Oggi parte il Conclave e io così mi accomiato da Papa Francesco
Con questa foto e con il titolo Papa Francesco. Un tempo nuovo la rivista Il Regno pubblica oggi uno speciale “per capire i tratti portanti del pontificato e raccoglierne l’eredità”. In quello speciale c’è alle pagine 8 e 9 un mio articolo intitolato Le riforme di Francesco. Semi di novità che riporto per intero nei commenti
8 Comments
Luigi Accattoli
Ha riformato poco ma ha avviato molti processi. Francesco è stato un papa a vocazione riformatrice anche se di vere riforme ne ha realizzate poche: ha però avviato una decina di processi innovatori che ora costituiscono un lascito prezioso per i successori.
Partito con le migliori intenzioni di realizzare una “conversione del Papato” e una “scelta missionaria” capace di fare di “ogni struttura ecclesiale un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale e non per l’autopreservazione” (EG 27 e 32), il papa argentino si è subito scontrato con la resistenza al nuovo propria di tanto mondo ecclesiastico e dove non poteva fare riforme ha scelto di avviare processi.
Ha optato per questa soluzione soprattutto quando intendeva aprire a innovazioni mai tentate dai predecessori. L’aveva teorizzata, questa via della gradualità processuale, fin dai primi mesi del pontificato: “Noi dobbiamo avviare processi più che occupare spazi”, aveva detto nell’intervista alle riviste dei gesuiti del settembre 2013.
Credo si possano numerare con le dita delle due mani i campi minati nei quali Francesco ha iniziato a muoversi lento pede e come tastando il terreno: provo a indicarli, partendo da quelli dove le mine sono più fitte e più visibili.
7 Maggio, 2025 - 9:48
Luigi Accattoli
Onorare la varietà della Comunione cattolica. Questa è forse l’impresa più ardua: aiutare la Comunione cattolica ad accettare una pluriformità di ordinamenti e di interpretazioni di “alcuni aspetti della dottrina o di alcune conseguenze che da essa derivano”, facendo in modo che “in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali” (AL 3).
Altro passo pericoloso: riconoscere valore di magistero ordinario ai documenti votati dai Sinodi dei vescovi e pubblicati così come erano stati approvati. In questo modo ha aiutato a tenere aperte le questioni dibattute e ha dato diritto di cittadinanza a domande e proposte fino ad allora ritenute improponibili. Valgano gli esempi del Sinodo dell’Amazzonia e del Sinodo sulla sinodalità.
Partecipazione delle donne ai momenti decisionali della vita della Chiesa: “Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa” è affermato nel paragrafo 60 del documento finale 2024 del Sinodo sulla sinodalità. Del resto è in quel Sinodo che per la prima volta laici e donne avevano avuto il diritto di voto.
Francesco ha affermato fattualmente la necessità di separare la potestà di governo da quella sacerdotale, condizione base perché nella riforma della Curia romana si possa “prevedere – com’è scritto nel paragrafo 10 della Praedicate Evangelium (2022) – il coinvolgimento di laiche e laici in ruoli di governo e di responsabilità”.
7 Maggio, 2025 - 9:48
Luigi Accattoli
Questioni recepite e lasciate aperte. Restaurazione del diaconato per le donne e possibilità del sacerdozio uxorato nella Chiesa latina: Francesco non ha preso decisioni su queste materie, ma “presentando ufficialmente” e invitando a “leggere integralmente” e a dare “applicazione” al documento finale del Sinodo sull’Amazzonia ha di fatto segnalato e – anzi – riconosciuto che le due questioni sono aperte alla discussione e alla maturazione di un consenso ecclesiale più ampio. Nel paragrafo 103 del documento si afferma infatti che “in molte delle consultazioni [svolte in vista del Sinodo tra le comunità amazzoniche] è stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne” e che “il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo”. E nel paragrafo 111 si sollecita “l’autorità competente” perchè “stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato”.
