Tutto scusa tutto crede tutto spera tutto sopporta

Giornata fredda – a Roma – ma stupenda per una delle letture della messa: Prima lettera di Paolo ai Corinti 13, dove ha casa la carità che “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Otto parole che, se accolte, potrebbero fare felice una qualsiasi comunità. Persino quella di un blog.

26 Comments

  1. Sara1

    🙂
    Per uno strano caso proprio questa mattina svegliandomi ho ripensato: “Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino” e poi in chiesa me la sono ritrovata.
    Ci sono passi di questa lettura che mi colpiscono sempre come nuovi, ” Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.”
    e “Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.” e li immagino sempre in equilibrio, perchè in un certo senso il sapere è ciò che sempre mi ha interessato.
    Mi piace questo ultimo verso: il Paradiso come una enorme biblioteca o un luogo dove mi diranno finalmente chi ha avuto ragione nelle grandi dispute su cui si è dibattuta l’umanità.
    E la risposta in fondo è solo carità.

    3 Febbraio, 2013 - 22:18
  2. germano turin

    Già, ragionamento semplice: in Paradiso vedrò direttamente Dio. Quindi non avrò più bisogno nè della Fede nè della Speranza. Mi basterà la Carità… ma non ne sono ancora tanto sicuro.

    Perchè vedete: pur essendo in Paradiso, pur vedendo direttamente Dio, pur essendo “in comunione” con Lui, io resterò pur sempre una “Sua” creatura.

    Sarò “inserito” nell’infinito, avrò acquisito “la vita eterna”, però non sarò “l’infinito”, ma resterò pur sempre una “sua” creatura, beata e santa fin che volete, ma pur sempre una creatura che continuerà ad aver bisogno di una buona dose di fede e di speranza per “riuscire a capire e ad inserirmi nell’infinito”. D’accordo sul fatto che avrò a disposizione tutta l’eternità per capire Dio, però avrò il mio bel da fare, in quanto “creatura” a capire “tutto” il Creatore che, a differenza di me, è infinito.,.

    O no?

    3 Febbraio, 2013 - 22:49
  3. Sara1

    A questo proposito ricordo un intervento di Biffi sull’osservatore romano dal provocatorio titolo, “non saremo come acciughe in un barile”, proprio per sottolineare questo aspetto insieme individuale e comunitario della salvezza.
    Per parte mia,se mai ne avrò occasione e in uno slancio di ottimistica speranza, avrei una lista di cose da chiedere abbastanza consistente.
    🙂

    3 Febbraio, 2013 - 23:03
  4. lycopodium

    Esatto Germano!
    Dio alla fine sarà tutto in tutti, ma non tutto sarà Dio (“Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto.”: dunque c’è e sempr ci sarà un cogitor che precede ed eccede il cogito ).
    L’inno della carità è citato spessissimo, tranne che in un punto, quando dice che “imperfettamente profetizziamo”, così rispedendo a casa i troppi profeti in servizio permanente effettivo.

    4 Febbraio, 2013 - 1:13
  5. Mabuhay

    …con che non risulti in una comunita’ -o blog- del mutuo incensamento…
    Un po’ di testosterone fa bene anche alla carita’! 😉
    Buona giornata a tutti.

    4 Febbraio, 2013 - 6:11
  6. marta09

    “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
    E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
    E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe”

    ….
    “Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà”

    Probabilmente pochi conoscono il significato di Carità. Io continuo a chiedermelo.

    4 Febbraio, 2013 - 12:49
  7. Marilisa

    “L’inno della carità è citato spessissimo, tranne che in un punto, quando dice che “imperfettamente profetizziamo”, così rispedendo a casa i troppi profeti in servizio permanente effettivo.”

    E chi siamo noi per giudicare che altri “imperfettamente profetizzino”?
    E che vadano “rispediti a casa”?
    Soprattutto quando quei profeti non piacciono a noi, così come quelli antichi e Gesù stesso non piacevano a molti loro contemporanei?
    Anche questa è mancanza di carità, a me pare.
    Smettiamola di giudicare!

    4 Febbraio, 2013 - 16:53
  8. elsa.F

    Ci è … ci è … 🙁

    4 Febbraio, 2013 - 17:55
  9. lycopodium

    Paradossalmente, sono d’accordo con gli ultimi quattro interventi.

    4 Febbraio, 2013 - 19:05
  10. Mabuhay

    “Paradossalmente,…” :
    sara’ l’effetto della carita’! …O ti sei gia’ iscritto al partito degli equanimi (impossibili) anche tu?
    Ciao e buona giornata!

    5 Febbraio, 2013 - 4:17
  11. lycopodium

    Mabu carissimo,
    se leggi bene, la mia equanità avrebbe potuto avere un effetto dirompente…

    5 Febbraio, 2013 - 7:24
  12. FABRICIANUS

    Pensavo e riflettevo su questa bellissima pagina delle lettere di Paolo Apostolo, (mi sono fermato a meditarle Domenica dopo la Messa) e Luigi mi/ci da l’occasione di ritornarci sopra: mi verrebbe da dire che, forse queste parole della Sacra Scrittura sono state in passato troppo “edulcorate e zuccherate” da un certo tipo di catechesi.
    Sì, vivendole ne guadagneremmo tutti, e ne guadegneremmo tutti anche in questo blog come ci scrive il nostro amministratore.

