Giacomo Jon di Voghera s’accomiata con un sorriso

Giacomo Jon è una delle più giovani vittime del Covid-19: il virus se lo porta via il 28 maggio 2020, a 24 anni. Da due mesi era ricoverato all’ospedale Sacco di Milano. Studente in Scienze teologiche, insegnava religione all’Istituto comprensivo della Valle Versa, in Oltrepò Pavese, ed era cerimoniere della chiesa di San Rocco di Voghera. Di carattere espansivo, molti rimpiangono il sorriso contagioso che lo caratterizzava e chi ha avuto la possibilità di un ultimo saluto in ospedale racconta che dal vetro che chiudeva la sua camera egli ha risposto appunto con un sorriso a chi lo salutava a gesti e con parole scandite per poter essere intese a distanza. Nel primo commento riporto la testimonianza di un amico che gli fu educatore in oratorio, Daniele Lottari. Nel secondo svolgo una mia argomentazione prendendo la partenza silenziosa di Giacomo a tipo e simbolo delle tante morti senza parole di questa pandemia.

4 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Al di là del vetro. Ho chiesto a Daniele Lottari, diacono di Voghera vicino all’ordinazione sacerdotale, se era possibile rintracciare qualche parola o riflessione di Giacomo sulla malattia da Covid che l’ha portato alla morte. “Purtroppo – mi ha risposto – non abbiamo nessun testo o saluto verbale che sia ricostruibile con sicurezza. Dopo il ricovero Giacomo ha comunicato via telefonino con amici e parenti solo per poco tempo, successivamente è stato sedato e questa condizione lo ha accompagnato fino alla morte. Nei primi tempi di ospedale non ha mandato messaggi particolarmente significativi in quanto a testimonianza di fede, ma solo quelli che poteva mandare un ragazzo disorientato e impaurito. Mi sembra però significativo raccontarle un episodio avvenuto circa due giorni prima della morte: in tal periodo, a detta dei medici, Giacomo aveva avuto un netto miglioramento e si è proceduto in alcuni momenti a una riduzione della sedazione per avviare un minimo di riabilitazione e tentare di rimettere in moto un corpo martoriato da 2 mesi di immobilità e terapie invasive. In uno di questi momenti la fidanzata Giulia e i genitori erano presenti al di là del vetro che separava la stanza dal corridoio del reparto. Essi raccontano di un sorriso scambiato, nulla di particolare, ma il primo segno di speranza dopo mesi di fatica. In un’ottica di fede trovo questo fatto significativo e consolante: Giacomo è morto alla fine di un calvario ma con l’animo finalmente sereno. Non l’ha manifestato a parole ma nel modo in cui meglio l’ha sempre fatto: con un sorriso”.

    18 Gennaio, 2021 - 18:48
  2. Luigi Accattoli

    Morti senza parole. Più vado avanti nella mia raccolta di storie di pandemia più resto impressionato dal numero preponderante di persone che sono morte senza poter lasciare un’ultima volontà, un testamento, o anche solo una parola di addio a parenti e amici. Lo considero uno degli aspetti più drammatici del “morire da soli” che ha caratterizzato soprattutto il primo tempo della pandemia. In Giacomo vedo un caso emblematico di quella mancata comunicazione: nel suo commiato senza parole, affidato a un sorriso – in risposta ai cenni e alle parole accennate con gli occhi e le labbra, che gli arrivavano da oltre il vetro – amo vedere raffigurata la partenza silenziosa della moltitudine che è morta senza nessuno intorno a cui affidare un’ultima parola. Ma anche vi vedo allusa la morte di tanti che prima di morire hanno potuto mandare in videochiamata ai familiari un ultimo bacio o saluto con un gesto del capo quando non erano più in grado di parlare.

    18 Gennaio, 2021 - 18:48
  3. Luigi Accattoli

    Dal vetro ma assolvetemi. Al vetro della parete o della porta che separa ma anche collega i ricoverati nei reparti Covid, fa riferimento anche un’altra storia della mia raccolta, quella si Alfredo Nicolardi, intitolata “Prete morto di Covid: la notte avanza e Dio non viene”. Don Alfredo in un ultimo messaggio così fa appello a un confratello: “Dal vetro, ma assolvetemi”.

    18 Gennaio, 2021 - 18:49

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