Karol Wojtyla giusto dell’umanità

Agrigento venerdì 23 novembre 2018

 

Volendo guardare a Giovanni Paolo II come a un giusto dell’umanità dovremmo richiamare la sua lotta contro il comunismo sovietico e contro ogni dittatura politica, il suo impegno per i poveri del mondo e per la pace, per la rivendicazione integrale dei diritti dell’uomo su scala planetaria.

«Senza questo Papa non si può comprendere ciò che è avvenuto in Europa alla fine degli anni ottanta», ha detto una volta Gorbaciov. È grande merito di Giovanni Paolo aver incoraggiato la sua Polonia a cercare una via pacifica di uscita dal sistema comunista. E quando questa uscita si è realizzata, è stato suo merito non infierire sugli sconfitti e trattenere i vincitori dallo spirito di vendetta.

Eletto Papa nell’ottobre del 1978, annuncia subito il desiderio di visitare la Polonia. Il trionfale viaggio in patria del giugno dell’anno seguente suona come una sfida all’impero sovietico: per la prima volta, un intero popolo del Patto di Varsavia ha la possibilità di riunirsi in grandi folle, di riconoscersi in un leader, di applaudire un messaggio che sconfessa il regime ateistico e repressivo imposto da Mosca.

Quando visita Praga, nell’aprile del 1990, essendo appena caduto il muro di Berlino e mentre crolla ovunque la cortina di ferro, dichiara che «una nuova Torre di Babele è stata abbattuta» e che «il secolo è maturato» verso una «più grande libertà» per tutti.

Con la stessa forza, Giovanni Paolo difende – specie nel corso dei continui viaggi – i diritti umani dalle dittature del terzo mondo e combatte le pretese del neocapitalismo, affermando che la sconfitta del comunismo non giustifica il dominio incontrollato del capitale sugli uomini e sui popoli. Si oppone con tutte le forze alle due guerre all’Iraq, nel 1991 e nel 2003, per scelta evangelica ma anche per salvare «il dialogo con il mondo dell’Islam» e per segnalare che la Chiesa cattolica vuole porsi come alleata dei popoli in via di sviluppo.

Rilevante è stato il suo impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso, in particolare con il mondo ebraico e con quello musulmano. E’ stato il primo Papa a visitare una sinagoga (1986) e una moschea (2001). Ha riconosciuto lo Stato di Israele (1993), ha parlato a una folla islamica a Casablanca (Marocco) nell’agosto del 1985. Ha convocato tre giornate interreligiose per la pace nella città di Assisi.

Incessante è stata la sua predicazione in difesa della vita, per la promozione della pace e a favore dei poveri. Ha chiesto perdono alle donne per le incomprensioni da loro subite nei secoli da parte degli uomini di Chiesa. Da questa Valle dei Templi, 25 anni fa, rivolse il monito biblico ai mafiosi: “un giorno verrà il giudizio di Dio”. Forse si può dire che la Valle dei Templi abbia avuto, in quell’occasione, la sua più ampia ribalta storica in epoca contemporanea.

I suoi ventisei anni e mezzo da Papa possono essere raggruppati in quattro stagioni segnalabili con quattro motti con i quali comunicò il suo messaggio alle moltitudini.

Il primo motto lo pronuncia durante la celebrazione di apertura del servizio pontificale, il 22 ottobre del 1978: «Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!». Esso connota la fase nascente del Pontificato, la sua felice proiezione missionaria in ogni continente, l’uso creativo dei media, il primo scontro con le «potenze mondane» fino al dramma dell’attentato e alla lunga sfida con l’impero sovietico.

Il secondo motto del Pontificato è consegnato all’enciclica “Dominum et vivificantem” (È Signore e dà la vita: maggio 1986): «Guardare più ampiamente, andare al largo». Caratterizza una stagione di rilancio della missione alle genti che supera ogni limitazione tradizionale: chiama gli ebrei «nostri fratelli maggiori» e “fratelli” i musulmani.

Nella stagione della sofferenza fisica – segnata dal tumore, dal bastone e dalla malattia nervosa – viene il terzo motto del Pontificato: «A nome della Chiesa io chiedo perdono». Queste parole furono dette la prima volta a Olomouc – nella Repubblica Ceca – nel maggio del 1995 e torneranno più volte sulla sua bocca fino alla celebrazione penitenziale in San Pietro, la prima domenica di Quaresima dell’anno 2000, per «gli errori, le infedeltà, le incoerenze e i ritardi» di cui si erano resi responsabili i «figli della Chiesa» nel millennio che si stava chiudendo. Il “mea culpa” giubilare per le colpe della storia è stato anch’esso un’opera da giusto dell’umanità: rese giustizia alla memoria di quanti nei secoli ebbero a soffrire per responsabilità dei cristiani: dai roghi degli eretici alle conversioni forzate.

Il quarto motto porta a pienezza la sua ininterrotta predicazione della pace, che è venuta crescendo a ogni guerra divampata negli anni del suo lungo pontificato e che trova nuovo slancio dopo l’11 settembre del 2001: qui forse è da vedere l’ultimo suo dono all’umanità, manifestato in pienezza nella primavera del 2003, in una specie di ritrovata capacità di parola. “Finchè avrò voce, io griderò: pace!” può essere considerata la parola del Pontificato che più è risuonata nei cuori.

Lo straordinario di questo Papa è stato di riuscire a essere totalmente un uomo di Dio e insieme e pienamente un uomo del suo tempo. Attore e poeta, operaio e patriota polacco, oppositore prima del nazismo e poi del comunismo, amante della montagna e del nuoto egli non ha avuto alcuna difficoltà a porsi a interprete e avvocato dell’umanità della sua epoca. Ad agire da giusto dell’umanità.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it