Liberazione della figura papale dall’ultimo vestigio imperiale, dalla qualifica di capo di stato, dai vincoli e dal linguaggio diplomatico. Sono obiettivi certamente eccessivi per un solo pontificato: ma Francesco questa ardua impresa l’ha avviata in modo significativo. Non ha voluto il passaporto vaticano, continuando a usare quello argentino che aveva da cardinale e con il quale era venuto al conclave. Ha voluto nell’Annuario Pontificio il solo appellativo di “vescovo di Roma”, facendo mettere in calce alla pagina, con la dicitura “Titoli storici”, gli altri sette appellativi: Vicario di Gesù Cristo / Successore del Principe degli Apostoli / Sommo Pontefice della Chiesa Universale / Primate d’Italia / Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana / Sovrano dello Stato della Città del Vaticano / Servo dei Servi di Dio.
“Sommo pontefice” era un titolo che i papi avevano assunto a similitudine degli imperatori romani, ognuno dei quali era appunto qualificato come “summus pontifex”. Ma c’era anche il rosso della clamide imperiale che i papi avevano nel mantello e nella mozzetta, e che Francesco aveva fatto togliere da subito. Con queste modifiche il papa che ora piangiamo ha come prefigurato il giorno nel quale il vescovo di Roma non sarà più per nulla il “sovrano dello Stato della Città del Vaticano”. Un papa da solo questo obiettivo non può ottenerlo, ma papa dopo papa certo ci arriveremo.
Superamento dell’esilio in cui ad oggi sono tenuti gli omosessuali nella Chiesa e loro accoglienza perché all’interno della comunità cattolica c’è posto per «tutti, tutti, tutti», come ha detto più volte Francesco. Qui le sue parole e i suoi gesti sono nella memoria di ognuno. Il processo è solo avviato, ma bene avviato.
7 Maggio, 2025 - 9:49
Luigi Accattoli
Recupero di radicalità evangeliche. Concessione dei sacramenti – quando risulti possibile a conclusione di un discernimento guidato dal vescovo o da un suo incaricato – ai divorziati risposati e ad altri fedeli che vivono in situazioni canonicamente irregolari. Anche qui il processo ha ormai le sue gambe.
Recupero di elementi di radicalità evangelica nella predicazione e nell’etica cattolica: dal superamento della tradizionale legittimazione della pena di morte all’opzione programmatica per la non violenza, al criterio guida dell’accoglienza nei confronti dei migranti che fuggono dai regimi violenti e dalla morte per fame.
Provo a dettagliare sulla pena di morte. Con un rescriptum del 2 agosto 2018 Francesco detta una nuova formulazione del paragrafo 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, in forza della quale la pena di morte da sconsigliata diviene “inammissibile”: Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.
Questo tema della pena di morte l’abbiamo presente tutti, tanto è stato forte il dibattito provocato dalla decisione del papa argentino, così come tutti sappiamo tutto della sua provvidenziale insistenza sull’accoglienza dei migranti. Quasi tutti invece abbiamo dimenticato l’altrettanto evangelica proposta della non violenza come via cristiana alla pace, formulata nel “Messaggio per la Giornata della Pace” del 2017: La nonviolenza: stile di una politica per la pace. “Nel 2017 – scriveva Francesco in quel documento – impegniamoci con la preghiera e con l’azione a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune”. Di non violenza avevano parlato più volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, mai tuttavia un papa aveva invitato la Chiesa e l’intera umanità a fare della “non violenza attiva e creativa uno stile di vita”, ovvero una scelta di programma. Francesco quella scelta la presenta come necessaria in questo “nostro mondo frantumato”, attraversato da una “terza guerra mondiale a pezzi”, da imponenti flussi migratori e dalla crisi ambientale.
7 Maggio, 2025 - 9:49
Luigi Accattoli
Sono processi di grande rilievo, questi avviati da Bergoglio. Per comprendere il segno che i dodici anni del suo pontificato potranno dare alla storia del papato, occorre tenere d’occhio quei processi, ovvero i semi di novità che è venuto spargendo, a larghe mani, lungo l’intera sua stagione.
