L’elezione del cardinale Bergoglio: una soluzione inattesa ma pronta e matura

Vercelli – sabato 15 febbraio 2013

 

Considero l’elezione del cardinale Bergoglio una soluzione inattesa quanto alla persona e alla sua caratura evangelica ma pronta e matura quanto alla fuoriuscita dall’Europa, all’investimento sull’America Latina, all’uscita verso i poveri, ai propositi di collegialità che ne caratterizzano la predicazione e l’opera.

Ho appena scritto un libretto che sarà pubblicato dalla EDB su “Papa Francesco a un anno dall’elezione”, dove argomento in dettaglio su questi elementi inattesi e maturi. Qui li richiamo velocemente. Nel volumetto analizzo anche la discontinuità della sua figura papale non solo rispetto a Benedetto ma all’insieme degli ultimi quattro papi “conciliari”: Montini, Luciani, Wojtyla, Ratzinger.

La riforma del governo ecclesiastico, quella del linguaggio e quella degli atteggiamenti in vista della “conversione” missionaria dell’intera compagine ecclesiale, Papato incluso, sono le promesse coinvolgenti di questo avvio di Pontificato. Quanto al governo ancora si è visto poco ma la costituzione del Consiglio degli otto cardinali che l’aiutino a “presiedere nella carità a tutte le Chiese” conforta a sperare e altrettanto bene indirizzati appaiono i passi per riportare correttezza e sobrietà nelle finanze vaticane e per dare nuova efficacia al Sinodo dei vescovi. Le due assemblee sinodali sulla famiglia che ha indetto per il 2014 e il 2015 – una straordinaria e una ordinaria –mi paiono una benedizione. Forse la via della collegialità stavolta verrà esplorata.

E’ prematuro abbozzare una collocazione storica di un Pontificato nascente, ma forse non si sbaglia a indicare alcune coordinate essenziali di questa elezione, che possono renderla meglio comprensibile, nel senso di preparata e matura: Papa Francesco arriva a mezzo secolo dal Concilio (1962-65) e da Medellin (1968), la Conferenza dell’episcopato dell’America Latina che formulò la “opzione preferenziale per i poveri”. Il suo Pontificato è il frutto di quei cammini.

Qui dovremmo fermarci sul lascito della Conferenza di Aparecida (2007) che è la carta di identità del Papa argentino: fu il principale responsabile della stesura del documento finale, che aggiornava alle marginalità e alle periferie l’opzione di Medellin per i poveri. Con l’esortazione Evangelii Gaudium Francesco incentra il suo programma pontificale sull’uscita missionaria di tutta la Chiesa, compreso il Papato, verso le periferie geografiche ed esistenziali dell’intera umanità: e qui ritroviamo il segno della sua provenienza continentale.

In continuità con la spinta latino-americana verso la Chiesa dei poveri – di cui Papa Francesco è il frutto e il portatore – andrebbe tenuto conto della 32° Congregazione generale della Compagnia di Gesù (1974), alla quale il padre Bergoglio partecipò da provinciale dell’Argentina, che formulò la “scelta decisiva” per la fede e per la giustizia che sono “indivise nel Vangelo”.

Come maturazione del lascito conciliare che si è espresso nella scelta del cardinale Bergoglio e che ora si esprime nelle sue scelte, richiamo oltre alla già detta collegialità, l’opzione pastorale tesa a dare priorità al Vangelo rispetto alla dottrina (Francesco parla di “conversione pastorale”), la nuova collocazione rispetto alla modernità, la ricerca del dialogo con ogni interlocutore compreso il mondo dei non credenti.

Il Concilio e Medellin insieme sono certamente da vedere all’origine di questa fuoriuscita del Papato dall’Europa e dell’investimento sull’America Latina segnati dal Conclave che ha eletto Bergoglio. Il ripiegamento autoreferenziale degli episcopati europei – e forse delle Chiese europee – era parso evidente nel Sinodo del 2012 sulla Nuova Evangelizzazione: si era percepito con grande evidenza che lo Spirito soffiava altrove. Al Sinodo erano presenti in gran numero i cardinali elettori: se ho contato bene, ve ne erano 53, cioè la metà dei futuri partecipanti al Conclave.

Altro elemento indicativo della maturazione dei tempi per un Papa come Francesco, che pone “la gioia dell’evangelizzazione” (Evangelii Gaudium) a programma del Pontificato, lo possiamo indicare in casa nostra, richiamando il cammino compiuto dalla Chiesa italiana a partire dalla scelta del “primato dell’evangelizzazione”, negli anni della leadership del segretario generale della Cei Enrico Bartoletti (1972-1976).

