Scatta sempre una fotografia

Un’amica di nome Fabiana mi segnala questo motto di Pasquale Pirone – che non conosco – trovato in Rete: “Tutto passa, tutto va via, per cui se puoi scatta sempre una fotografia”. Suona male ma dice qualcosa della mania universale di scattare sempre, a me incomprensibile. Per via Cavour – che è qui sotto – folate di turisti fotografano dall’alba al tramonto. I tabelloni dei bus, le lastre del marciapiede: tutto. Poi si fermano in crocchio a controllare com’è venuto il tabellone romano.

18 Comments

  1. Sara1

    Oggi per la prima volta ho usato il cellulare per fotografare una bibliografia e una citazione. Invece di scriverla da qualche parte ho scattato la foto.
    Mi hanno insegnato mio figlio e i suoi amici, uno fa i compiti poi ci fa una foto e li manda in giro su whatsapp.

    Comodo è comodo.

    20 Febbraio, 2015 - 0:06
  2. Sara1

    La settimana scorsa invece mi ha scattato una foto il proprietario della stessa libreria dove io fotografo i libri.
    Prima mi ha scattato la foto poi mi ha chiesto, le dispiace? era tanto carina…

    Mi è sembrata una cosa assolutamente lunare.

    20 Febbraio, 2015 - 0:24
  3. FABRICIANUS

    Ho amato scattare le fotografie per diverso tempo…

    Ora, (non so perchè sinceramente) non lo faccio più da anni, salvo rare eccezioni.

    Buon inizio di Quaresima a tutti.

    20 Febbraio, 2015 - 10:31
  4. Marilisa

    La mania del fotografare ogni cosa ha preso piede da quando impera l’ informatica . Con gli smartphone a portata di mano poi si fotografa tutto e di più.
    Se penso che la mia prima foto fu scattata necessariamente alla “veneranda” età di cinque anni( per la scuola), mentre oggi i bimbi vengono immortalati subito dopo la nascita, non posso fare a meno di pensare che di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima nel giro di qualche lustro.
    Oggi chi poco fotografa è out, che vuol dire essere fuori dal mondo.
    È bello però fissare in una foto, istantaneamente, le cose più belle che capita di trovare nel cammino di ogni giorno. Soprattutto i momenti più belli, pieni di significato.
    Un domani nel rivederli ci saranno altri momenti di piacere e di gioia.
    Certo è che i posteri non dovranno faticare molto per ricostruire le civiltà passate: hanno tutti i dettagli serviti su un piatto d’ argento. A meno che non accada una catastrofe che seppellisca ogni cosa.
    Dio ce ne scampi! Non voglio nemmeno pensarci.

    20 Febbraio, 2015 - 11:20
  5. picchio

    Certo che è comodo Sara, infatti ormai gli studenti non si preparano più i bigliettini per copiare – e almeno scrivendo qualcosa impararavano- ma cercano di copiare direttamente dal cell

    20 Febbraio, 2015 - 12:15
  6. Marilisa

    Discepolo, tutte le civiltà, anche le più progredite, hanno conosciuto larghe fronde di incivili. Non dico che ci si debba abituare, ma non vale neppure la pena di farsi il sangue troppo amaro per questo. Altrimenti non si vive più.

    20 Febbraio, 2015 - 13:32
  7. Marilisa

    Tornando alle foto, proprio pochi giorni fa un cortese signore sconosciuto mi telefona e, nominandomi la storica ditta di falegnameria della mia città, presso la quale lavorò mio padre da giovane, mi chiede di cercare materiale che possa illustrare un libro in preparazione a documento della storia di quella famosa e raffinata attività artigianale.
    Vado a cercare e trovo due foto di gruppo, scattate da un professionista, in quel luogo di lavoro.
    Mio padre e molti suoi compagni posano con naturalezza. Al centro, sorridente, il loro datore di lavoro.
    Mio padre, il più alto, sta sulla destra.
    Perdonate la sviolinata: così giovane e bello non lo avevo mai conosciuto.
    Una bella fotografia color seppia, che ritrae chi non c’ è più: uomini semplici che portavano avanti con serietà e amore un lavoro che purtroppo avrebbero perso di lì a quindici anni. Un lavoro che rese grande, grazie a loro, quella ditta di cui oggi si vuol lasciare memoria scritta.
    Le foto rendono più viva quella memoria di una felice pagina della storia della mia città.
    Allora le foto si facevano nei momenti importanti della vita familiare e sociale.
    Oggi sono diventate una specie di giochetto banale.

