Parabola del missionario burlone e dei sequestratori – 7

Settima scena. Entra il capo dei sequestratori con un giornale in mano e legge: “C’è stato un combattimento tra un reparto dell’esercito e i guerriglieri che hanno rapito il missionario italiano. Quindici militari sono stati fatti prigionieri e sono stati sgozzati dai guerriglieri”. Si siede e si rivolge al missionario: “Che dici di questo fatto? Il missionario resta seduto sul sasso, si prende la testa tra le mani e tace a lungo scuotendola, come piangendo. “Perché non rispondi?” insiste il capo dei sequestratori. E’ la compassione per quei morti che mi impedisce di parlare” risponde il missionario. Poi – senza togliere le mani dagli occhi – dice: “Se i militari fossero arrivati fino a questa tenda che avreste fatto?”
“Ti avremmo ucciso e poi avremmo combattuto fino a morire”.
“Bello! E come mi avreste ucciso?” domanda il missionario continuando a tenere le mani sugli occhi.
“Tagliandoti la testa”
“L’avete già fatto?” chiede il missionario allargando le mani e mantenendole accanto agli occhi.
“Tutti l’abbiamo fatto almeno una volta, è una condizione per fare i sequestri”.
“Magnifico! Che schifo… Non ci posso neanche pensare” quasi grida il missionario muovendosi qua e là per la tenda.
“Tu hai paura della morte? Noi che abbiamo scelto di fare  la guerra non abbiamo paura di morire”.
“Ho paura di morire, non mi vergogno a dirlo. Ma se vuoi saperlo credo che sono anche capace di morire… no no, devo dire meglio, non capace di morire, ma di chiedere a Dio la forza per affrontare la morte se fosse necessaria per fare il bene”.
“Che bene facevi ai tuoi convertiti?”
“Gli insegnavo il Vangelo. Non c’è nulla di più importante da insegnare al mondo”.
“Che dice di utile il tuo Vangelo?
“Che Dio è amore, ci ama e vuole che ci amiamo tra noi come figli suoi”.
“Erano parole o davi anche qualche dimostrazione di questo comandamento?”
“Insegnavo loro ad aiutarsi nella coltivazione dei campi e nella costruzione delle case. Facevo i loro stessi lavori e insegnavo qualcosa del modo di lavorare che si usa al mio paese e che ho imparato da ragazzo, essendo anche io figlio di contadini. E poi li aiutavo a fondare scuole e cooperative di lavoro”.
“Per quel Vangelo e per questi contadini saresti disposto a morire?”
“Sì, spero di sì”.
“Allora siamo pari, perché hai anche tu una guerra per la quale morire”.
“No! Non siamo pari perché voi con la vostra lotta uccidete, io invece con la mia aiuto a vivere”.
“Solo Dio sa chi davvero aiuta a vivere”.

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