    Ma, non vorrei che fossero interpretate nella nostra comunità di fede e religiosa come un subìre l’altro…
    “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” certo, fino al martirio aggiungerei io, ma nello stesso tempo il martirio non va cercato.

    Sono forse parole un pò confuse, ma che sottopongo a voi.

    Un forte abbraccio,
    F.

    5 Febbraio, 2013 - 10:16
  13. Marilisa

    Bravo lycopodium, la prudenza non è mai troppa.
    Peccato che nel novero abbia fatto rientrare le stupidaggini di una certa signora.

    5 Febbraio, 2013 - 10:58
  14. marta09

    Concordo con Fabri, non è subìre l’altro, ma continuare sulla propria strada nonostante l’altro senza rancori, vendette, insofferenze o altri sentimenti non proprio caritatevoli.

    Il dantesco “non ragioniam di lor, ma guarda e passa” riferito agli ignavi.

    5 Febbraio, 2013 - 11:08
  15. discepolo

    Humanitas , Felicitas, Libertas. Queste belle parole erano scritte sulle monete romane durante il regno dell’imperatore Adriano, uno dei migliori che la storia romana abbia avuto. Se ci si pensa bene questi sono gli stessi valori che ha ripreso l’illuminismo e la rivoluzione americana.
    Che cosa manca a così bel programma che potrebbe anche essere il nostro?
    la parola “caritas”. Per quanto raffinata ed avanzata la civiltà pagana non era arrivata a pensare questo valore , così tipico del Cristianesimo .
    se si fosse parlato all’imperatore Adriano di “caritas” , quale valore da mettere insieme a humanitas, felicitas, libertas, credo non avrebbe compreso.
    perchè la “carità” non è insita nell’essere umano ed esige uno sforzo di volontà. essere veramente nella “carità” hanno insegnato tutti i mistici e i Santi, non è un sentimento, ma uno sforzo, un ascesi, una disciplina. Nulla di meno insito nella natura umana che la carità. E ciò fa sì che anche molti cristiani che pensano che “carità” sia un bel sentimento una specie di sdolcinata “caritatevolezza” tipo fare l’elemosina, nella realtà non siano caritatevoli affatto. Come per tutte le virtù teologali anche per la carità ci vuole uno sforzo, un ascesi, un esercizio. Non è “va’ dove ti porta il cuore “.
    Non è filantropia. Non è neppure la semplice compassione. Di tutte queste cose , filantropia, compassione sentimento, si può essere pieni anche senza essere cristiani. e anche al tempo dell’Imperatore Adriano c’era la gente compassionevole e buona. Ma la “caritas” di cui parla S. Paolo è ben altro

    5 Febbraio, 2013 - 13:11
  16. Marilisa

    Sì, la “caritas” di cui parla san Paolo è ben altro. Ma l’apostolo parlava ai cristiani, cioè a coloro che conoscevano Cristo e il suo messaggio. E spiegava loro tale messaggio.
    L’imperatore pagano Adriano parlando di “humanitas” includeva, senza saperlo, la caritas di San Paolo.
    Perché nell’umanità in senso pieno esistono “filantropia, compassione, sentimento” e tutte quelle virtù elencate nella famosa lettera ai Corinzi, che si riassumono nella parola “rispetto” (in senso ampio) verso il prossimo.
    Ed esistono i non-cristiani che questa humanitas ce l’hanno in pieno o quasi. Quindi non facciamocene un vanto.
    Che poi ci voglia forza di volontà per coltivarla è indubbio, ma a mio parere un ruolo importante lo svolge anche il carattere di cui uno è stato dotato alla nascita.

    5 Febbraio, 2013 - 13:59
  17. Marilisa, non si tratta di vanto.
    La parola carità (dal latino caritas) è il modo con cui san Girolamo ha cercato di rendere la parola greca del testo originale, che è AGAPE.
    Si tratta di amore, ma non dell’amore sdolcinato, bensì di quell’amore con cui Cristo ci ha amato, di quell’amore che è Dio (1Gv 4,8), ossia dell’amore capace di donarsi totalmente all’altro, fino al sacrificio di sé, senza contraccambio.
    Questo genere di amore è dono di Dio. Perchè è la natura stessa di Dio.

    Molto più, quindi, che rispetto, caritatevolezza, molto più della sola humanitas, ferita dal peccato e, da sola, disorientata ed incapace di raggiungere la salvezza.
    Se lo potessimo fare da soli, perchè mai Cristo si sarebbe dovuto incarnare?

