La geopolitica di Papa Bergoglio ovvero l’arte di vedere il mondo con lo sguardo di Magellano 

 

Incontro con il Gruppo Esodo – Mestre 17 settembre 2019

 
Il riferimento del titolo è a una felice metafora usata da Francesco in un’intervista del marzo 2015 a «La Cárcova News», rivista della periferia di Buenos Aires: “Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa”.

Lo sguardo di Magellano è una provocazione alla speranza: tumultuosa e conflittuale, ma foriera di novità e di rovesciamenti dell’esistente. Quale del resto è l’intera veduta del mondo di cui è portatore il Papa argentino.

Provocazione alla speranza nella stagione dello scatenamento dei sovranismi, delle secessioni, di ogni conflitto. Nel tempo in cui tanti si adoperano per il trionfo del caos rispetto alla stagione delle relazioni inclusive che ha tendenzialmente dominato la scena del mondo dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del Muro.

Una provocazione alla speranza che è dialogo con tutti senza schierarsi con nessuno e principio della trattativa e della intermediazione da far valere in ogni circostanza, verso ogni interlocutore. “Privilegiando le azioni che generano dinamiche nuove” (parole dette da Francesco al padre Spadaro nell’intervista del 19 settembre 2013). Fino a spendersi per l’incontro tra Usa e Cuba, tra israeliani e palestinesi, tra ucraini e russi, tra le fazioni della Colombia, della Repubblica Centroafricana, del Mozambico, del Sud Sudan. Per l’incontro tra i protagonisti di ogni conflitto apparentemente insolubile. Persino quello tra i Rohingya musulmani e la maggioranza buddista del Myanmar.

Magellano e il Sud del mondo. Magellano nella mia conversazione è una metafora. Per “Magellano” intendo Bergoglio che fa suo lo sguardo dall’ultimo posto nel quale si trova o che riesce a raggiungere. Magellano arriva alla fine del continente americano e dalla fine di quel continente viene questo Papa. Egli è portatore – anzi incarna – una veduta del pianeta a partire dal Sud. Una veduta che è anche una visione.

Magellano e le periferie. L’uscita verso le periferie geografiche ed esistenziali è dall’inizio un motto di Francesco. Non è andato ancora a Parigi, né a Londra, né a Berlino, ma ha visitato Lampedusa, Lesbo, l’Armenia. “Bisogna abitare i crocevia della storia” ha detto ai gesuiti del Myanmar e del Bangladesh nel novembre del 2017. Ogni crocevia, a partire da quelli meno esplorati. Nel segno appunto dell’esploratore portoghese Ferdinando Magellano che esattamente cinque secoli fa – il 10 agosto 1519 – parte per il pianeta: non per questa o quella terra ma per esplorare il globo.

Magellano e le migrazioni. Francesco ha una percezione globale e drammatica del fenomeno migratorio: “E’ la crisi umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale”, dice agli ex alunni dei Gesuiti il 17 settembre 2016. Parla dei migranti da uomo del Sud del pianeta, cioè da uomo che nasce da migranti del Nord e che ora è apostolo dei migranti del Sud. Nel 2015 voleva – non gli è stato possibile – visitare gli Usa provenendo dal Messico: facendosi icona del migrante su una delle vie migratorie più emblematiche del mondo d’oggi. A rimedio di quel gesto mancato, celebrerà nel febbraio del 2016 a Ciudad Juarez, in Messico, da un palco alzato a ottanta metri dalla barriera di confine.

Magellano e l’Amazzonia. Ora arriva il Sinodo dell’Amazzonia. L’amazzonia era una periferia delle periferie, un’appendice di ambienti e momenti di vita ecclesiale che avevano altrove il loro centro di gravità. Nell’assemblea sinodale ci saranno vescovi marginali, generalmente vescovi missionari appartenenti a nove diversi episcopati nazionali: Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Suriname, Guyana, Guyana francese. Questa periferia estrema ora viene posta al centro. E’ un rovesciamento missionario che potrebbe costituire – simbolicamente – il testamento di Papa Francesco (l’afferma il teologo tedesco brasiliano Paulo Suess in un’intervista al “Regno” 14/2019).

Magellano e la cura del creato. Il Madagascar – dove Francesco è stato all’inizio di questo mese – e l’Amazzonia del Sinodo (che partirà il 6 ottobre e andrà fino al 27) segnalano con efficacia esemplare la veduta che acquisti, quanto alla salvaguardia del Creato, portandoti nel punto più lontano di osservazione rispetto al vecchio centro europeo e nord-atlantico: da quella nuova postazione cogli come e quanto la “conversione ecologica” sia vitale per tutti e non un possibile impegno per i più aggiornati. Guardando dall’Amazzonia e dal Madagascar capisci subito che la sopravvivenza della foresta – tanto per segnalare una faccia di quel poliedro – sia ragione di vita o di morte per interi popoli.

Magellano e la Cina. La fretta che mostra Francesco in direzione della Cina è stretta parente dell’urgenza di “entrare nella Cina” che dominò la vita del gesuita Matteo Ricci. Vi entrò nell’anno 1600, lo stesso anno nel quale a Roma veniva mandato al rogo Giordano Bruno: da allora a oggi la storia del Papato e del suo rapporto con il mondo ha continuato a risentire di quel rogo e fino al Vaticano II, e fino a Benedetto XVI, si è protratta l’interrogazione sull’umanità che non accetta il cristianesimo e sulle leggi in contrasto con l’eredità cristiana che quell’umanità viene proponendo; ma da allora a oggi è anche continuata la ricerca della via per “entrare nella Cina”, cioè non di lottare con le culture del pianeta ma di inculturarsi in esse. Ora, con Francesco, la via indicata da Matteo Ricci forse si fa vincente. Il Papa gesuita è un missionario gesuita. Matteo Ricci costruì per i cinesi un grande mappamondo che metteva al centro la Cina e non l’Europa: Francesco si adopera a insegnare ai cristiani una veduta del pianeta che metta la Cina al posto che le spetta.