Dal Concilio viene anche la preferenza che Francesco accorda al titolo papale di “vescovo di Roma”. In quella preferenza sono recepite le indicazioni conciliari per la Chiesa locale e per la collegialità episcopale, due opzioni che contribuiscono a favorire i rapporti ecumenici. Da romano di adozione, mi rallegro d’avere un Papa che si presenta innanzitutto con questo titolo. Apprezzo la sua intenzione di parlare ai collaboratori e ai dipendenti degli organismi vaticani con le omelie del mattino, e l’intenzione di invitare a quella messa – a turno – le parrocchie della città. Il vescovo di Roma sta cercando il modo di parlare con continuità alla sua “diocesi”.

Lo schietto interesse a dialogare con i non credenti lo mettono idealmente in relazione con l’intera umanità. Nell’intento di arrivare a tutti – alle persone semplici, ai prevenuti, agli atei – adotta un linguaggio chiaro, facendo ogni sforzo per non allontanarsi dalla lingua media dell’epoca. Anche questa è un’uscita al mondo.

Egli vuole che il Vangelo della misericordia [già Papa Giovanni aprendo il Concilio aveva parlato di “medicina della misericordia”] abbia il primo posto nella predicazione della Chiesa, che dovrebbe trovare un nuovo equilibrio tra l’annuncio della Redenzione e la proposta delle sue implicazioni morali: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi”, ha detto con autorità. Il predominio di quei temi rischia di far dimenticare i misteri centrali della fede e il comandamento dell’amore.

Segnalo come novità più vive tra tutte il monito a non fare del Vangelo un’ideologia e a non proporre la fede con i toni e metodi di chi mira a condizionare le scelte di vita delle persone che non l’accolgono. “L’ingerenza spirituale nella vita delle persone non è possibile” ha detto alle riviste dei Gesuiti. E ancora: “Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla ‘sicurezza’ dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante”.

M’interrogo infine sulla fonte di quell’allegria manifesta e debordante di cui Francesco dà prova ogni volta che svolge il compito dell’annunciatore. Azzardo l’idea che gli venga dall’affidarsi alla spensierata e imprevidente volontà divina, secondo la pedagogia dell’indifferenza ignaziana: di restare cioè indifferenti a tutto tranne che alla Croce di Cristo.

Un’ultima considerazione sull’accoglienza che il vento del cambiamento bergogliano ha avuto qui da noi, in Italia. Straordinariamente buona nell’insieme dell’opinione pubblica, ma con un paio di strabismi deformanti nelle ali più esterne della compagine ecclesiale, quella tradizionale e quella innovativa. Due ambienti minoritari, molto minoritari, accomunati dalla sorpresa e quasi dall’incredulità di fronte all’arrivo di Francesco: mai avrebbero ritenuto possibile quest’esito, neanche lontanamente, non avendo una percezione oggettiva ma febbrile e ideologica della situazione della Chiesa.

Chi non lo riteneva possibile a destra, lo guarda con spavento, lo ritiene più pericoloso di tutti i Papi innovatori che abbiamo avuto nell’ultimo mezzo secolo, tende a pensare che la elezione sia il frutto di una trama anti-ratzingeriana che una parte dei cardinali che avevano votato Bergoglio già nel Conclave del 2005 avrebbe iniziato a tessere subito dopo l’elezione di Papa Benedetto.

Chi non lo riteneva possibile a sinistra, lo guarda con un entusiasmo naif e ne parla come di un miracolo che non poggia in terra, ma sta a mezz’aria come un fantasma; oscillando tra una soddisfazione che suona deresponsabilizzante (“Finalmente – è fatta – ora ci pensa lui”); e il timore che il sogno duri troppo poco (“Perché un altro Francesco di sicuro non ci potrà essere”).

Credo si possa parlare di un effetto allucinogeno a destra: “Abbiamo un Papa sbagliato”; e di un effetto da pre-anestesia a sinistra: una vaga euforia che non fa più sentire la crisi, che però intanto va avanti.

Chi invece l’attendeva questo esito, o quantomeno lo riteneva possibile, lo sperava, non ha paura e non si fa illusioni. Festeggia Francesco ma sa che la Chiesa è sempre quella: e come non era così spenta un anno fa, essa non è così rivitalizzata oggi. Questa posizione mediana, più realista, avverte che Papa Bergoglio propone una via evangelica, cioè ardua, radicale, per la guarigione dei malanni della Chiesa. Un’uscita missionaria – “Chiesa in uscita”, dice Francesco – straordinariamente esigente. O ci sarà questa uscita, o la novità di Papa Bergoglio non inciderà nel profondo e probabilmente non troverà successori.

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