“Meticci degeneri” dice il Duce: ma il colorito ci guadagna

Gli incroci delle due razze, bianca e nera, non sono desiderabili poiché danno origine ai meticci, che sono dei degenerati e portano sommati i difetti e non i pregi delle due razze”: così parla al nunzio Borgoncini Duca il ministro dell’Africa italiana Alessandro Lessona, a spiegazione del decreto da lui stesso firmato il 19 aprile 1937 che vieta “il concubinato tra bianchi e neri nelle colonie”. Ne riferisce ora da carte inedite LA CIVILTA’ CATTOLICA. Immagino la faccia del nunzio che giudiziosamente “dice nenti” ma annuisce pensando a come quel provvedimento avrebbe “accresciuto” la moralità dei coloni tentati dalle faccette nere. Settantadue anni di poi io di molto mi intenerisco sui meticci degeneri (ciò è a dire: “allontanati dal genus”) e obietto che – però – il colorito ci guadagna.

9 Comments

  1. Luigi Accattoli

    [Segue dal post] La mia mamma di cognome faceva Saracini: da qui la mia simpatia per i meticci. Puoi vederne traccia in un post del 14 febbraio 2007 dove vaneggio sul “Cristo meticcio” di Cefalù e in due altri di quello stesso anno (23 gennaio e 3 febbraio) che plaudono con leggerezza al “meticciato di civiltà”.

    6 Novembre, 2009 - 15:11
  2. mattlar

    Come potremmo oggi, 6 novembre, non rallegrarci – tutti – con il fiero Leonardo di questo blog per il santo di cui porta il nome?
    Auguri!!
    Se accetti, per renderti omaggio possiamo scrivere qualche bella rima sui muri di Roma, magari con uno spry non proprio nero né bianco ma meticcio, per compiacere te e – doppiamente – anche il nostro Luigi che ospita ogni giorno le nostre dotte dispute.

    6 Novembre, 2009 - 16:07
  3. Nino

    Stralcio dell’intervista in diretta televisiva di David Letterman a Barak Obama di un mese fa circa.
    Da The late show di David Letterman

    David Letterman : Parlano di atmosfera al vetriolo di animosità,rabbia, grida spintoni.

    Insomma di comportamenti sgradevoli.

    Forse non è il caso di generalizzare, ma sicuramente c’è del vero.

    In settimana, anzi un paio di giorni fa, Jimmy Carter ha commentato simili comportamenti,

    alludendo al fatto che, forse, certi comportamenti un certo disagio e tali atteggiamenti disdicevoli

    potrebbero essere dettati da un razzismo latente.

    E’ un’ipotesi fondata o è solo una provocazione?

    Barak Obama: Innanzitutto ci tengo a far presente che io ero nero anche prima delle elezioni.

    Letterman: Sul serio?

    Obama: E’ vero. Per cui.

    Letterman: Da quando è nero?

    Obama: Gli americani mi hanno concesso questo onore straordinario, e credo che ciò parli chiaro sul grado di evoluzione del Paese.

    Dico solo, che pagina!!!

    6 Novembre, 2009 - 18:32
  4. Leopoldo

    Evviva! In Italia è arrivato ufficialmente i Ku Klux Klan. Per presentarsi questi cari ragazzi usano il motto “Defendere la nostra identità e un nostro dovere”. Identità: la sento spesso questa parola, si spreca.
    A proposito, qualcuno ricorda che forma abbia il simbolo fiammeggiante che questi delinquenti razzisti portano in giro? Ho un vuoto di memoria.
    Non voglio dire niente di più di quel che ho detto: registro semplicemente.

    6 Novembre, 2009 - 19:02
  5. tonizzo

    Quella cosina sui meticci degeneri mi pare fosse chiamata all’epoca “madamato”. Aggiungo questo piccolo contributo tratto da qui: http://www.zadigweb.it/amis/schede.asp?idsch=108&id=7

    L’espressione madamato deriva dal termine “madama” con cui, sin dall’epoca liberale, in Eritrea si è soliti indicare l’indigena convivente con un italiano, e si riferisce appunto alla convivenza more uxorio con una donna nativa, una forma di relazione talmente diffusa da divenire pratica comune in colonia, e che molto raramente approda ad una legale regolarizzazione.