La sua vocazione al nuovo si è esercitata in molte direzioni. Se gli succederà un Papa interessato a tradurre in riforme i processi avviati, l’opera svolta da Bergoglio resterà nella storia. Ma quei processi sono comunque un’eredità per tutti, da tutti fruibile e che ognuno – per la sua parte – può aiutare a portare a pienezza.
La scelta di lavorare sui tempi lunghi piuttosto che di forzare per affrettare innovazioni non ancora mature, Francesco l’aveva esposta compiutamente nel primo e più originale dei suoi documenti: l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (2013). Ecco il brano chiave di quella proposta: Il tempo è superiore allo spazio: questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati […]. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci (EG 223).
C’era una volta il Papa Re e, anche se ce n’è voluto di tempo, alla fine abbiamo capito che la rinuncia al potere temporale era stata provvidenziale. Paradossalmente nei giorni scorsi Trump ci ha proposto la figura di Presidente Papa, un po’ fuori tempo. Ma, evidentemente il potere, con i suoi fasti, ha un fascino irresistibile.
Indicavo come rimedio il “rompere il giocattolo”: rinunciare ai fasti, alla magniloquenza, come Francesco aveva iniziato/continuato a fare. Ho scritto qualche parolina al riguardo in
Quante cose, e cose tutte grandi, in questi giorni… ” Il sepolcro vuoto” e le donne… Il Conclave e “le sfide della Chiesa”… “Il mosaico del Cristo trionfatore”… ” Le riforme di Francesco. Semi di novità “… Tutto questo in coincidenza con la “visita di preospedalizazione” che avevo atteso per mesi e mesi e che doveva preparare la seconda operazione al mio polso per rimediare ai guasti provocati dalla prima… E, subito dopo, l’attesa – ma più il timore- che mi chiamassero e, infine, la telefonata: “L’ìntervento Giovedì 8 maggio, alle 7”. A Santa Maria Nuova. Domani.
Luigi, mi vergogno a dirlo (oltre che a pensarlo), ma una cosa così piccola, una così ridicola ansia /paura, ha avuto il potere di vincere su tutto e non sono riuscita a fermare nella mia mente – cioè a scrivere- neanche una parola sulle tante e tutte grandi cose di questi giorni… Umiliazione.
Umiliazione educativa, speriamo.
Ha riformato poco ma ha avviato molti processi. Francesco è stato un papa a vocazione riformatrice anche se di vere riforme ne ha realizzate poche: ha però avviato una decina di processi innovatori che ora costituiscono un lascito prezioso per i successori.
Partito con le migliori intenzioni di realizzare una “conversione del Papato” e una “scelta missionaria” capace di fare di “ogni struttura ecclesiale un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale e non per l’autopreservazione” (EG 27 e 32), il papa argentino si è subito scontrato con la resistenza al nuovo propria di tanto mondo ecclesiastico e dove non poteva fare riforme ha scelto di avviare processi.
Ha optato per questa soluzione soprattutto quando intendeva aprire a innovazioni mai tentate dai predecessori. L’aveva teorizzata, questa via della gradualità processuale, fin dai primi mesi del pontificato: “Noi dobbiamo avviare processi più che occupare spazi”, aveva detto nell’intervista alle riviste dei gesuiti del settembre 2013.
Credo si possano numerare con le dita delle due mani i campi minati nei quali Francesco ha iniziato a muoversi lento pede e come tastando il terreno: provo a indicarli, partendo da quelli dove le mine sono più fitte e più visibili.
Onorare la varietà della Comunione cattolica. Questa è forse l’impresa più ardua: aiutare la Comunione cattolica ad accettare una pluriformità di ordinamenti e di interpretazioni di “alcuni aspetti della dottrina o di alcune conseguenze che da essa derivano”, facendo in modo che “in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali” (AL 3).
Altro passo pericoloso: riconoscere valore di magistero ordinario ai documenti votati dai Sinodi dei vescovi e pubblicati così come erano stati approvati. In questo modo ha aiutato a tenere aperte le questioni dibattute e ha dato diritto di cittadinanza a domande e proposte fino ad allora ritenute improponibili. Valgano gli esempi del Sinodo dell’Amazzonia e del Sinodo sulla sinodalità.