    20 Febbraio, 2015 - 13:58
  8. Sara1

    A proposito di cellulari e modi di scrivere trovo personalmente condivido questo approccio:

    http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/neolingua-2.0.aspx

    Neolingua 2.0 piace anche alla Crusca
    Giacomo Gambassi

    ?
    Ciaoooo. Come stai? Qui alla grande!!!! Grz. Sto prendendo il 3no xké vado a casa. Finalmente riposo…… Qual è il film che hai visto? PIACIUTOOOO???? Se lo sapevo, venivo. Cmq non c’è niente che ho bisogno. Metterò apposto il garage. Ho appena taggato un selfie belloso (e se la grafica di questa pagina lo permettesse, a questo punto ci sarebbero tre o quattro “faccine” che sorridono).

    Non prendeteci per pazzi. Quanto abbiamo scritto è una “summa” dell’italiano che compare sui social network. Chiamiamolo pure “neo lingua”. Oppure “volgare 2.0”, dove “volgare” rimanda a quell’impronta popolare cara a san Francesco d’Assisi o Dante, tanto per citare due nomi. O ancora “nuovo italiano digitale”. Qualcuno arriccerà il naso leggendo frasi così strampalate. E forse potrebbe avere anche ragione. Ma linguisti e studiosi di semiotica rassicurano: Facebook, Twitter e WhatsApp non stanno minando le fondamenta del nostro idioma nazionale. Può essere che l’italiano online non piaccia e sembri sgraziato. Però non è poi da matita rossa continua. «Parlare di allarme per la lingua significa guardare il fenomeno solo in superficie, limitandosi a constatare gli elementi che contrastano con i manuali di grammatica», sostiene Valeria Della Valle, docente di linguistica all’Università La Sapienza di Roma e autrice di numerosi libri divulgativi sull’italiano.

    «La scrittura sulle reti sociali – aggiunge Ruggero Eugeni, docente di semiotica dei media all’Università Cattolica di Milano – è percepita come regolarizzata e specifica. Sarebbe un abbaglio ridurla unicamente a una simulazione del parlato». Persino l’Accademia della Crusca non boccia chi si cimenta con l’italiano post moderno e globalizzato. «Gode di buona salute una lingua che è in grado di adattarsi ai nuovi strumenti della comunicazione», spiega Vera Gheno, ricercatrice dell’Università di Firenze e del prestigioso istituto “per la salvaguardia della lingua italiana” di cui gestisce il canale Twitter.

    Questione chiusa, quindi. Non proprio. «Il registro linguistico usato sui social network – prosegue Gheno – non può essere l’unico con cui comunichiamo. Scrivere un curriculum di lavoro o affrontare una prova all’università come se fossimo dentro Facebook è indice che qualcosa non va. Altrettanto preoccupante è nascondere la propria ignoranza ripetendo il ritornello: “Tanto siamo sui social”». C’è anche altro. «Le conversazioni online – sottolinea Eugeni – rischiano di farci perdere la complessità della scrittura, ossia la capacità di stilare un testo imbastendone il progetto».

    E Della Valle chiarisce: «La colpa non è del mezzo che di fatto è specchio di un disagio linguistico diffuso. Tuttavia non va dimenticato il portato positivo che le reti sociali stanno generando. Un numero sempre più elevato di persone che magari, dopo la scuola dell’obbligo, vergavano soltanto la lista della spesa o inserivano gli indirizzi nella rubrica telefonica torna a scrivere. Grazie ai nuovi media siamo di fronte a una riappropriazione della scrittura».
    Va bene che la tastiera attrae. Ma può essere accettato un italiano improvvisato e fuori delle regole? «In parte sì – prosegue la docente della Sapienza –. Gli errori possono essere dovuti alla velocità che è una delle caratteristiche della lingua sul web, insieme con la brevità».

    Ci sono storture che possono passare. «Il colloquiale a me mi piace – dice la ricercatrice della Crusca – è tollerabile sui social network. Valutiamolo alla stregua di un vezzo comunicativo, giustificato dal mezzo». Un altro esempio. «Immaginiamo di dialogare fra amici su WhatsApp. Scrivo: “Stasera andrò alla festa”. E l’altro ribatte: Se lo sapevo, venivo. La sua risposta non è corretta dal punto di vista sintattico. Però sarebbe singolare vedersi rispondere: Se lo avessi saputo, sarei venuto. Si peccherebbe di precisione in un contesto informale.

    Pertanto può essere ammesso l’uso dell’imperfetto al posto del congiuntivo e del condizionale». Un’indulgenza a maglie larghe? «Alla Crusca non siamo eccessivamente normativi – sorride Gheno –. Pensiamo a egli che spesso viene sostituito da lui in funzione di soggetto. Ci può stare. Oppure osserviamo il fenomeno del che polivalente. Capita di leggere non c’è niente che ho bisogno invece di non c’è niente di cui ho bisogno. Autorizziamolo in Rete».