    Sin dai primi anni di presenza italiana in Eritrea il fenomeno da più parti viene giustificato come rispondente al locale istituto tradizionale del “dämòz” – o matrimonio “per mercede” – una forma di contratto matrimoniale a termine che vincola i coniugi ad una reciprocità di obblighi che includono, per l’uomo, quello di provvedere alla prole anche dopo la risoluzione del contratto. Obblighi di cui, in realtà, si perde traccia nelle forme di unione messe in atto dagli italiani, i quali generalmente non vedono nel madamato altro che una forma di convivenza temporanea che, assicurando l’accesso a prestazioni domestiche e sessuali, li lascia sostanzialmente liberi da vincoli e responsabilità nei riguardi tanto della donna che della prole, in nessun modo garantiti.

    In sostanza un malinteso ‘adeguamento’ al diritto consuetudinario locale, che consente all’italiano un assoluto disimpegno, esentandolo da obblighi giuridici, morali e materiali soprattutto al momento del rientro in patria, e che già Ferdinando Martini, primo governatore civile dell’Eritrea dal 1897 al 1907, giudica un “inganno” nei riguardi della donna nativa – che invece si considera moglie legittima – nel momento in cui la priva delle tutele che le consuetudini locali, al contrario, le garantiscono, così come nei riguardi della prole. Il fenomeno del madamato genera infatti un numero assai elevato di meticci, solitamente non riconosciuti dal padre, che il più delle volte finiscono ricoverati in brefotrofi gestiti dalle missioni.

    Pur non mancando esempi di assunzione di piena responsabilità da parte degli italiani nei confronti dei propri figli meticci e casi di convivenza assimilabili, per durata e qualità di rapporto, ad autentiche relazioni coniugali, nella maggioranza dei casi la consuetudine del madamato si configura, sin dagli inizi, come una forma di sopraffazione, sia razziale che di genere, che finisce con l’incidere pesantemente anche sugli equilibri socio-culturali locali.

    Inoltre la giustificazione del madamato come forma di adeguamento – per quanto malinteso – all’istituto tradizionale del dämòz, se valido nel caso dell’Eritrea (dove peraltro non è conosciuto in tutto il territorio), non rende ragione della sua diffusione anche in altre colonie e soprattutto in Somalia dove, sin dall’epoca liberale, è presente in misura forse maggiore che in Eritrea e la popolazione, nella quasi totalità islamica, non ha alcuna familiarità con forme di matrimonio temporaneo (in Libia la convivenza con le indigene è conosciuta come mabruchismo, dal termine arabo “mabrukah”, che indica la donna).
    Tollerato dai comandi militari dell’epoca liberale, che lo preferiscono al rapporto occasionale con le prostitute, non solo per ragioni sanitarie ma anche in considerazione della maggiore stabilità di vita che una convivenza è in grado di assicurare ai militari (che di fatto costituiscono la maggioranza dei residenti in colonia, e ai quali è fatto divieto di portare in colonia la propria moglie) il madamato cambia totalmente di segno e diviene pericoloso agli occhi del regime fascista, che lo giudica rovinoso per l’integrità della razza e per il prestigio dell’Italia imperiale; un allarme ben riassunto nell’ultimatum “Aut Imperium Aut Voluptas!” lanciato nel 1938 dal governatore dell’Harar, generale Guglielmo Nasi, in una sua ormai famosa circolare.

    Per arginare il fenomeno e limitarne gli effetti, a soli due mesi dalla proclamazione dell’impero, il ministro Lessona insiste, in una disposizione a Graziani (in data 5 agosto 1936), sulla necessità di “imporre a tutti gli ammogliati di portare le famiglie in colonia appena le condizioni di ambiente lo permettano”; ma ingiunge anche, allo scopo di tenere separate le due comunità, di “organizzare “case di tolleranza”, anche ambulanti, con donne di razza bianca”.

