Circolo tunisino a Scicli

“Circolo ricreativo tunisino di Scicli. Filippo 349.0941207″: uno si meraviglia di tanta compitezza ed entra e chiede: è lei Filippo? “Sì, sono io”. Ed è tunisino? “Sono tunisino, non si vede? Vedere si vede, ma Filippo non è un nome arabo. “Infatti non mi chiamo Filippo, ma qui nessuno capiva il mio nome e tutti mi chiamavano Filippo e allora ho messo questo nome sulla porta”. Da quando ha aperto il Circolo? “Da poco più di un anno”. Quanti soci ha? “Un centinaio, tutti tunisini, ma qualche volta vengono anche dei marocchini”. Filippo non ha difficoltà a parlare con un giornalista che viene da Roma. Sono del Corriere della Sera, faccio io e lui: “Complimenti!” Insomma è perfettamente italianizzato: “Sono qui da quindici anni”. Da due anni e mezzo a Scicli c’è una “sala della preghiera”, che Filippo chiama senza problemi “moschea” e spiega che sulla costa le “moschee” sono state aperte prima, a Donnalucata (resa famosa, come Punta Secca e Donnafugata, dalle riprese della serie televisiva del Commissario Montalbano) c’era dal 1992. Qui siamo all’interno – Scicli è a otto chilometri da Donnalucata – e la penetrazione degli immigrati è più lenta, ma già visibile nella vita quotidiana. I tunisini sono dappertutto e non più solo come ambulanti: li vedi uscire ed entrare nei portoni con la disinvoltura dei residenti stagionati. Ho detto “portoni” a bella posta: Scicli è solo una cittadina sui trentamila abitanti, ma ha una vocazione monumentale che ti incanta: se ti trovi a passare – poniamo – lungo la fiancata sinistra della chiesa del Carmine, che è solo la quinta o sesta, per importanza, delle chiese storiche del posto, resti a bocca aperta a vedere la muraglia che ti si erge di fronte, la fiumara che la labisce provvista di un letto in pietra a blocchi squadrati degno del fossato di un castello svevo, i ponti sulla fiumara che non sfigurerebbero a cavallo dell’Arno o del Tevere. Visitando la città trovi ragionevole che a Scicli anche un Mustafà divenuto Filippo realizzi una targa istoriata e la voglia arricchita dal disegno di un Aladino sul tappeto volante e di una sgargiante scritta in arabo.

7 Comments

  1. dopo Filippo ecco PAOLO:
    Paolo Ayed nasce il 6/7/75 a Palermo da Mahmoud Ayed e Angrisano Vincenza. Fino a tre anni abita a Palermo; a 4 si trasferisce a Mazara del Vallo, dopo un intermezzo a Napoli dai nonni materni. studia fino al diploma a Mazara, consegue la maturità classica nel 1996; dopo due anni di scienze politiche cominica a cercare lavoro; fa dei lavoretti saltuari, a giornata. intanto fa le prime esperienze di volontariato che lo preparano alla conversione, è vicino ad un gruppo di disabili. tra i disabili Paolo matura e inizia il cammino di fede verso il cristianesimo, chiede di essere battezzato nel 2001, a quasi 26 anni. poco più di un anno dopo viene cresimato. un pomeriggio viene chiamato per caso a fare da guida turistica alla Kasbha e in Cattedrale. scopre allora una passione per l’arte e per la inter-cultura della città di Mazara e ricomincia a studiare Scienze storiche. Ma la sua origine tunisina gli permette un “accesso completo” alla Kasbha, valorizza i suoi rapporti di conoscenza permettendo con una semplicità disarmante lo scambio e l’incontro fra i turisti, alcune volte anche mazaresi!, e i tunisini – magrebini, che ormai attendono quelle visite con una delicata ospitalità. Passeggiare con Paolo alla kasbha significa essere salutati da tutti, significare “accarezzare” i bimbi tunisini, che ancora giocano lungo la strada, può significare bere un thè nei circoli tunisini e chiacchierare in italo-arabo con gli uomini tunisini,assistere alla lavorazione dei tappeti tunisini dell’unica cooperativa femminile tunisina, Paolo è un passpartout inter-culturale.