Partecipazione delle donne ai momenti decisionali della vita della Chiesa: “Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa” è affermato nel paragrafo 60 del documento finale 2024 del Sinodo sulla sinodalità. Del resto è in quel Sinodo che per la prima volta laici e donne avevano avuto il diritto di voto.
Francesco ha affermato fattualmente la necessità di separare la potestà di governo da quella sacerdotale, condizione base perché nella riforma della Curia romana si possa “prevedere – com’è scritto nel paragrafo 10 della Praedicate Evangelium (2022) – il coinvolgimento di laiche e laici in ruoli di governo e di responsabilità”.
Questioni recepite e lasciate aperte. Restaurazione del diaconato per le donne e possibilità del sacerdozio uxorato nella Chiesa latina: Francesco non ha preso decisioni su queste materie, ma “presentando ufficialmente” e invitando a “leggere integralmente” e a dare “applicazione” al documento finale del Sinodo sull’Amazzonia ha di fatto segnalato e – anzi – riconosciuto che le due questioni sono aperte alla discussione e alla maturazione di un consenso ecclesiale più ampio. Nel paragrafo 103 del documento si afferma infatti che “in molte delle consultazioni [svolte in vista del Sinodo tra le comunità amazzoniche] è stata avanzata la richiesta del diaconato permanente per le donne” e che “il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo”. E nel paragrafo 111 si sollecita “l’autorità competente” perchè “stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato”.
Liberazione della figura papale dall’ultimo vestigio imperiale, dalla qualifica di capo di stato, dai vincoli e dal linguaggio diplomatico. Sono obiettivi certamente eccessivi per un solo pontificato: ma Francesco questa ardua impresa l’ha avviata in modo significativo. Non ha voluto il passaporto vaticano, continuando a usare quello argentino che aveva da cardinale e con il quale era venuto al conclave. Ha voluto nell’Annuario Pontificio il solo appellativo di “vescovo di Roma”, facendo mettere in calce alla pagina, con la dicitura “Titoli storici”, gli altri sette appellativi: Vicario di Gesù Cristo / Successore del Principe degli Apostoli / Sommo Pontefice della Chiesa Universale / Primate d’Italia / Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana / Sovrano dello Stato della Città del Vaticano / Servo dei Servi di Dio.
“Sommo pontefice” era un titolo che i papi avevano assunto a similitudine degli imperatori romani, ognuno dei quali era appunto qualificato come “summus pontifex”. Ma c’era anche il rosso della clamide imperiale che i papi avevano nel mantello e nella mozzetta, e che Francesco aveva fatto togliere da subito. Con queste modifiche il papa che ora piangiamo ha come prefigurato il giorno nel quale il vescovo di Roma non sarà più per nulla il “sovrano dello Stato della Città del Vaticano”. Un papa da solo questo obiettivo non può ottenerlo, ma papa dopo papa certo ci arriveremo.
Superamento dell’esilio in cui ad oggi sono tenuti gli omosessuali nella Chiesa e loro accoglienza perché all’interno della comunità cattolica c’è posto per «tutti, tutti, tutti», come ha detto più volte Francesco. Qui le sue parole e i suoi gesti sono nella memoria di ognuno. Il processo è solo avviato, ma bene avviato.
Recupero di radicalità evangeliche. Concessione dei sacramenti – quando risulti possibile a conclusione di un discernimento guidato dal vescovo o da un suo incaricato – ai divorziati risposati e ad altri fedeli che vivono in situazioni canonicamente irregolari. Anche qui il processo ha ormai le sue gambe.
Recupero di elementi di radicalità evangelica nella predicazione e nell’etica cattolica: dal superamento della tradizionale legittimazione della pena di morte all’opzione programmatica per la non violenza, al criterio guida dell’accoglienza nei confronti dei migranti che fuggono dai regimi violenti e dalla morte per fame.
