Papa Ratzinger e l’attaccamento al vino vecchio – 16

C’è un passo del volume del papa su Gesù (vedi post del 20 settembre) che dice “comprensione” per gli ebrei che resistettero alla predicazione cristiana perchè volevano restare al vino vecchio dell’ebraismo da loro conosciuto come “buono”. Poche parole che mi scatenano dentro cento domande. Eccole:

Nei confronti degli israeliti l’evangelista Luca mostra una comprensione particolare (…) A me sembra significativo il modo in cui egli conclude la storia del vino nuovo e degli otri vecchi o nuovi. In Marco si legge: ‘Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi!’ (Marco 2, 22). In Matteo 9, 17 il testo è simile. Luca ci tramanda la stessa conversazione, aggiungendo tuttavia alla fine: ‘Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perchè dice: il vecchio è buono!’ (5, 39) – un’aggiunta che forse è lecito interpretare come un’espressione di comprensione nei confronti di coloro che volevano restare al vino vecchio” (pp. 216s).

E’ per me impreveduta e bella questa comprensione di Ratzinger per chi diffidò della novità cristiana. Una conferma della sua capacità di porsi le domande del non credente, che si avverte quando le richiama e le soppesa per cercare la risposta. Quanto poi all’attitudine di Ratzinger-Benedetto a porsi gli interrogativi degli uditori ebrei della predicazione di Gesù il lettore attento del volume ne aveva avuto una lunga attestazione nella simpatia con cui alle pp. 131ss vengono esposte le obiezioni del rabbino Jacob Neusner, che si dice “toccato” dalle parole del rabbi di Nazaret ma conclude che non le può seguire e rimane fedele all’Israele eterno. – Ma dicevo che il brano riportato sopra mi riempie di domande che fanno baldoria nella mia testa. Le butto là alla rinfusa. A me piace il vino novello e lo sto giusto aspettando in questi giorni, ma come avrei reagito se mi fossi trovato ad Atene ad ascoltare Paolo all’areopago? Non avrei detto che preferivo restare alla mia fede conosciuta come buona? Sappiamo bene che Ratzinger è astemio, ma un uomo con il suo gusto per il vino vecchio avrebbe mai accettato di assaggiare quello nuovo portato da Gesù? E ancora: se applicassimo l’immagine del vino vecchio conosciuto come buono al vecchio rito della messa? Sono solo una decina di righe quelle che ho riportato, ma c’è da uscirne ubriachi!

65 Comments

  1. michele

    Grazie Luigi, un tema meditativo spupendo, anche io leggendo il Gesù avevo notato ciò, ma la tua riflessione è più ampia e ci aiuta ad allargare i confini del pensiero,,,,,, ah se gli islamici conoscessero il vino vecchio e quello nuovo, ma loro sono completamente astemi.

    26 Ottobre, 2007 - 10:46
  2. Alessandro Iapino

    Prosit Luigi, queste non sono domande, sono bombe…intelligenti! La seconda in particolare è moooolto alcolica. Io ho iniziato a bere ed apprezzare il vino con il matrimonio, grazie a mia moglie Maria Cristina (non nel senso che bevo per…dimenticare!). Le letture del giorno del mio matrimonio erano quelle delle nozze di Cana (ancora il vino). Oggi posso dire che l’amore, quello tra gli sposi in particolare, come il vino del Vangelo “spacca gli otri vecchi”, cioè ti chiede sempre, anche violentemente, di cambiare (“rinuncia a te stesso”) per costituirti “otre nuovo”, nuovo recipiente capace di accolgiere il vino buono, il vino nuovo, il novum dell’amore. L’amore è sempre nuovo, proprio come Gesù è sempre nuovo, l’Uomo Nuovo, il novum per eccellenza, eterno inizio, eterno veniente. Ma noi abbiamo paura del nuovo, come persone e anche come Chiesa, soprattutto in questo periodo. Siamo ben attaccati ai nostri otri vecchi, alle nostre identità consolidate, alle nostre ricchezze (economiche, culturali, affettive, spirituali). E quando gli otri vecchi si spezzano – perchè si spezzano sempre..è il Regno di Dio che si avvicina – ci mettiamo a rincollarli, a difenderli, a rimpiangerli, anziche impegnarci a costruire (diventare) otri nuovi per il vino nuovo.

    26 Ottobre, 2007 - 11:28
  3. Bellssimo questa riflessione, ma mi vorrei ricollegare a quella di due post sotto sulla comunicazione. Luigi, potrebbe lanciare una discussione (o dire la sua) su questo articolo che mi hanno girato vari giovani della cultura, appunto, che va di moda, quella alla Odifreddi,Augias, ecc?

    http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/conti-della-chiesa/conti-della-chiesa/conti-della-chiesa.html

    Spero di non fare arrabbiare nessuno come era stato per il caso sul video della BBC poi finito ad Anno Zero. Ma questa volta si tratta di un articolo di Repubblica che per ora mi astengo dal commentare

    Grazie
    Andrea

    26 Ottobre, 2007 - 11:29
  4. adriano

    Mi riferisco al post di Andrea/Feynman82.
    Gli articoli di Repubblica sono ormai parecchi. L’ultimo computava come “obolo per san Pietro” – letteralmente! – gli stipendi degli insegnanti di religione. Ieri, dopo un mese di articoli come quello che Lei oggi ci sottopone, il direttore di Repubblica “spiegava” in prima pagina al card.Bertone che il suo aver detto “smettiamola” era un’ingerenza nella democrazia italiana da parte di uno Stato Estero. Stamattina un’insegnante di religione, laureata in lingue e con un bacellierato in teologia, madre di due bimbi, bravissima, mi diceva il suo sconforto per aver trovato in classe alcuni alunni che brandendo Repubblica le intimavano di “confessare” la sua complicità nel defraudare il popolo italiano. N.B che Repubblica viene distribuita gratuitamente, anche in centinaia di copie, ad ogni scuola che ne faccia richiesta (come anche il Corriere, il Sole e Quotidiano Nazionale, e forse altri di cui non so) . In alcune classi della mia scuola si dedicano più ore al “controcatechismo” di Augias, Odifreddi, Galimberti ecc. che all’insegnamento della religione stessa.
    Per un commento puntuale agli articoli di Repubblica rimando, ovviamente, alle pagine dedicate di Avvenire. Chi fosse allergico trova tutto sul Blog di Raffella, che alla maniera di Origene (Contro Celso) pubblica il testo dell’accusa prima della replica. Sorprendente anche la risposta odierna di Dino Boffo ad Ezio Mauro: distinzione tra autore (“che stimo”) ed articolo, invito al confronto, alla reciprocità, allo scambio, alla ragionevolezza. L’umile forza di chi è capace di vedere l’umanità, plasmata dal Logos, anche in chi ti sta insultando. L’umile forza che traspare da papa Benedetto. Di cui anche i laici più intelligenti cominciano a chiedersi il senso: Sergio Romano in prima sul Corriere di oggi.
    Insomma: non so cosa vuol dire tutto questo, se non che gli uomini e le donne del nostro tempo ci obbligano a saper dire le ragioni della speranza che ci abita (saperle dire a noi stessi, innanzitutto), come non ci hanno forse mai chiesto negli scorsi decenni.
    Il tempo è bellissimo (anche se fuori piove).
    Adriano