Magellano e la missione alle genti. “Andate in tutto il mondo”: il mandato apostolico di Cristo visto da Roma ha dato vita alla grande epopea missionaria che ha fatto della Chiesa Cattolica una Chiesa mondiale. Un’epopea guidata dall’idea che le Chiese missionarie erano figlie della Chiesa madre romana e suoi prolungamenti. Visto con l’occhio di Magellano, quel mandato chiede un protagonismo apostolico di tutte le comunità cattoliche, degne tutte – anche le meno antiche e le meno strutturate – di partecipare all’unica missione. La “riforma della Chiesa in uscita missionaria” (Evangelii Gaudium 17) vorrebbe che l’intera Chiesa riveda ogni aspetto della propria realtà per riuscire a incontrare liberamente l’umanità di oggi dov’essa vive e come essa vive senza mirare a riformarne leggi e politica ma inserendosi in essa come lievito nella pasta. L’inculturazione sempre cercata dai missionari gesuiti è ora un elemento portante del governo papale della cattolicità.

Magellano e il Collegio dei cardinali. La nomina di cardinali delle periferie planetarie – perseguita con tenacia da Papa Bergoglio – mira a fornire una veduta a dominante missionaria al futuro conclave. Abbiamo qui una specie di proiezione al domani dell’affermazione “la realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro” contenuta nell’intervista a «La Cárcova News» che citavo all’inizio.

Magellano e l’Islam. Se l’Islam lo guardi da Roma, da Vienna, da Belgrado, da Toledo [per nominare i luoghi mitici del conflitto millenario tra cristiani e musulmani], resti nella veduta di una sfida mortale. Se invece lo guardi con l’occhio di Magellano, cioè di chi aggira il pianeta e tutto l’abbraccia, allora viene in primo piano la necessità dell’incontro, quale Francesco ha tentato con le visite alla Giordania, alla Palestina, al Cairo, ad Abu Dhabi, a Rabat.

Magellano e la partecipazione della Chiesa alla lotta per la giustizia. La periferia con le sue urgenze drammatiche toglie credito alla via della mediazione culturale, elaborata dalla cristianità europea, e sollecita – forse addirittura impone – la scelta di campo, ovvero l’impegno diretto della Chiesa nei conflitti e nella promozione umana, che è un’altra specificità bergogliana imbarazzante in Europa. La Chiesa ospedale da campo che di persona presta le prime cure all’umanità insanguinata che incontra nel cammino.

Magellano e la semplificazione del linguaggio. Quando arrivi alla fine del mondo devi comunicare con genti che non conoscono il tuo linguaggio. Quella di Magellano fu un’impresa d’incredibile audacia anche per questo. Concludendo la metafora dell’esploratore del pianeta che ho posto ad avvio di questa conversazione, dirò che un aspetto centrale della missionarietà bergogliana è nel linguaggio semplificato con cui si propone. Una novità – questa semplificazione – che è insieme accorta, come non potrebbe non essere in un gesuita, e radicale come dev’essere in un missionario delle periferie. Esempio: quando parla con Scalfari della coscienza, o dell’inferno, o della risurrezione. Tutte le interviste di Francesco [comprese le conversazioni collettive in aereo e quelle con ambienti e assemblee ecclesiali] sono occasioni per sperimentare la lingua parlante al mondo che ha di mira. Parlante al mondo tutto, a partire dalle periferie e dai non credenti, e non agli ambienti ecclesiastici.

 

Consiglio tre testi

Avendo svolto l’argomento con l’occhio più alla geo-Chiesa che alla geo-politica [e questo non per contraddire l’impegno preso con l’accettazione della vostra richiesta, ma per restare nel raggio della mia competenza] suggerisco tre testi che trattano dichiaratamente e specialisticamente della geopolitica papale.

“L’atlante di Papa Francesco. La strategia della Chiesa per riconquistare il mondo” è il titolo di un numero monografico di Limes dell’aprile 2013, a un mese dall’elezione di Bergoglio. “Riportare la Chiesa nel mondo: questa è la sfida di Francesco” era uno dei capitoli affidato ad Andrea Riccardi che allora era ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione [cioè per il contrario di ciò che è oggi il sovranismo].

Pasquale Ferrara, “Il mondo di Francesco. Bergoglio e la politica internazionale”, San Paolo 2016, ha la presentazione di Paolo Gentiloni, che allora era ministro degli Esteri. Ferrara è un diplomatico di carriere e il volume ha un’ottima articolazione in sette capitoli: Una diplomazia mondialista, Periferie, Muri, Guerra e pace, Mediazione, Riconciliazione, Tra due “imperi”.

Antonio Spadaro, “Il nuovo mondo di Francesco. Come il Vaticano sta cambiando la politica globale”, Marsilio 2018. Con il contributo di 22 vaticanisti, da un convegno de “La Civiltà Cattolica”, sui diversi continenti e paesi. Il saggio del gesuita Spadaro è intitolato “La sida all’apocalisse” e può essere sintetizzato in questo motto: “Francesco vuole mettere Cristo al centro del mondo”. Il mio contributo alle pagine 103-106 è intitolato “Le difficoltà di Francesco in Italia”.