    25 Agosto, 2006 - 15:17
  2. Altra novità, stavolta il suo nome è Vincenzo Bellomo, che nota bene è stato al circolo tunisino di Scicli, da Filippo.
    Vincenzo è nato a Mazara l’11 aprile del 79. dopo “pietosi” studi che lo hanno portato alla maturità all’industriale, si è messo subito a lavorare per autofinanziarsi gli studi universitari a Palermo, in Scienze politiche – indirizzo internazionale. Nel novembre 2001 lascia l’università per partecipare al progetto “caschi bianchi” in Kossovo, in un progetto di integrazione e scambio culturale fra giovani serbi e albanesi, in preparazione a questa partenza fa un intenso itinerario formativo sulla “non violenza attiva” e “i temi per la costruzione e il mantenimento della pace”, itinerario nazionale organizzato dalla Caritas Italiana. L’esperienza in Kossovo dura fino al 2003 e segna indelebilmente Vincenzo: lì sceglie di vivere per la “convivenza dei giovani” di diverse etnie, religioni, culture. In kossovo il suo compito era di animazione interculturale, sostegno delle famiglie, ma soprattutto ha curato il passaggio dalle scorte armate alla presenza civile internazionale, l’obiettivo era quello di “riuscire a rimettere insieme, senza la presenza dei militari, attraverso l’animazione interculturale parte della comunità serba e albanese, a partire dallo spazio scolastico”. Nel Gennaio 2003 richiede di tornare a Mazara, in diocesi, per lavorare per l’integrazione delle 2° generazioni degli immigrati tunisini, figli di pescatori tunisini di mazara. Nasce così il centro di aggregazione giovanile “Voci del Meditteraneo”, uno spazio che diventa subito riferimento per i giovani non solo immigrati, sono 150 iscritti, della città e che ha come obiettivo non solo quello di garantire uno spazio ricreativo alternativo ai vicoli abbandonati del centro storico – Kasbha, ma anche l’obiettivo di un riconoscimento culturale importante per una parte della comunità ridotta a solo forza – lavoro. Il Centro diventa perno importante per il dialogo Scuola – Famiglia e punto di riferimento per il rapporto Immigrati – Città. Sono già due infatti le feste organizzate alla Kasbha, per valorizzare il centro storico ma anche per mostrare il valore culturale delle famiglie immigrate che lo abitano, i successi più forti vengono dagli scambi nella “cucina” e nella “musica”. Sorprendeva il “vedere” l’impegno poi delle famiglie immigrate, in modo dei ragazzi, di mettere tutto in ordine dopo la festa nel centro storico, una grande testimonianza di bene comune e di ospitalità. Nel 2003 comincia il progetto della Caritas Italiana – Itaca sud =itinerari di sperimentazione dell’integrazione di famiglie immigrate, giungendo Vincezo a diventare riferimento del progetto sia per la Sicilia che per la Calabria, come responsabile. Il progetto realizza il coinvolgimento della famiglia immigrata all’interno del processo decisionale dei temi riguardanti l’immigrazione a livello locale: cittadinanza attiva delle famiglie immigrate. Nel 2005 inizia a Mazara anche un corso di formazione al pluralismo inter-culturale e inter-religioso. E ora Vincenzo si prepara a ripartire, con un accordo fra CEI (ufficio missionario) – Mazara (diocesi) Tunisi (diocesi) Gerusalemme (sacerdorte di Verona), andrà in Terra Santa e in Tunisia per lo studio della lingua e della cultura araba, così poi da dare in diocesi una grande mano al dialogo e all’integrazione.
    … alla ricerca sempre di fatti di vangelo …

    25 Agosto, 2006 - 17:30
  3. Luigi Accattoli

    A Francesco chiedo di spiegare il collegamento che stabilisce tra le parole di Capossela e le mie: è una domanda per sapere (non conosco nulla di Capossela), non è un’obiezione. Forse ci sono visitatori del blog che, come me, non si orientano alla lettura di quelle metafore sul “Cristo di legno” e il “Cristo com’era”. Grazie. Luigi

    25 Agosto, 2006 - 21:25
  4. Luigi Accattoli

    Un vivo grazie a don Vito per i due ritratti di giovani votati all’avvicinamento tra arabi e italiani, musulmani e cristiani. A quanto intuisco dalle tue parole e dalla bellissima visita guidata al quatiere tunisino – guidata da Paolo e alla quale partecipasti anche tu – di cui potei godere in occasione della mia venuta, Mazara sarà domani un faro nel processo di integrazione. Luigi

    25 Agosto, 2006 - 21:35
  5. Luigi Accattoli

    Grazie Francesco per avermi segnalato quella bella canzone, che metto qui a disposizione dei visitatori che non la conoscono:

    L’UOMO VIVO (INNO AL GIOIA)
    di Vinicio Capossela

    Ha lasciato il Calvario, il sudario
    ha lasciato la Croce e la pena
    si è levato il sonno di dosso e adesso per sempre
    per sempre è con noi

    Se il Padreterno l’aveva abbandonato
    ora i paesani se l’hanno accompagnato
    che grande festa poterselo abbracciare
    che grande festa portarselo a mangiare

    Ha raggi sulla schiena e irradia Gioia
    le dita tese indicano Gioia
    esplodono le mani per la Gioia
    si butta in braccio a tutti per la Gioia

    E’ pazzo di Gioia,
    è l’Uomo Vivo,
    si butta di lato, non sa dove andare
    che è pazzo di Gioia, è l’Uomo Vivo
    di spalla in spalla, di botta in botta
    le sbandate gli fanno la rotta

    Alziamolo di peso gioventù,
    facciamolo saltar
    fino a che arrivi in cima, fino al ciel, fino a che veda il mar
    fino a che veda che bellezza è la vita e mai dovrebbe finir

    Barcolla, traballa, sul dorso della folla
    si butta, si leva, al cielo si solleva,
    con le tre dita la via pare indicare
    nemmeno lui nemmeno lui sa dove andare

    Barcolla, traballa, al cielo si solleva
    Con le tre dita tre vie pare indicare

    Perché è pazzo di Gioia, è l’Uomo Vivo
    si butta di lato, non sa dove andare
    di corsa a spasso va senza il ritegno va il Cristo di legno
    non crede ai suoi occhi, non crede alle orecchie
    nemmeno il tempo di resuscitare
    subito l’hanno portato a mangiare

    Ha raggi sulla schiena e irradia Gioia
    si accalcano di sotto per la Gioia
    esplodono le mani per la Gioia
    lo coprono i garofani di Gioia

    Gioia, Gioia, Gioia viva per noi
    Gioia, Gioia, Gioia viva per noi
    Gioia, Gioia, Gioia viva per noi

    Di là, no di qua, di là, di qua, no, di là
    Gioia, Gioia, Gioia

    E’ pazzo di Gioia, è l’Uomo Vivo,
    esplode la notte in un battimano
    per il Cristo di legno che Cristo con me è ritornato Cristiano

    Barcolla, traballa, sul dorso della folla

    Fino a che arrivi in cima, fino al ciel, fino a che veda il mar
    Fino a che veda che bellezza è la vita e mai dovrebbe finir

    Gioia, Gioia, Gioia, Gioia, Gioia, Gioia.

    29 Agosto, 2006 - 9:56

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