Ratzinger l’orante: “Guarda alla nostra tribolazione”

La parola del papa è forte quando si rivolge agli uomini, ma è più forte – ne sono sicuro – quando si rivolge a Dio (vedi post del 13 e del 24 luglio). Ecco come ha parlato all’Onnipotente ieri, durante la celebrazione al santuario di Altoetting, mosso dal dramma della mancanza di preti: “Signore, guarda la tribolazione di questa nostra ora che abbisogna di messaggeri del Vangelo, di testimoni per Te, di persone che indichino la via verso la ‘vita in abbondanza’! Vedi il mondo e lasciati prendere anche adesso dalla compassione!” – Una preghiera ancora più forte aveva azzardato durante l’udienza di mercoledì 23 agosto, commentando l’invocazione dell’Apocalisse “Vieni Signore Gesù” (22, 20) e la recupero oggi, perché allora ero in vacanza in Sicilia: “Sei già venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. E’ una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!” – Sono colpito dall’audacia di queste parole e mi impegno oggi, dalla Germania, a segnalare giorno dopo giorno ai visitatori di questo blog le invocazioni più vive che escono dalla bocca del papa. Le trovo più interessanti delle nomine e degli appelli per la pace.

Commento

  1. La “novità” di papa Ratzinger inizia ormai a manifestarsi al di là di ogni possibile dubbio residuo.
    Il suo tono dimesso di uomo normale chiamato a un compito elevatissimo, ma pur sempre un compito umano, per cui invocare – come il più umile lavoratore – l’aiuto di Dio senza nascondere le proprie inevitabili manchevolezze.
    Il coraggio di mostrarsi uomo di Chiesa tra gli altri, intervenendo nelle discussioni ecclesiali con serena autorevolezza ma con l’umiltà di sedersi allo stesso tavolo.
    Il guizzo sommesso d’ironia, che per esempio lo porta a scrivere nel registro delle visite “Benedetto XVI, papa”.

    Il richiamo continuo all’interiorità della fede, la fiducia nei tradizionali “strumenti” della santificazione cristiana, che – ben lungi dal tradizionalismo polemico, astioso e ansioso – è quieto e profondo riposo nella Tradizione autenticamente ecclesiale.

    E, in modo impressionante, la consapevolezza di NON essere chiamato necessariamente a riassumere in sé ogni istanza, ogni esigenza, ogni percorso della vita ecclesiale e, tanto meno, della vita del mondo: cioè, si direbbe, l’abissale distanza – per temperamento personale prima ancora che per impostazione ecclesiologica – da ogni tentazione di malintesa “vicaria”.
    (Anche il rapporto con le altre religioni, per esempio, che riconosce le evidenti e umanamente inconciliabili differenze ma non per questo pregiudica un rapporto di serena convivenza e collaborazione, non è estraneo – oserei dire – non solo alla consapevolezza lucida e cristallina della verità cristiana ma anche alla rinuncia a qualsiasi velleità di farne strumento di dominio o di supremazia, anche solo intellettuale, nel secolo.)

    E, infine, una fiducia intima ma totale e senza riserve nella vittoria dell’amore di Cristo, il vero, unico “proprium” cristiano che, solo, può convertire e salvare il mondo, ciascun uomo e tutti gli uomini insieme.

    12 Settembre, 2006 - 11:03

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