    26 Ottobre, 2007 - 14:08
  5. fabrizio

    L’articolo di Ezio Mauro di ieri è disgustoso, e siamo arrivati ad un livello tale che forse non vale più nemmeno la pena di ribattere.
    Spesso leggo il blog di Raffaella e ammiro gli sforzi e la passione con qui quotidianamente si ostina a replicare al mare di bugie, ma serve a qualcosa?
    Che senso ha usare la ragione e i dati oggettivi quando dall’altra parte c’è il delirio?
    Senza perdere la speranza (e senza fuggire dal confronto), credo che preghiera e digiuno siano gli unici strumenti veramente efficaci in nostro possesso.Tra poco saremo in Avvento e cercherò di viverlo con questo spirito.

    26 Ottobre, 2007 - 14:26
  6. matteo

    ma come si è passati dal tema del vino (con imput molto ricchi)
    a parlare della solita Chiesa?
    Io non provo ad esprimermi perchè so di essere fuori tema.

    26 Ottobre, 2007 - 14:42
  7. michele

    Signori, Repubblica (ovvio il quotidiano) non è nè vino vecchio né vino nuovo, bensì solo aceto e non invecchiato. Pensiamo piuttosto allo spunto di Luigi.

    26 Ottobre, 2007 - 15:04
  8. fabrizio

    è vero, il tema suggerito da Luigi non si merita questa digressione.

    26 Ottobre, 2007 - 15:06
  9. Luigi Accattoli

    Caro Feynman82 essendo stato tanti anni alla Repubblica e poi tanti di più al Corriere della Sera – dove sono ancora – ho sempre condotto in un corpo a corpo quasi feroce la disputa sulle “ricchezze del Vaticano”, a cominciare dalle diatribe interne con Gianluigi Melega, primo redattore capo delle Cronache italiane alla Repubblica nascente e poi tante altre cose e anche parlamentare radicale. Non mi scandalizzo di quegli attacchi e non credo siano i più temibili, in quanto sono i più facili a rintuzzare. Ma non è la mia materia elettiva. Con i non credenti preferisco discutere della posssibilità oggi di credere in Dio e della figura di Gesù piuttosto che delle finanze vaticane. Non ho però nulla in contrario che altri lo facciano nel mio blog anche quando non è il tema del post. – Aggiungo che trovo esemplari le repiche di Avvenire alle varie puntate di Repubblica ed efficace la risposta che oggi Dino Boffo dà a Ezio Mauro. Davvero bravo Boffo! Luigi

    26 Ottobre, 2007 - 16:46
  10. Tornando ai vini. Se lo applichiamo alla mutata situazione sociale e all’invecchiamento medio della popolazione italiana, che incide anche sulla classe dirigente del laicato cattolico, c’è poco da stare allegri.
    Mi è arrivata una newsletter dell’ACI della mia diocesi in cui mi si dice che i giovani si prepareranno sulla costituzione, Lercaro e Dossetti. Per quanto buono, non è vino vecchio in otri nuovi? In cosa può essere d’aiuto per la situazione odierna?
    Ricordo una vaga sensazione di frustrazione quando da fucino mi elencavano i padri della patria che l’associazione aveva partorito. Ma quello da un lato inaspriva la mia depressione per l’impotenza nella situazione presente, dall’altro mi infarciva di “ipse dixit” che bloccavano qualsiasi contributo originale.

    26 Ottobre, 2007 - 17:14
  11. Riflessione interessante, Alessandro. E proprio il giorno dopo che Pietro Scoppola è tornato al Padre.

    26 Ottobre, 2007 - 18:18
  12. Luca, ficcanasando mi pare di vedere che siamo condiocesani – e forse di simile estrazione. Ma tu che ne pensi?

    26 Ottobre, 2007 - 18:24
  13. Francesco73

    Anche io sono stato fucino, e mi allontanai perchè non comprendevo le ragioni di troppo stretto collegamento con “un” filone cattolico molto preciso.
    Lo trovavo inappropriato, e anche riduttivo, soprattutto in una fase particolare della storia italiana e del cattolicesimo culturale e politico.
    Poi, crescendo, ho capito che – nell’apprezzamento fondamentale per quella esperienza e per quelle persone – forse era anche un problema di stile ecclesiale, che non mi convinceva del tutto, non sentivo mio.
    Però fucini e azione cattolica sono sempre il mio primo amore, e tali restano.

    26 Ottobre, 2007 - 18:29
  14. Vangelo Mt 9, 14-17
    Gli amici possono forse essere in lutto mentre lo sposo è con loro?

    Dal vangelo secondo Matteo
    In quel tempo, si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?».
    E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.
    Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si mette vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».

    [Quiz: In che giorno c’è stata questa lettura, quest’anno liturgico?
    (Suggerimento: la risposta potrebbe farvi trasalire …)]

    26 Ottobre, 2007 - 19:08
  15. 07/07/2007
    Syriacus ma cosa c’è di terribile nel compleanno di mia moglie?

    26 Ottobre, 2007 - 20:23
  16. “07/07/2007
    Syriacus ma cosa c’è di terribile nel compleanno di mia moglie?”

    …Che quest’anno ricordava una famosa pagina di Televideo? 😉

    26 Ottobre, 2007 - 20:28
  17. Ancora a proposito di vino nuovo in otri vecchi:
    http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/specials/article2717298.ece
    Ruth Gledhill: Religion’s death has been widely exaggerated
    I thought I was going into a journalistic backwater. I was wrong

    Moolto carino ed esemplificativo di come sia necessario adeguare i nostri schemi a un mondo che cambia.
    PS. Syriacus, battuta terribile ;-D

    26 Ottobre, 2007 - 21:29
  18. Sono solo dieci righe, quelle citate del libro, e un po’ di più quelle del post. Uscirne ubriachi sarebbe già qualcosa, più probabile non uscirne affatto …
    (my compliments!).