    Sul web dilagano le maiuscole e le vocali finali ripetute. «È una delle peculiarità di questa neo lingua che con tali stratagemmi tenta di riprodurre il parlato ad alta voce – afferma Eugeni –. Altro tratto da segnalare è l’impiego della punteggiatura. Abbondano i punti esclamativi o interrogativi che sono inseriti più volte consecutivamente. L’intento è esprimere un’emozione». Non solo. «Vanno per la maggiore i puntini di sospensione – nota Della Valle –. Le grammatiche dicono che devono essere tre. Sui social si arriva anche a dieci. Alla base c’è l’idea di trasmettere l’enfasi orale. Questa spontaneità linguistica non va censurata a priori, ma non può valere sempre». E le abbreviazioni davvero molto diffuse? «Servono a ridurre i tempi di scrittura e non c’è nulla di male in sé», dichiara Gheno. Così treno diventa 3no e perché si trasforma in xké.

    «L’uso delle sigle è antichissimo – ricorda Della Valle –. Se a Roma guardo la facciata del Pantheon, trovo abbreviazioni tutt’altro che facilmente comprensibili. I romani le usavano per ragioni simili a noi: risparmiare tempo e spazio. Sono convinta che, se un ragazzo digita cmq, non disimparerà a scrivere comunque».

    Eppure c’è chi ha definito il popolo dei social la “generazione venti parole” per il vocabolario ridotto all’osso nei post o nei messaggini. «Non siamo a questi livelli», replica la ricercatrice della Crusca. «Però – spiega Della Valle – occorre mettere al bando la prassi di limitarsi a ripetere ovunque le stesse formule lessicali. Ormai tutto è alla grande, tormentone di cui è opportuno liberarsi». Il docente della Cattolica osserva l’altra metà del web-vocabolario. «In Rete vengono costruite anche nuove parole, come belloso nato dalla fusione di bellissimo e favoloso».

    E Gheno aggiunge: «Le reti sociali telematiche stanno cambiando persino il significato di alcuni vocaboli. È il caso di profilo che finora rimandava unicamente a una biografia o ai contorni di un oggetto e oggi indica anche l’account su un social». A proposito, le bacheche in Rete traboccano di inglese, seppur parlino italiano. «L’inglese è la lingua franca di Internet e non dobbiamo lasciarci intimorire dagli anglicismi – dice la ricercatrice di Firenze –. Certo, alcuni sono necessari come tag che, ad esempio, abbiamo italianizzato col verbo taggare.

    Altri possono essere sostituti: postare può essere rimpiazzato da pubblicare o selfie da autoscatto».
    In mezzo a questa sorta di italiano fai-da-te un’indagine del sito skuola.net rivela che quasi due terzi dei ragazzi non tollerano l’uso scorretto della lingua nei post e bacchettano chi sbaglia. «Di sicuro – fa sapere la collaboratrice della Crusca – ci sono errori non ammissibili: qual’è con l’apostrofo oppure mettere apposto invece del corretto mettere a posto».

    Ma alla fine Della Valle ammette: «Ogni volta che propongo una prova in facoltà, dico agli studenti: guai a scrivere x al posto di per. Non possiamo avvalerci della lingua dei social anche quando si svolge un compito o si invia una lettera al Papa».

    20 Febbraio, 2015 - 22:28
  9. Sara1

    Secondo me è più facile che la lingua evolva in direzione del xké rispetto al car* di qualche burocrate.
    O forse a me non danno fastidio le evoluzioni che partono dall’uso mentre me ne danno tantissimo quelle pensate a tavolino e imposte dall’alto.

    20 Febbraio, 2015 - 22:31
  10. Marilisa

    La “summa” della neolingua che viene usata nei social è semplicemente da schifo.Punto.
    Una summa di errori paurosi, quali quelli che ho visto in quell’ articolo riportato da Sara, non può essere giustificata in nessun modo, soprattutto se a farlo sono delle persone colte.
    Anche il colloquiale che normalmente viene usato nei social e nei blog deve essere decente, non infarcito di castronerie linguistiche e grammaticali. Queste sono dovute unicamente a mancanza di preparazione scolastica, e ciò non mi meraviglia affatto, considerato che la scuola del nostro tempo lascia alquanto a desiderare.
    Chi sa parlare e scrivere almeno un po’, lo dimostra anche nei messaggi, più o meno brevi, su whatsapp.
    Disinvoltura e scioltezza nel parlato colloquiale e messaggistico non devono essere sinonimi di stravolgimento della lingua.
    L’ asineria può essere giustificata solo dagli asini.