    Dio si è fatto uomo perchè l’uomo diventasse Dio, diceva sant’Ireneo, e a questo si riferiva: accogliere Cristo e lasciarci riempire dal suo amore ci rende capaci di amare come lui ha amato, quindi ci rende un pochino più simili a Dio.
    Di questo, l’imperatore Adriano non aveva proprio idea…

    5 Febbraio, 2013 - 14:12
  18. Nelle scritture, anche nella traduzione più recente, non si è voluto sostituire il termine ‘carità’ con ‘amore’ proprio per la valenza romantica e sdolcinata che ha ricevuto nella nostra cultura, che lo sgancia dalla croce.
    Invece la misura dell’amore è la croce.

    E non sto parlando di dolorismo e di penitenze: chi di noi ama lo sa, che amare un altro significa, inevitabilmente, anche esporsi alla sofferenza.
    Alla sofferenza che viene quando l’altro sta male (pensiamo al dolore per un figlio malato, alla semplice preoccupazione per una febbre alta…), o alla sofferenza e alla fatica (quotidiana) di perdonare…

    Ma la cosa meravigliosa, straordinaria della nostra fede, è il messaggio che porta con sé: in Cristo ogni amore, pur segnato dal dolore, è aperto alla risurrezione.
    In Cristo, nell’amore di Cristo, la croce non è mai l’ultima parola.

    Questa è la carità che non avrà mai fine.

    5 Febbraio, 2013 - 14:24
  19. Marilisa

    Forse non riusciamo a capirci, Nico.
    So bene che la parola carità,da “agape”, non ha alcuna valenza dolciastra né quella limitativa di elemosina o solidarietà.
    E so anche bene che l’Amore della croce è ben altra cosa, è al di sopra di tutto perché è sacrificio supremo.
    Ma qua ci si riferisce alla “carità” della prima lettera ai Corinzi, con tutta quella serie di virtù che vengono enumerate da san Paolo, e che dovrebbero essere alla portata di tutti se riuscissimo a raggiungere tali altezze.
    Quando io riprendo, rifacendomi a discepolo, l’humanitas di Adriano, faccio un accostamento alla carità di cui parla san Paolo, che può sembrare blasfemo, ma non lo è poi tanto se si pensa che Adriano era al di fuori del mondo cristiano.
    Noi oggi col senno di poi facciamo la debita distinzione, ma se pensassimo che in passato, prima di Cristo, possono essere esistite persone dalla grande humanitas nel senso di miti, pazienti, tolleranti etc…,forse potremmo spingerci fino a dire che il Verbo divino era presente in loro.
    Mi sono spiegata?

    5 Febbraio, 2013 - 16:47
  20. Sì, ma davvero non ci capiamo.
    Anche io parlo della carità di cui parla san Paolo, è proprio a quella e all’esegesi di quel brano che mi riferisco e che ha quella serie di virtù che sono davvero alla portata di tutti, ma che NON si raggiungono con le proprie forze, ma affidandosi allo Spirito di Dio.
    Che poi lo Spirito non sia riservato ai cristiani è vero (soffia dove vuole, si dice…), ma è vero anche che i cristiani hanno una responsabilità maggiore perchè sanno dove attingere per lasciarsene animare.

    5 Febbraio, 2013 - 17:23
  21. Luigi Accattoli

    Ringrazio per lo schietto confronto.

    Attualizzo per chi è padre o madre: esercitare la carità vuol dire tendere ad avere con ogni persona che incontriamo la stessa “benevolenza” che abbiamo verso i nostri figli. Per i quali appunto tutto scusiamo, tutto crediamo, tutto speriamo, tutto sopportiamo.

    5 Febbraio, 2013 - 22:17
  22. lycopodium

    “” Nelle scritture, anche nella traduzione più recente, non si è voluto sostituire il termine ‘carità’ con ‘amore’ “”. Però hanno tagliato via il termine “”prediletto””…

    5 Febbraio, 2013 - 22:48
  23. Sara1

    A me il termine carità ricorda più quello di campassione nel senso proprio Com-patire, e anche il termine Viscere con cui nella Bibbia si indica l’amore di Dio. Qualche cosa appunto di viscerale che è molto diverso dalla semplice sopportazione (che sembra sempre indicare un senso di fastidio).
    E’ una meta molto alta a cui non mi sento certo vicina, però a questo penso con carità.

    5 Febbraio, 2013 - 22:55
  24. Marilisa

    “Qualche cosa appunto di viscerale che è molto diverso dalla semplice sopportazione (che sembra sempre indicare un senso di fastidio).”

    Hai ragione, Sara1: la sopportazione suona come qualcosa di fastidioso.
    Però, se ricordi, una delle sette opere di misericordia è proprio questa: sopportare pazientemente le persone moleste.
    Non è facile, ma è carità anche questa.

    5 Febbraio, 2013 - 23:56
  25. Sara1

    E’ vero Marilisa ed è cosa che mi sforzo sempre di fare, ma mi sembra sempre qualche cosa di diverso dalla vera carità, o per lo meno una carità imperfetta.

    6 Febbraio, 2013 - 7:18

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