    27 Ottobre, 2007 - 0:10
  19. Credo che il vino nuovo dei nostri tempi sia condensato nel Concilio Vaticano II, l’evento che ha rinnovato e sconvolto l’intera Chiesa. E lo ha fatto a tal punto da far paura ai più: per questo assistiamo dagli anni ’70 ad oggi ad una forte ondata di restaurazione.

    27 Ottobre, 2007 - 9:02
  20. matteo

    Mauro, per fortuna!
    Allora non sono così solitario a pensare quello che tu dici?

    27 Ottobre, 2007 - 12:09
  21. Luigi Accattoli

    Benvenuto a MauroB! Ho letto di seguito gli ultimi dodici commenti e temo di aver capito solo una battuta su due, mentre le altre mi sono sfuggite compreso il “compleanno di mia moglie”. Chissà se qualcuno avrà la bontà di svolgere gli enigmi. La buona domenica va comunque a tutti, ermetici e discorsivi amici! Luigi

    27 Ottobre, 2007 - 12:51
  22. Luisa

    Effettivamente il CV II ha sconvolto l’ intera Chiesa .
    Non è certo il Concilio ad avere fatto paura, ma la sua rilettura da parte di coloro che se ne sono impadroniti, che hanno introdotto la nozione di spirito del Concilio a scapito della lettera che dobbiamo ancora riscoprire.
    E non adopererei certo i termine di “restaurazione” per definire il dopo Concilio, ma piuttosto quello di “rivoluzione”, è questa l`ondata che ha sofffiato sulla Chiesa, una tempesta.
    Grande fu l`entusiasmo e le speranze di chi aveva partecipato al Concilio ed è vero tanta la loro inquietudine davanti all`eccitazione dei teologi e della Chiesa , il ciclone che si stava abbattendo sulla Chiesa. Paolo VI per primo ne ebbe paura.
    Le testimonianze di chi ha vissuto il Concilio dall`interno sono tante.
    C`è chi ha resistito a questa ondata rivoluzionaria, chi se ne è andato, ( fra i quali migliaia di sacerdoti), chi è restato nella Chiesa ma lottando per il rispetto della tradizione, contro quella che il Santo Padre ha definito l`ermeneutica della rottura, chi si è adattato ad una progressiva desacralizzazione della Santa Liturgia, e siccome detesto le generalizzazioni, ci sono anche stati tanti slanci sinceri e entusiasti di quello che si voleva essere un rinnovamento.
    E molta, troppa confusione.
    La Chiesa ha oggi Benedetto XVI come suo Pastore universale.
    Se Papa Benedetto ha riconosciuto,con la modestia e sincerità che lo caratterizzano, che all`epoca è stato timoroso, oggi egli ci conduce con coraggio chiarezza ,lungimiranza e serenità.

    27 Ottobre, 2007 - 13:04
  23. Luigi A. : “Ho letto di seguito gli ultimi dodici commenti e temo di aver capito solo una battuta su due, mentre le altre mi sono sfuggite compreso il “compleanno di mia moglie”. Chissà se qualcuno avrà la bontà di svolgere gli enigmi. La buona domenica va comunque a tutti, ermetici e discorsivi amici!”

    Avevo solo fatto notare che, nel giorno di promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum (07/07/07) , il Vangelo del giorno (anno C) era proprio Matteo 9, 14-17 .

    27 Ottobre, 2007 - 13:29
  24. MauroB., Matteo, questa è una lettura sterile che non va da nessuna parte.
    Un’altra che ho sentito fin troppo spesso è quella che vuole in essere nella chiesa un pendolo che oscilla tra progresso e restaurazione.
    Tutte visioni che di ecclesiologico non hanno nulla, ma semmai sono chiavi di letture para-politiche che alla chiesa non dovrebbero essere applicate.
    Il concilio non è tutto, non esaurisce tutto, e ha lacune rispetto a quelle che sono le sfide del mondo attuale.
    Vogliamo guardare insieme a questo o chiuderci in una sterile guerra per bande infracattolica, che di sicuro non testimonia nulla nè fa crescere nulla?
    Io continuo a pensare che queste letture parziali e pessimistiche nascondano la trappola implicita di un rifiuto di fede nella chiesa e nello Spirito che in essa agisce.
    E allora dico che al concilio non bisogna guardare con nostalgia, nè come a un evento cristallizzato. Altrimenti si diventa sterilmente conservatori, si rimpiange una presunta età dell’oro in contrapposizione ad un mondo che non si capisce. E allora sì che si diventa vecchi e sterili.
    No, dobbiamo credere che la Chiesa vive e cresce, spesso per strade che non capiamo subito, e che bisogna sapere vedere i segni di speranza anche ora, non solo rimpiangere quelli di 40 anni fa.

    27 Ottobre, 2007 - 13:35
  25. PS: mia moglie compie effettivamente gli anni il 7 Luglio, “ma questa è un’altra storia…” (il barista di Irma la Dolce).

