitate” le attuali dimensioni delle migrazioni rispetto a ciò che vedranno i nostri figli. Migrazioni dunque come elemento saliente del mondo globalizzato, destinato a divenire primario per l’umanità di domani. Sua sfida di cultura e di umanesimo, ma anche suo potenziale contributo per l’incontro tra le civiltà.

La nostra emigrazione giovanile verso l’estero (sono oltre centomila i ragazzi italiani in età universitaria attualmente all’estero per studio o per lavoro: due dei miei cinque figli sono in Francia) e l’arrivo da noi di giovani immigrati ci segnalano un fattore di osmosi culturale, o di intercultura in progress, che certamente ci renderà più capaci di convivenze che oggi ci appaiono drammatiche o quantomeno ostiche.

La disponibilità dei nostri giovani verso i lontani e i diversi è una risorsa per tenere sotto controllo la paura dell’altro: ovvero, del lontano che si avvicina. E soprattutto del lontano che si avvicina troppo.

 

Diritto all’emigrazione

La prima affermazione del diritto all’emigrazione da parte dell’intera comunità internazionale la troviamo nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino” che è del 1948: Articolo 13 – comma 2: Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. Articolo 14 – comma 1: Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. Articolo 15 – Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Quindici anni dopo Giovanni XXIII nella “Lettera Enciclica Pacem in Terris” (1963), al paragrafo 12, così definiva il “Diritto di emigrazione e di immigrazione”: “Ogni essere umano ha diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”.

Per terza segnalo la “Convenzione Internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie”, adottata in sede Onu nel 1990, entrata in vigore nel luglio 2003: è il testo di diritto del mondo globale che meglio esprime l’attuale percezione d’insieme, umanistica e politica, del fenomeno migratorio.

 

Doveri e diritti connessi alla libertà migratoria

Il fenomeno della migrazione coinvolge un complesso di doveri e di diritti, primo tra i quali il diritto basilare allo spostamento migratorio, di cui al paragrafo precedente. Contestuale a tale diritto base va tenuto presente quello di ogni Paese a gestire una politica migratoria che corrisponda al bene comune nazionale e internazionale.

Né va trascurato il diritto a non emigrare, che spesso viene segnalato con un’affermazione oggi corrente nella polemica politica, che suona “aiutiamoli a casa loro”, che certo richiama il diritto a non emigrare ma di fatto ne muta il senso: perché originariamente questo diritto fa riferimento alla necessità che vengano garantite in ogni paese le condizioni per potervi realizzare le esigenze fondamentali d’ognuno; mentre in quell’uso polemico l’evocazione dell’intenzione di un futuro impegno a dare attuazione al “diritto di non emigrare” viene ad assumere il significato di attuale legittimazione ai respingimenti.

In altre parole: “aiutiamoli a casa loro” è parola giusta in prospettiva strategica, ma può risultare nell’immediato un alibi legittimante la chiusura all’accoglienza.

Forse la necessaria contemperazione dei due diritti può anche essere espressa con l’affermazione che il diritto/dovere degli Stati alla gestione dell’immigrazione deve comunque prevedere misure chiare e praticabili per l’ingresso regolare in essi: oggi per esempio si parla di “corridoi umanitari”. L’assenza di ogni previsione di tal genere non può che favorire gli ingressi irregolari.

 

Rifugiati e migranti per lavoro

Migranti forzati non sono solo quelli che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni, ma anche quanti fuggono la fame e la sete. Nel mondo sono in atto 33 guerre e guerriglie, in una sessantina di paesi sono violate o limitate libertà fondamentali, cresce ogni anno – anche a motivo dei mutamenti climatici – il numero di paesi travolti da disastri ambientali e carestie. A volte la fuga dalla fame può essere fuga dalla morte per fame.

Credo che ci si debba impegnare a ottenere il rispetto fattuale, nel nostro ordinamento, del diritto di ogni migrante a presentare la domanda di protezione internazionale: diritto affermato nella Convenzione di Ginevra e da noi riconosciuto, ma oggi fattualmente limitato in via amministrativa con l’esclusione di chi proviene da paesi che non sono in guerra o sotto dittature violente.

Un altro fronte di impegno per chi abbia a cuore l’esigenza di contemperare il diritto all’emigrazione con il diritto a difendersi dai troppi arrivi, lo vedo nell’opportunità di superare – almeno in campo legislativo e penale – la qualifica di migrante clandestino, che mira a denunciare un reato, quando risulti sufficiente quella di migrante irregolare, che invece segnala un’infrazione amministrativa.

Il solo fatto di “migrare” non dovrebbe costituire un reato, se davvero riconosciamo il diritto all’emigrazione. Nell’unica famiglia umana che si va costituendo non dovrebbero più esservi dei clandestini.

 

Bergoglio e l’accoglienza “prudente”

“Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio paese è in grado di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione”: così il Papa ha parlato il 9 gennaio 2017 al Corpo diplomatico. La sua non è dunque la posizione dell’accogliere tutti che gli viene attribuita.

Bergoglio ha lodato in quell’occasione il comportamento dell’Italia e di altre nazioni: “Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni paesi indifferenti, mentre altri ne sostengono l’onere umanitario. Sono perciò grato ai tanti paesi che con generosità accolgono quanti sono nel bisogno, a partire dai diversi stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia”. Francesco dunque ritiene buono ciò che stiamo facendo. Ma vediamo di non smettere di farlo.

Nell’incontro con il Corpo diplomatico del 18 gennaio 2018 il Papa ha anche parlato dei doveri dei migranti: “L’integrazione è ‘un processo bidirezionale’, con diritti e doveri reciproci. Chi accoglie è infatti chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso”.

Concludo rivolgendomi direttamente ai ragazzi che sono qui presenti con i loro insegnanti: le migrazioni sono una sfida etica, ma non sono l’invasione o il diluvio che vengono denunciati dai polemisti della politica.

Abbiamo una forte riduzione delle nascite e abbiamo dunque bisogno di vite giovani.

Il mondo è vasto. L’umanità è malleabile. La Sicilia e l’Italia hanno una buona esperienza di migrazioni in entrata e in uscita. Il meticciato di civiltà è apportatore di elementi positivi.

Non è in atto un’invasione dell’Italia: siamo nel mondo l’11° paese per numero di immigrati in rapporto alla popolazione, esattamente come siamo tra i primi dodici per benessere collettivo.