    21 Febbraio, 2015 - 1:46
  11. Sara1

    «L’uso delle sigle è antichissimo – ricorda Della Valle –. Se a Roma guardo la facciata del Pantheon, trovo abbreviazioni tutt’altro che facilmente comprensibili. I romani le usavano per ragioni simili a noi: risparmiare tempo e spazio. Sono convinta che, se un ragazzo digita cmq, non disimparerà a scrivere comunque».

    E’ vero nei documenti medioevali si scrive proprio con abbreviazioni frequentisime (la pergamena era costosa e meno se ne usava..)

    Infatti esiste un dizionario apposito:

    http://www.ibs.it/code/9788820345464/cappelli-adriano/dizionario-abbreviature-latine.html

    21 Febbraio, 2015 - 7:26
  12. Marilisa

    Il dizionario di Adriano Cappelli non fa altro che riportare le sigle dell’epigrafia latina.
    Le epigrafi erano in uso presso gli antichi Romani,e non solo, soprattutto per le iscrizioni sulle lapidi funerararie, dove venivano riportati i principali dettagli della vita dei defunti. Ed erano, e sono, di grande interesse storico. Tanto è vero che tuttora vengono studiate.
    La sigla latina più nota è forse “SPQR” cioè “Senatus Populusque Romanus” ( il senato e il popolo romano… ). Sigle che sono assai vicine a quelle usate anche nel nostro linguaggio italiano, che fa ricorso agli acronimi per abbreviare titolature di Enti e di tante altre cose( comprese le denominazioni dei partiti).
    Niente a che vedere, dunque, con il linguaggio improvvisato dei messaggi dei ragazzi, scopiazzati in lungo e in largo per comodità, e che vanno diffondendosi, ahimè, a macchia d’olio.
    Da un lato possono anche essere, in un certo senso, divertenti, perché no?
    Ma possono anche essere orripilanti. Io odio, per esempio, il segno X al posto di “per”.
    In ogni caso, ci sono, in questo parlato, degli errori inammissibili che possono portare i ragazzi a farli con disinvoltura quando parlano normalmente.
    Tipo: “se lo sapevo, venivo”…se sapevo che venivi, te lo dicevo…se me lo dicevi, di certo venivo … e via grufolando, ovvero: italiano porcellino.

    21 Febbraio, 2015 - 11:59
  13. Fides

    Che uno si esprima per come sa fare. Ho amici semi-analfabeti che mi twittano spropositi grammaticali, ma messaggi pieni di sentimento e amicizia, cosa che vale infinitamente più della forma.

    21 Febbraio, 2015 - 17:02
  14. Sara1

    Le abbreviazioni venivano utilizzate anche nei manoscritti e nei documenti non solo nelle epigrafi. Abbreviazioni feroci poi, se non le conosci non c’è verso ci arrivi da solo.

    In effetti non avevo pensato di collegare i messaggi sui social con questo sistema però il fine è simile.

    21 Febbraio, 2015 - 17:55
  15. Marilisa

    “Che uno si esprima per come sa fare”. (Fides)

    Certo, Fides. Ma non è questo il punto.
    Qui, infatti, siamo partiti dalla giustificazione che certi accademici fanno di un certo modo standardizzato di esprimersi nei messaggi sul web.
    Quindi si sta facendo un altro discorso.
    Un conto è scrivere per come si sa fare, anche scorrettamente, perché non si è in grado di fare meglio; un altro conto è scrivere alla carlona per seguire una “moda” messaggistica che ha preso piede con grande disinvoltura, che si sta codificando e che viene seguita anche da chi può esprimersi decentemente. Tutto qui.
    Scrivere frettolosamente 3no per “treno” o x al posto di ” per” lo trovo ridicolo. Sì, un sorriso si può fare. A parte il fatto che queste stravaganze sono dei “geroglifici” veri e propri più che delle abbreviazioni.
    Le abbreviazioni vere, nella lingua italiana, sono altre e sono alla portata di tutti. Tanto per intenderci, una abbreviazione è “per es. ” Se scrivessi: x es., sarebbe una specie di geroglifico più una abbreviazione.
    È una mia opinione che non ha la pretesa di convincere nessuno, naturalmente.
    Poi, se qualcuno vuol prendersi la briga di studiare queste scemenze, lo faccia pure e ci pubblichi anche un volume o magari due. Ma solo per farci ridere un po’.

    21 Febbraio, 2015 - 19:18

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