    27 Ottobre, 2007 - 13:39
  26. Scusate ragazzi, forse non ho ben colto lo spirito di questo blog. Ammetto d’altra parte di non aver letto tutti i messaggi di questa pagina e di essere l’ultimo arrivato (un pò per caso).
    Ma quello che dice Alessandro Canelli non riesco proprio a condividerlo. Intanto io non rimpiango il Concilio, perchè quando si è concluso non ero ancora nato, casomai lo leggo, e vi garantisco che l’ho fatto diverse volte. Il fatto che con gli ultimi due papi la chiesa abbia invertito la direzione intrapresa dal concilio non è una mia opinione, ma un dato di fatto. Si può essere d’accordo con questi papi, ma non si può negare che il cambio di direzione ci sia stato. Quindi ribadisco il termine RESTAURAZIONE.
    Inoltre non capisco perchè le mie parole “sono chiavi di letture para-politiche che alla chiesa non dovrebbero essere applicate”. Credi davvero che la chiesa sia esente da influenze, diciamo, “umane”? Perchè non si può criticare la Chiesa? Tu parli di “sterile guerra per bande infracattolica, che di sicuro non testimonia nulla nè fa crescere nulla”. Io mi chiedo se sei abituato a dialogare con chi la pensa diversamente da te. La chiesa, se non erro, ritiene il DIALOGO un valore prezioso. Ma il dialogo è tale quando si confrontano due pensieri diversi tra loro. Se non si può far questo, perchè dialogare? Perchè fare anche un semplice blog su certi argomenti?
    Io credo molto nella critica quando è costruttiva e quando c’è ascolto reciproco.
    Il concilio non è tutto, e chi lo nega? Il problema è che neanche il magistero è tutto! Neanche Ruini lo è, neanche Ratzinger, neanche io e te. Tutti insieme siamo Chiesa, ed un pezzo, per quanto importante non può dimenticare gli altri.
    Questo è spirito ecclesiale, se permetti. Questo dice la Lumen Gentium, e questo secondo me è un modo per lasciare che lo Spirito soffi dove vuole, non per imbavagliarlo.
    Caro Alessandro, ho visto che definisci perfino Lercaro e Dossetti “vino vecchio”, uomini che invece hanno detto e soprattutto fatto cose straordinarie ch scopriremo chissà quando. Forse siamo troppo distanti, e non credo di poter tornare troppo spesso su questo blog. Quindi ti saluto e spero che questo breve scambio non ti abbia urtato troppo.

    27 Ottobre, 2007 - 14:19
  27. Luisa

    Per Mauro….chiaramente Ratzinger non è tutto ma è in ogni caso Benedetto XVI, o anche questo dato è soggetto a discussione?
    Chi scrive ha vissuto prima, durante e dopo il Concilio ,non ne parlo per sentito dire o per aver letto tutti gli storici del Concilio.
    Dire poi che Benedetto XVI ,e prima di lui Giovanni Paolo, hanno invertito la direzione voluta dal Concilio è una tale contro-verità che si giustifica solo con un`ideologia che preferisco non definire .

    27 Ottobre, 2007 - 14:33
  28. Luigi Accattoli

    MauroB penso che tu possa benissimo partecipare alla baraonda di questo blog dove ognuno tende a dire con passione ogni sua idea ma nessuno intende censurare quelle degli altri. Io amo le opinioni divergenti e sono contento che si esprimano, pongo come unica condizione il rispetto per le persone. Suggerisco anche – ogni tanto – qualche elemento di metodo nel confronto ma – a dire il vero – vengo poco ascoltato. Per esempio leggendo gli ultimi commenti mi viene spontaneo invitare a pensarci un attimo prima di riprodurre tale e quale la discussione che si svolge ovunque: se alcuni di noi parlano come quelli di Communio e altri come quelli di Concilium che utilità avranno i nostri scambi? Certamente non faremo meglio dei grandi nomi che si confrontano da quelle due cattedre! Non è possibile tentare un proprio sguardo scegliendo magari un elemento particolare per un’osservazione più ravvicinata? Trovo utili i commenti che escono dagli schemi, meno quelli che ripetono la grande disputa. Di tutti sono contento. Luigi

    27 Ottobre, 2007 - 15:38
  29. Luisa

    Il mio, caro Luigi, non è uno sguardo ligio a Communio per intendersi, come un papagallo che ripetesse una lezione appresa a memoria.
    Io cerco, con modestia e senza la scienza e la cultura di tanti, di testimoniare quello che ho vissuto dopo il Concilio. Ho sofferto abbastanza da dover allontanarmi dalla pratica ,come una forma di legittima difesa.
    L`elemento particolare sul quale potrei gettare uno sgurdo più ravvicinato per me potrebbe essere la Santa Liturgia e la sua riforma anarchica che mi ha ferita e fatto fuggire.
    Ma, se la capisco bene ,il mio commento entrerebbe in uno schema arciconosciuto e del quale grandi nomi hanno già parlato…
    Oso credere comunque che il vissuto di chi non teorizza, non ideologizza(?) , ma testimonia, anche se non brilla per la sua originalità vale ancora qualcosa.

    27 Ottobre, 2007 - 16:01
  30. raffaele.savigni

    Non condivido la contrapposizione schematica tra il Concilio e gli ultimi due pontefici (contrapposizione comoda per chi vuole screditare o ridimensionare il primo o, al contrario, gli ultimi). Esistono certo teologie diverse, orientamenti diversi, ma non due Chiese parallele (a parte pochi estremisti di tipo tradizionalista o ultraprogressista). A me la frase evangelica sul “vino nuovo” commentata dal papa ha fatto pensare al motu proprio che consente la messa di san Pio V: forse papa Ratzinger, che è stato protagonista del conciulio, voleva dire che i credenti “post-conciliari” debbono essere comprensivi nei confronti del disagio che alcuni loro confratelli hanno avvertito di fronte ad alcune riforme (come quella liturgica), e quindi lasciare loro la possibilità di un cammino graduale che non dia l’impressione di rinnegare il passato. Ovviamente lo stesso vale nei confronti della generazione di Lercaro e Dossetti: noi dobbiamo andare oltre, siamo chiamati a vivere la nostra fede nell’oggi, senza sterili nostalgie, ma anche senza rinnegare quella stagione per ciò che ha portato di fecondo.

    27 Ottobre, 2007 - 17:08
  31. MauroB.: visto che metto il link, ti chiedo un attimo – scopri sul mio sito cosa ho fatto dopo essere nato nel ’65, prima di dire che non dialogo. A livello di pedigree dovrei essere classificato nella… tua squadra, ma sono un dannato ignorante bastian contrario che dovunque lo metti si fa domande, anche se non ha risposte. Communio e Concilium, che non ho mai letto, a questo punto, li metterò nel mio personalissimo indice, come cose da evitare.
    Il problema che vedo è come rapportarsi con l’attualità. Quello che sento troppo spesso è una pregiudiziale negativa di fondo che non porta ad ascoltare gli altri – e questo è contro la Gaudium et Spes, 28. E vedi che su questo siamo d’accordo… 😉
    Ma se metto in discussione il magistero e come si forma e chi ne è voce o assolutizzo una interpretazione del rapporto col mondo che è profondamente radicata in un periodo storico, io penso che rischio di imboccare una via senza uscita.
    E sapete con chi mi scontro regolarmente su questo? con 60enni che mi guardano con sufficienza e i parlano di come era bello una volta!
    E allora mi viene in mente mio nonno, che passati i 75, iniziava a rimpiangere la gioventù.
    Luigi, ho letto con grosso ritardo l’articolo su Segno. Con citazione sballata, “fieri sentio et excrucior” in tua compagnia.
    Sullo stesso numero c’era un’intervista a Tina Anselmi che parlava della necessità di sperare per costruire. Che non sia quella la chiave?