Provo a dettagliare sulla pena di morte. Con un rescriptum del 2 agosto 2018 Francesco detta una nuova formulazione del paragrafo 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, in forza della quale la pena di morte da sconsigliata diviene “inammissibile”: Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.
Questo tema della pena di morte l’abbiamo presente tutti, tanto è stato forte il dibattito provocato dalla decisione del papa argentino, così come tutti sappiamo tutto della sua provvidenziale insistenza sull’accoglienza dei migranti. Quasi tutti invece abbiamo dimenticato l’altrettanto evangelica proposta della non violenza come via cristiana alla pace, formulata nel “Messaggio per la Giornata della Pace” del 2017: La nonviolenza: stile di una politica per la pace. “Nel 2017 – scriveva Francesco in quel documento – impegniamoci con la preghiera e con l’azione a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune”. Di non violenza avevano parlato più volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, mai tuttavia un papa aveva invitato la Chiesa e l’intera umanità a fare della “non violenza attiva e creativa uno stile di vita”, ovvero una scelta di programma. Francesco quella scelta la presenta come necessaria in questo “nostro mondo frantumato”, attraversato da una “terza guerra mondiale a pezzi”, da imponenti flussi migratori e dalla crisi ambientale.
Sono processi di grande rilievo, questi avviati da Bergoglio. Per comprendere il segno che i dodici anni del suo pontificato potranno dare alla storia del papato, occorre tenere d’occhio quei processi, ovvero i semi di novità che è venuto spargendo, a larghe mani, lungo l’intera sua stagione.
La sua vocazione al nuovo si è esercitata in molte direzioni. Se gli succederà un Papa interessato a tradurre in riforme i processi avviati, l’opera svolta da Bergoglio resterà nella storia. Ma quei processi sono comunque un’eredità per tutti, da tutti fruibile e che ognuno – per la sua parte – può aiutare a portare a pienezza.
La scelta di lavorare sui tempi lunghi piuttosto che di forzare per affrettare innovazioni non ancora mature, Francesco l’aveva esposta compiutamente nel primo e più originale dei suoi documenti: l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (2013). Ecco il brano chiave di quella proposta: Il tempo è superiore allo spazio: questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati […]. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci (EG 223).
C’era una volta il Papa Re e, anche se ce n’è voluto di tempo, alla fine abbiamo capito che la rinuncia al potere temporale era stata provvidenziale. Paradossalmente nei giorni scorsi Trump ci ha proposto la figura di Presidente Papa, un po’ fuori tempo. Ma, evidentemente il potere, con i suoi fasti, ha un fascino irresistibile.
Indicavo come rimedio il “rompere il giocattolo”: rinunciare ai fasti, alla magniloquenza, come Francesco aveva iniziato/continuato a fare. Ho scritto qualche parolina al riguardo in
https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/rompere-il-giocattolo-del-potere/
Tra tradizionalismo e modernismo il decisivo riferimento https://gpcentofanti.altervista.org/il-decisivo-riferimento/
Quante cose, e cose tutte grandi, in questi giorni… ” Il sepolcro vuoto” e le donne… Il Conclave e “le sfide della Chiesa”… “Il mosaico del Cristo trionfatore”… ” Le riforme di Francesco. Semi di novità “… Tutto questo in coincidenza con la “visita di preospedalizazione” che avevo atteso per mesi e mesi e che doveva preparare la seconda operazione al mio polso per rimediare ai guasti provocati dalla prima… E, subito dopo, l’attesa – ma più il timore- che mi chiamassero e, infine, la telefonata: “L’ìntervento Giovedì 8 maggio, alle 7”. A Santa Maria Nuova. Domani.
Luigi, mi vergogno a dirlo (oltre che a pensarlo), ma una cosa così piccola, una così ridicola ansia /paura, ha avuto il potere di vincere su tutto e non sono riuscita a fermare nella mia mente – cioè a scrivere- neanche una parola sulle tante e tutte grandi cose di questi giorni… Umiliazione.
Umiliazione educativa, speriamo.
Fiorenza Bettini