Perchè il Giubileo della Misericordia il suo significato universale

 Reale Circolo Canottieri Tevere Remo

Lungotevere in Augusta 28 – lunedì 18 aprile 2016 – ore 19.00
Uscire, Vangelo, poveri, misericordia sono le quattro parole simbolo di Papa Francesco, quelle che più direttamente fanno riferimento al suo programma pontificale e ricorrendo alle quali ha proposto il Giubileo della Misericordia. Uscire da ogni tradizione limitante per rifare missionaria la Chiesa e portare il Vangelo all’intera umanità, a partire dai poveri e annunciando la misericordia del Signore.

Egli vuole che il Vangelo della misericordia abbia il primo posto nella predicazione della Chiesa, che dovrebbe trovare un nuovo equilibrio tra annuncio del Cristo e richiamo ai valori non negoziabili. Non sempre questa priorità evangelica perseguita da Francesco è colta dall’opinione pubblica. Molti appaiono colpiti dalle vesti semplificate, dall’abbandono dell’appartamento, dall’invito a non giudicare “il gay che cerca Dio”, dal rinnovamento della Curia; pochi sembrano cogliere che la vera novità di Papa Bergoglio è la “riforma della Chiesa in uscita missionaria”, come si esprime al paragrafo 17 della “Evangelii Gaudium”, indicando a chiare lettere quale sia la riforma che davvero l’interessa.

Le quattro parole simbolo di Francesco sono anche i pilastri portanti del Giubileo straordinario della Misericordia, indetto l’11 aprile 2015 con la bolla Misericordiae Vultus e che andrà dall’8 dicembre 2015 (giorno in cui nel 1965 si tenne la celebrazione finale del Vaticano II) al 20 novembre 2016 festa di Cristo Re. Quest’Anno Santo nelle intenzioni del Papa ha la finalità di spingere la Chiesa ad “andare incontro a ogni persona”, a partire dagli ultimi che “vivono nelle più disparate periferie esistenziali”, portando ovunque “l’annuncio gioioso del perdono”, che è l’elemento “essenziale” del Vangelo, al fine di “introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio”. Così il Giubileo è presentato nella bolla di indizione e queste parole tematiche sono rintracciabili ai paragrafi 5, 10, 15, 25.

«Ho indetto un Giubileo straordinario della Misericordia – dice Francesco nella bolla – come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti». Quanto al legame con il Vaticano II, il Papa afferma che «La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento: per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia». I padri del Concilio avevano «percepito» l’esigenza «di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile: abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo».

«Come desidero – scrive ancora Francesco nel documento di indizione del Giubileo – che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro a ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio». “Quanto vorrei una Chiesa povera” aveva detto Papa Bergoglio appena eletto e ora dice che sogna l’arrivo di “anni intrisi di misericordia”: possiamo unire i due “desideri” che meglio caratterizzano l’attuale Pontificato e guardare a Francesco come al Papa dei poveri e della misericordia.

L’Anno Santo secondo Bergoglio dovrebbe aiutare a riscoprire la centralità del sacramento della Penitenza, cioè della Confessione, nella vita dei cristiani e dovrebbe essere di stimolo a prestare maggiore attenzione ai sofferenti con la pratica delle opere di misericordia corporale e spirituale, in modo da «risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo».

Tra gli eventi del Giubileo della Misericordia ci saranno dei “segni” che Francesco “compirà in modo simbolico raggiungendo alcune ‘periferie’ esistenziali per dare di persona testimonianza della vicinanza e dell’attenzione ai poveri, ai sofferenti, gli emarginati e a quanti hanno bisogno di un segno di tenerezza”.

Si tratterà di momenti che avranno “un valore simbolico”, cioè di messaggio, tipo le lavande dei piedi del Giovedì Santo, ma non saranno di esclusiva competenza del Papa: verrà chiesto ai vescovi e ai sacerdoti di compiere nelle loro diocesi e parrocchie “lo stesso gesto in comunione con il Papa perché a tutti possa giungere un segno concreto della misericordia e della vicinanza della Chiesa”. Questi appuntamenti si porranno come parabole – o messaggi – riassuntivi dell’Anno Santo.

Il 15 gennaio ha visitato una “Casa di riposo per anziani” e una “Casa per malati in stato vegetativo”. Il 26 febbraio ha incontrato i 55 ospiti di una “Comunità terapeutica” per il recupero dei tossicodipendenti fondata da don Mario Picchi e che si trova a Castel Gandolfo. Il 24 marzo, giovedì santo, ha lavato i piedi a 12 ospiti del centro profughi di Castelnuovo di Porto. Il 16 aprile – sabato scorso – è andato nell’isola di Lesbo.

Riuscirà Francesco nella sua ardua impresa? Con il richiamo alla penitenza e alla conversione, il Giubileo della Misericordia – come già altri momenti impegnativi del Pontificato – conferma che non abbiamo a che fare con un Papa che alleggerisce il carico che i secoli hanno accumulato sulle spalle dei cristiani, al fine di facilitare l’appartenenza alla Chiesa, ma con un Papa che pone una forte esigenza apostolica in vista della quale semplifica tutto il resto. Un Papa che vuole una comunità senza altri pesi, pronta a farsi carico del solo Vangelo.

Per Francesco quella semplificazione comporta in definitiva, oltre a tutte le uscite delle quali abbiamo già parlato, un’uscita riassuntiva delle altre, che potremmo descrivere come superamento del modello di Chiesa costituita della tradizione europea – che ha dominato il secondo millennio – per realizzare una nuova figura di Chiesa missionaria.

Semplificando, potremmo dire che dal Dictatus Papae [Affermazioni papali] di Gregorio VII (1075) prende avvio la Chiesa costituita, che ha poi avuto sviluppo coerente con Innocenzo III, con Bonifacio VIII, con il Concilio di Trento e con il Vaticano I, con il Codice di Diritto Canonico del 1917, per limitarci a segnalare le grandi arcate della sua storia. E’ una Chiesa che mira ad adunare nelle sue mura, nella sua pedagogia, nella sua anagrafe battesimale e pasquale l’intera umanità, fino a stabilire una coincidenza ideale tra se stessa e la società circostante: la Societas Christiana, la Res Pubblica Christiana.

La Chiesa in uscita invece va oltre l’ovile, le mura, la pedagogia, l’anagrafe e il linguaggio della Chiesa costituita, non più in grado di corrispondere all’umanità circostante, perché essa – secondo Papa Francesco – ha dato grandi vantaggi in altra epoca ma oggi costituisce un ostacolo all’incontro missionario con l’umanità che è al di là di essa.

Quando il cardinale Martini, in articulo mortis, ebbe a dire come ultima parola che la Chiesa era indietro di duecent’anni, forse intendeva questo: continua a parlare all’umanità come se essa coincidesse ancora con i credenti, come se la comunità costituita fosse ancora in grado di contenere l’intera umanità. Cosa che non è più – appunto – da almeno due secoli.

L’uscita – secondo l’idea di Papa Bergoglio – è una necessità comandata dal Vangelo e segnalata ai nostri giorni dal calo delle vocazioni e dall’abbandono dei giovani. Ma quella necessità non è ancora pienamente avvertita: questo Pontificato è una provocazione all’avvertenza. Quando ci sarà avvertenza, l’uscita sarà realizzata, o almeno tentata. La sua possibilità è garantita dall’esperienza tutta missionaria delle Chiese non europee, meno costituite, meno organizzate, meno colte; ma più pronte a reagire, più agili, più segnate dalla gioia del Vangelo, cioè dalla “Evangelii gaudium”. Da una di quelle Chiese viene l’attuale Vescovo di Roma.