    27 Ottobre, 2007 - 17:10
  32. Leonardo

    Tanto per tornare al tema iniziale: l’interpretazione ratzingeriana di Lc 5,39, suggerita peraltro con sommessa prudenza, è come sempre fine e delicata; però chissà qual era l’intenzione di Gesù nel pronunciare questo logion che mi parrebbe (ma io non sono un neotestamentarista) autenticamente ‘gesuano’. Forse è anche lecito pensare che il detto significhi che chi continua a bere il vino vecchio e se ne accontenta rinuncia a provare quello nuovo e rimane fisso nella convinzione che quello vecchio sia migliore. Le culture antiche sono tutte tradizionaliste, nel senso che non hanno ricevuto l’imprinting del progressismo illuministico della nostra, per il quale (dogmaticamente!) nuovo è meglio di vecchio. Anzi, il fatto che una cosa fosse antica era già un buon argomento pregiudiziale a favore della sua bontà. Il cristianesimo è forse stato il primo grande movimento spirituale a non rifuggire dalla ‘novità’, benché anche i Padri si siano affannati a sostenere che le radici giudaico-cristiane erano antichissime (Mosè viene prima di Omero). Tertulliano, genialmente, dirà che Cristo si è chiamato “verità”, non si è chiamato “consuetudine”.

    27 Ottobre, 2007 - 19:05
  33. Quanto dice Leonardo mi ricorda:
    Matteo 13,52
    Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

    27 Ottobre, 2007 - 20:39
  34. Una discussione di questo tipo, comunque, fa capire che siamo tremendamente vitali, vivaddio.

    Sulla questione conciliare dico che la nozione di “spirito del Concilio” è cosa vaga… i testi, invece, i testi teniamoceli stretti. E misuriamo sulla loro base e sulla loro autorevolezza ciò che è accaduto nella Chiesa in questi ultimi quarant’anni.

    27 Ottobre, 2007 - 20:53
  35. Luigi Accattoli

    A Leonardo e Alessandro. Un commento recente a Luca – Luke Timothy Johnson, Il Vangelo di Luca, Elledici 2004, p. 91 – così interpreta il nostro passo: “Per bere il vino nuovo offerto al banchetto di Gesù, per indossare il vestito nuovo per la sua festa di nozze, è necessario avere un cuore nuovo, passare attraverso la metanoia: un cambio di mentalità come quello mostrato dagli esattori e dai peccatori”. Bruno Maggioni: Il racconto di Luca, Cittadella 2001, p. 123: “Chi è chiuso nel vecchio non apprezza il nuovo”. Jean Radermakers e Phlippe Bossuyt, Lettura pastorale del Vangelo di Luca, EDB 1983, p. 234: “Il vino giovane non è buono: molti preferiranno rimanere con il loro vino vecchio”. La Bibbia di Gerusalemme: “Quest’ultimno tratto, proprio di Luca, forse riflette l’esperienza dello stesso Luca, discepolo di Paolo, che conosce la difficoltà della missione presso i giudei”. – Mi pare insomma che l’interpretazione di Ratzinger-Benedetto, svolta nel segno della “comprensione” verso i giudei che non seguono Gesù, sia sua originale. Questo fatto la rende ancora più interessante. Interessantissima per me, che mi sento legato a doppia mandata al Vangelo di Luca. Luigi

    27 Ottobre, 2007 - 21:08
  36. Leonardo

    Il cardinale Martini direbbe: si vede che l’autore non è un esegeta.

    27 Ottobre, 2007 - 22:06
  37. Ci riprovo, rendendomi conto che nel mio intervento passato sono stato un pò brusco, anche se non credo di aver mancato di rispetto ad alcuno.
    Ci riprovo perchè trovo interessanti le domande iniziali ed alcuni commenti.
    “come avrei reagito se mi fossi trovato ad Atene ad ascoltare Paolo all’areopago? Non avrei detto che preferivo restare alla mia fede conosciuta come buona?”
    Credo che la capacità di apertura al nuovo senza per questo seguire ogni novità insignificante, sia un atteggiamento difficile e necessario ancor oggi. Se vogliamo che sempre più persone si pongano seriamente di fronte alla proposta cristiana, dobbiamo mostrare noi per primi uno spirito di ricerca, di accoglienza verso il nuovo, senza per questo mettere in discussione tutto. Ecco perchè parlavo del Concilio. Perchè mi pare che abbia fatto questo, anche se giustamente non è l’unico momento di speranza dell’ultimo secolo.
    Vedo il bisogno di essere più partecipi nella Chiesa, più considerati, più ascoltati. Se si facesse più questo, forse anche altri dall’esterno sarebbero interessati al “vino nuovo” del vangelo.

    28 Ottobre, 2007 - 8:49
  38. Francesco73

    Il vino nuovo negli otri vecchi…ne ha parlato ieri anche Veltroni all’assemblea milanese del PD? Mi sa che i suoi ghost writer hanno copiato dal Papa…

    Concordo con Luigi sull’opportunità di rompere il dualismo Concilium/Communio. Anche se il fatto che un ex fucino come Canelli si lasci associare – per le posizioni espresse qui – alla seconda, significa che siamo già ben oltre lo scontato e il prevedibile.
    Mi ricorda quando stavo nella FUCI di Roma, e non capivo bene perchè ero l’UNICO che non condivideva l’esclusività di alcuni riferimenti politico-culturali…Dovevo risultare anche io abbastanza fuori schema.

    Sul Concilio ho sempre rifiutato l’ermeneutica della rottura. E non ho mai condiviso alcuni esiti ecclesiali, culturali e politici, anche se – crescendo – ho capito meglio le cose e le ho sapute inquadrare diversamente, con minore pregiudizio.
    Ciò detto, non ho mai dubitato dell’importanza fondamentale dell’evento conciliare, e di quel che ha prodotto.
    Importanza che mi pare tanto più rilevante oggi, quando si assiste a una serie di tentativi – più o meno strutturati – di “vendicarsi” del Vaticano II ad opera degli oppositori di allora.
    Purtroppo la fondatissima preoccupazione del Papa per la liturgia si è trasformata, presso alcuni settori, in una specie di legittimazione dell’ossessione liturgica. Per cui non si parla d’altro, e sembra che la Chiesa sarà salvata dalle cartegloria, dai flabelli e dalle chiroteche…
    Ecco no, questo mi pare abbastanza inaccettabile, oltre appunto ai toni di trionfo di chi ripete “avevamo ragione noi ad opporci, noi siamo la vera Chiesa”.
    Oggi un serio riconoscimento della sostanza ecclesiale e teologica del Concilio è quindi ancora più importante.

    28 Ottobre, 2007 - 10:12
  39. Che bello! Finalmente in po’ di steccati che cadono! Ancora più bello è ritrovarsi sui punti fermi.
    Posso fare un esempio di quello che ritengo sia da evitare?
    Biffi pare scriva nel suo ultimo libro che Dossetti non si è espresso con abbastanza forza contro i crimini “rossi” del dopoguerra. Affermazione di per sè risibile, visto che essere DC a Reggio in quegli anni era di per sè una presa di posizione forte.
    Ma ecco sul Corriere – Bologna la risposta di Melloni. E le iperboli per descrivere Dossetti e il suo pensiero si sprecano.
    Ma se ora dicessi che Dossetti era un pessimo politico (mia opinione, non pretendo di imporla a nessuno) cosa succederebbe? “Scomunica” Melloniana?
    Se io cristallizzo gli esempi non aiuto a capire in che rapporto posso metterli con l’oggi, e rischio di far loro del male, alla fine, facendoli diventare dei “prendere o lasciare” dietro cui si nascondono troppo spesso i mediocri e gli astiosi (e non parlo di Melloni, che sicuramente mediocre non è).

    28 Ottobre, 2007 - 13:30
  40. PS1: Ghost writers di Veltroni.
    Potrei citare 3 ex presidenti o membri di presidenza FUCI solo per il discorso di Milano…..

    28 Ottobre, 2007 - 13:31
  41. PS2: bello il vangelo di oggi. Ma altrettanto esigente di quello sul vino nuovo.
    Una volta ho provato a pensare se io ero classificabile come il fariseo o il pubblicano.
    Ma quando pensavo di essere come il pubblicano mi rendevo conto che in realtà diventavo il fariseo – e viceversa.
    Buona Domenica a tutti.

    28 Ottobre, 2007 - 13:34
  42. A.C.: “Una volta ho provato a pensare se io ero classificabile come il fariseo o il pubblicano.
    Ma quando pensavo di essere come il pubblicano mi rendevo conto che in realtà diventavo il fariseo – e viceversa.”

    “La vanità è a tal punto radicata nel cuore dell’uomo che un soldato, un attendente, un cuciniere, un vessillifero si vantano e vogliono degli ammiratori. E anche i filosofi li vogliono, e quelli che scrivono contro tutto ciò vogliono la gloria di avere scritto bene, e quelli che leggono vogliono la gloria di averli letti, e anch’io che sto scrivendo ho forse questo desiderio, e forse quelli che lo leggeranno…” (Blaise Pascal) 🙂

    28 Ottobre, 2007 - 15:27
  43. Luigi Accattoli

    Da padre Giorgio Vigna francescano ricevo questo messaggio:
    Caro Accattoli, seguo da vicino i post nel tuo blog. Voglio dirti che apprezzo molto i contenuti e forse più ancora lo stile tanto umano (“caldo”) con cui commenti i piccoli fatti che incontri ogni giorno. Ho di che imparare – il che non mi dispiace per niente. Auguro ogni bene a te e alla tua bella famiglia. p. giorgio vigna, ofm – Commissariato di Terra Santa

    28 Ottobre, 2007 - 15:37
  44. L.A.: “Se alcuni di noi parlano come quelli di Communio e altri come quelli di Concilium che utilità avranno i nostri scambi? Certamente non faremo meglio dei grandi nomi che si confrontano da quelle due cattedre! Non è possibile tentare un proprio sguardo scegliendo magari un elemento particolare per un’osservazione più ravvicinata?”

    Concordo al 200% .

    28 Ottobre, 2007 - 15:38
  45. Luigi Accattoli

    Benvenuto al padre Giorgio! Grazie dell’apprezzamento e un vivo saluto al padre Pizzaballa. Luigi

    28 Ottobre, 2007 - 15:39
  46. Una certa “vulgata” vuole che il papa, in quel famoso discorso alla Curia, abbia opposto “ermeneutica della discontinuità” a “ermeneutica della continuità”. Tutt’altro. Ha opposto “ermeneutica della rottura e della discontinuità” a “ermeneutica della riforma”. Tutt’altra faccenda, ricordiamolo.

    28 Ottobre, 2007 - 16:07
  47. Luigi Accattoli

    Il vero intellettuale – e papa Benedetto lo è – non si adatta, anzi non si arrende, agli schieramenti esistenti e fornisce un contributo per il loro superamento. Il contributo può essere anche di parole. A volte sono necessarie parole nuove. Tra continuità e discontinuità non c’è salvezza, o bianco o nero. La riforma invece, parola forte in bocca a un papa tedesco, rimescola e apre perchè si dà la possibilità di una “riforma nella continuità” e di una “riforma nella continuità”. La scelta di quella parola fu geniale ed evitò che il papa fosse posto sotto sequestro da una delle parti in contesa. Luigi

    28 Ottobre, 2007 - 16:22
  48. “L’ultimo evento di quest’anno su cui vorrei soffermarmi in questa occasione è la celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant’anni fa. Tale memoria suscita la domanda: Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l’altro: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …” (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524). Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all’amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.

    All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma, come l’hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865). È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; è chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d’altra parte, la riflessione sulla fede esige anche che si viva questa fede. In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. Quarant’anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio.

    Paolo VI, nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato ancora una specifica motivazione per cui un’ermeneutica della discontinuità potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull’uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell’antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo ed il mondo di oggi, dall’altra (ibid., pp. 1066 s.). La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di “mondo di oggi” ne scegliamo un altro più preciso: il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna. Questo rapporto aveva avuto un inizio molto problematico con il processo a Galileo. Si era poi spezzato totalmente, quando Kant definì la “religione entro la sola ragione” e quando, nella fase radicale della rivoluzione francese, venne diffusa un’immagine dello Stato e dell’uomo che alla Chiesa ed alla fede praticamente non voleva più concedere alcuno spazio. Lo scontro della fede della Chiesa con un liberalismo radicale ed anche con scienze naturali che pretendevano di abbracciare con le loro conoscenze tutta la realtà fino ai suoi confini, proponendosi caparbiamente di rendere superflua l’“ipotesi Dio”, aveva provocato nell’Ottocento, sotto Pio IX, da parte della Chiesa aspre e radicali condanne di tale spirito dell’età moderna. Quindi, apparentemente non c’era più nessun ambito aperto per un’intesa positiva e fruttuosa, e drastici erano pure i rifiuti da parte di coloro che si sentivano i rappresentanti dell’età moderna. Nel frattempo, tuttavia, anche l’età moderna aveva conosciuto degli sviluppi. Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese. Le scienze naturali cominciavano, in modo sempre più chiaro, a riflettere sul proprio limite, imposto dallo stesso loro metodo che, pur realizzando cose grandiose, tuttavia non era in grado di comprendere la globalità della realtà. Così, tutte e due le parti cominciavano progressivamente ad aprirsi l’una all’altra. Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la seconda guerra mondiale, uomini di Stato cattolici avevano dimostrato che può esistere uno Stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo. La dottrina sociale cattolica, via via sviluppatasi, era diventata un modello importante tra il liberalismo radicale e la teoria marxista dello Stato. Le scienze naturali, che come tali lavorano con un metodo limitato all’aspetto fenomenico della realtà, si rendevano conto sempre più chiaramente che questo metodo non comprendeva la totalità della realtà e aprivano quindi nuovamente le porte a Dio, sapendo che la realtà è più grande del metodo naturalistico e di ciò che esso può abbracciare. Si potrebbe dire che si erano formati tre cerchi di domande che ora, durante il Vaticano II, attendevano una risposta. Innanzitutto occorreva definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del resto, non soltanto le scienze naturali, ma anche la scienza storica perché, in una certa scuola, il metodo storico-critico reclamava per sé l’ultima parola nella interpretazione della Bibbia e, pretendendo la piena esclusività per la sua comprensione delle Sacre Scritture, si opponeva in punti importanti all’interpretazione che la fede della Chiesa aveva elaborato. In secondo luogo, era da definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, che concedeva spazio a cittadini di varie religioni ed ideologie, comportandosi verso queste religioni in modo imparziale e assumendo semplicemente la responsabilità per una convivenza ordinata e tollerante tra i cittadini e per la loro libertà di esercitare la propria religione. Con ciò, in terzo luogo, era collegato in modo più generale il problema della tolleranza religiosa – una questione che richiedeva una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo. In particolare, di fronte ai recenti crimini del regime nazionalsocialista e, in genere, in uno sguardo retrospettivo su una lunga storia difficile, bisognava valutare e definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la fede di Israele.

    Sono tutti temi di grande portata su cui non è possibile soffermarsi più ampiamente in questo contesto. È chiaro che in tutti questi settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma. In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l’uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso (cfr Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere (cfr 1 Tm 2,2); ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato. I martiri della Chiesa primitiva sono morti per la loro fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede – una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà della fede. Essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano – una risposta con cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l’unità tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli.

    Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8). Chi si era aspettato che con questo “sì” fondamentale all’età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l’“apertura verso il mondo” così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell’uomo. Questi pericoli, con le nuove possibilità e con il nuovo potere dell’uomo sulla materia e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni: uno sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) – non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo VI e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell’uomo. Era invece senz’altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. La situazione che il Concilio doveva affrontare è senz’altro paragonabile ad avvenimenti di epoche precedenti. San Pietro, nella sua prima lettera, aveva esortato i cristiani ad essere sempre pronti a dar risposta (apo-logia) a chiunque avesse loro chiesto il logos, la ragione della loro fede (cfr 3,15). Questo significava che la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l’interpretazione la linea di distinzione, ma anche il contatto e l’affinità tra loro nell’unica ragione donata da Dio. Quando nel XIII secolo, mediante filosofi ebrei ed arabi, il pensiero aristotelico entrò in contatto con la cristianità medievale formata nella tradizione platonica, e fede e ragione rischiarono di entrare in una contraddizione inconciliabile, fu soprattutto san Tommaso d’Aquino a mediare il nuovo incontro tra fede e filosofia aristotelica, mettendo così la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo. La faticosa disputa tra la ragione moderna e la fede cristiana che, in un primo momento, col processo a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma col Concilio Vaticano II arrivò l’ora in cui si richiedeva un ampio ripensamento. Il suo contenuto, nei testi conciliari, è tracciato sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la direzione essenziale, cosicché il dialogo tra ragione e fede, oggi particolarmente importante, in base al Vaticano II ha trovato il suo orientamento. Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento. Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa.”

    (Benedetto XVI – da: Discorso ai Membri della Curia e della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi , 22 dicembre 2005)

    http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_spe_20051222_roman-curia_it.html

    28 Ottobre, 2007 - 16:26
  49. Leonardo

    Un semplice link no?

    28 Ottobre, 2007 - 16:53
  50. “Un semplice link no?”

    Ho enucleato la parte relativa al Concilio Vaticano II.

    [Comunuqe, se ti/vi sto poco simpatico, posso levare le tende da questo e altri blog, gentile Leonardo. Basta dirlo a voce alta e chiara, senza belletti da finta urbanità pseudo-British.
    Accetto le correzioni fraterne. Quando diventano però -per toni e/o contenuti- “correzioni da sorellastre” (à la Binacaneve) , meglio che mi faccia da parte. Ultimamente sto sulle scatole a troppi qui e altrove. Sono i segni dei tempi. E forse è l’ora che me ne vada. Grazie a tutti. ]

    28 Ottobre, 2007 - 17:06
  51. michele

    Per Luigi
    non ti sembra necessario un tuo intervento sul Corriere dopo la pubblicazione nella posta di una lettera infarcita di errori e riscontrata da Romano su materie del quale mi sembra completamente fuori pista.

    28 Ottobre, 2007 - 17:10
  52. Luigi Accattoli

    Syriacus apprezzo te più d’ogni altro e dunque non te ne andare. Linka e incolla quanto vuoi. Qui nessuno è stato mai rimproverato – da me – per essere andato in lungo o in largo o fuori campo o sopra le righe. Io faccio osservazioni solo quando si manca di rispetto alle persone. Tu sei rispettosissimo e di ampie vedute. Oltre che pieno di risorse. Luigi

    28 Ottobre, 2007 - 17:15
  53. Luigi Accattoli

    A Michele. Come ho più volte avuto occasione di segnalare, non decido io i miei interventi sul Corsera. Come del resto capita a ogni giornalista di ogni giornale. La mia idea sul sangue di San Gennaro l’ho esposta in questo blog: vedi post del 22 ottobre, “Il papa a Napoli nel segno del sangue” e un paio di miei commenti a esso. Aggiungo che la risposta di Sergio Romano al lettore non mi è parsa cattiva venendo da un “laico”. Luigi

    28 Ottobre, 2007 - 17:24
  54. Leonardo

    Siamo un pochino permalosi, nevvero? Esprimo solo una preferenza per i messaggi brevi (in ogni caso quelli lunghi non li leggo). Il computer non mi sembra fatto per lunghe letture ma per veloci contatti e a me piace conversare un pochino, nelle pause del lavoro. Forse l’ho già detto, ma lo considero l’equivalente delle due chiacchiere al caffé.
    Il blog di Tornielli, che sarebbe interessante, è diventato illeggibile perché afflitto, oltre che da qualche personaggio poco simpatico, da interventi di spropositata lunghezza. Qui mi parrebbe diverso.

    28 Ottobre, 2007 - 17:49
  55. [ Grazie, Luigi, grazie…

    ..E ora come faccio?? …Seguo l’exemplum del Senatore Selva? 😉

    ” (L’Alcade si alza e guarda l’orologio.)

    ALCADE
    Figliuoli, è tardi; poichè abbiam cenato,
    sì rendan grazie a Dio, e partiamo.

    PREZIOSILLA, CARLO e CORO
    Partiam, partiam, partiamo.
    Buono notte, buona notte.

    TUTTI
    Holà! Holà! È l’ora di riposar.
    Allegri, o mulattier! Holà!

    CARLO
    Son Pereda, son ricco d’onore, ecc.

    ALCADE
    Sta ben.

    PREZIOSILLA
    Ah, tra la la la!
    Ma, gnaffe, a me no se la fa.

    TUTTI
    Buon notte. Andiam, andiam. ”

    (Vabbè, diciamo che per oggi mi autosospendo… 🙂 Ora devo fare le pulizie e poi, dopo cena , trasportare un clavicembalo in una chiesa. Buona incipiente settimana a tutti. ) ]

    28 Ottobre, 2007 - 17:59
  56. Leonardo

    Andiam, andiam mio bene, a ristorar le pene d’un innocente amor

    28 Ottobre, 2007 - 18:14
  57. adriano

    Posso salutare p.Giorgio Vigna? Eravamo compagni di banco alla Fist. Conservo un suo foglietto di sinossi del decalogo come una reliquia.
    Per tutti gli altri: per non farmi di nuovo (giustamente) accusare di andare fuori tema vi dico la mia sul vino. L’unico vino sempre nuovo è Gesù, ovviamente. Allora, oggi e sempre. Mi sembra altrettanto ovvio che noi siamo sempre botti vecchie. Per non sprecare il vino dobbiamo diventare botti nuove. Impresa impossibile, come “nascere di nuovo”. Ci pensa Lui, se siamo disponibili, anche se può far male. Può farlo anche usando un blog: certe asprezze, resistenze, ritrosie, incomprensioni – e contemporaneamente il continuare a restare in gioco, ad esporsi, a chiedere umilmente – non potrebbero essere quasi contrazioni di doglie?
    In riferimento alla disputa sulle interpretazioni tipo Communio o Concilium, sperando sempre di non andare fuori tema, trascrivo da Agostino, Confessioni, Libro XII, XXV/34, nella traduzione di p.G.Sommavilla: “Perciò, Signore,sono tremendi i tuoi giudizi: perché la tua verità non è né mia, né di questo né di quello, ma di tutti noi, e tu inviti apertamente tutti noi a farne parte, ammonendoci severamente a non volerla ridurre a nostra privata verità, per non esserne privati. Tutto ciò che tu offri al godimento di tutti, se qualcuno lo rivendica per sé e lo vuole come suo proprio, viene respinto dal comune al proprio, cioè dalla verità alla menzogna. Giacché chi mente, dice del suo”.
    Un ultimo pensierino, per lo specifico di Lc 5,39: Gesù fa nuove tutte le cose. Anche il vino vecchio. Diceva Origene nel Contro Celso: per un cristiano anche l’Antico Testamento è Testamento Nuovo, perchè gli parla di Gesù. Anche il “vecchio” rito è nuovo, per chi vi incontra Gesù.
    Adriano

    28 Ottobre, 2007 - 18:22
  58. “Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!”. Cristo è stato forse diviso?”
    Buona settimana – grazie a tutti

    28 Ottobre, 2007 - 22:03
  59. Luigi Accattoli

    Dunque il padre Giorgio e Adriano si conoscono: non l’avrei mai immaginarlo. Apprezzo la riflessione di Adriano su ciò che di buono può venire da un blog anche quanto all’essere uomini e cristiani: in fondo fare un blog non è altro che fare conversazione – cioè incontrare persone. Forse l’impresa più impegnativa. Luigi

    29 Ottobre, 2007 - 8:50
  60. Francesco73

    Ragazzi, Luigi dice che apprezza Syriacus più di ogni altro.
    A questo punto i permalosi li facciamo noi, e ci ritiriamo – offesi – sull’Aventino!

    🙂 🙂

    29 Ottobre, 2007 - 9:41
  61. Luigi Accattoli

    Non prendertela Francesco, dev’essere per la ypsilon che mi è venuto quel debole! Luigi

    29 Ottobre, 2007 - 9:49
  62. … adesso provo a firmarmi Adryaticus a vedere che succede…
    ;-D

    29 Ottobre, 2007 - 10:41
  63. Francesco73

    Sì, infatti, e io mi firmo Pycenus, vediamo se Luigi si scioglie…

    🙂

    29 Ottobre, 2007 - 11:20

Lascia un commento