    La misura resta sostanzialmente disattesa: ancora nel 1938, ad Asmara, risulta in funzione una sola casa di tolleranza per una popolazione di 57.000 italiani, in gran parte celibi. Una delle ragioni del fallimento è che il provvedimento si rivela non solo inadeguato alle esigenze di una popolazione maschile crescente, ma soprattutto risulta potenzialmente lesivo del prestigio, che si vuole salvaguardare, di razza, in nome del quale da più parti non si ritiene opportuno offrire alla popolazione indigena l’immagine di donne italiane come prostitute (il ricorso a quelle marsigliesi sembra venga bloccato dalle autorità francesi di Gibuti per le stesse ragioni).

    L’intervento di regolamentazione della sessualità da parte del regime sfocia in leggi ad hoc tese ad estirpare la consuetudine del madamato – che diviene penalmente perseguibile nel 1937 – e che non colpiscono, invece, le relazioni occasionali, di cui lo Stato si assume la gestione controllando e regolamentando le case di tolleranza il cui numero, con l’impero, cresce in modo esponenziale. Una delle conseguenze non secondarie della politica razziale del regime e delle misure che ne derivano sarà quella di legare sempre più, nell’immaginario collettivo degli italiani, l’immagine della donna nativa a quella della prostituta.

    6 Novembre, 2009 - 19:10
  6. tonizzo

    Circolare di Rodolfo Graziani (stessa fonte):

    In poco più di un anno ho dovuto rimpatriare quattro ufficiali (uno di questi recentemente), perché riscattavano per denaro (o comunque ricercavano) donne indigene onde tenersele come concubine o come mantenute, il che è, presso a poco, lo stesso.

    Questa del ‘mabruchismo’ è un’altra delle piaghe che ha travagliato la colonia, di cui resta qualche traccia, o qualche nostalgia, che io voglio assolutamente estirpare.

    Anche a prescindere da ogni considerazione politica (per la speculazione che il mondo indigeno ama fare su queste nostre relazioni con le sue donne) il solo lato disciplinare e morale del fenomeno è sufficiente per condannarlo e deprecarlo.

    In linea disciplinare sono noti tutti i guai di queste relazioni:
    – l’accreditamento (quando, peggio, non è un fatto reale) di influenze che tali donne possono avere su taluni rapporti di servizio;
    – la divulgazione di notizie militari (vere o false), fatto questo che assurge ad una gravità eccezionale in tempo di operazioni militari;
    – l’esempio contagioso nel confronto con gli inferiori: ufficiali e truppa.

    In linea morale basta che io accenni alle complicazioni di carattere civile, economico e talora sentimentale, quando capiti di rendere madre la donna (ed anche di fatti di questo genere ho dovuto recentemente occuparmi).

    Certo anche questo della donna è uno dei sacrifici che si richiedono all’ufficiale in colonia.
    Ma è un sacrificio che anzitutto non va esagerato, perché non è assoluto; in secondo luogo è conosciuto e quindi deve essere considerato prima di prendere la ferma o la rafferma la quale, d’altra parte, non è lunga.

    Dal loro canto il comando delle truppe e l’autorità regionale, faranno in modo da andare incontro anche a queste necessità provvedendo all’istituzione – ove possibile – di case di tolleranza in tutte le località che ne sono ancora prive.
    Bengasi, 17 maggio 1932

    6 Novembre, 2009 - 19:16
  7. volevo dire… ma… c’erano i cappellani militari a quei tempi in Eritrea, Etipia e Libia??
    è una domanda seria. Grazie a chi mi saprà rispondere

    7 Novembre, 2009 - 9:55
  8. Nino

    Ciao Marco don,
    fatta da te la domanda mi insoppettisce, lhai competenze d’internauta e facilmente si trovano documenti a riguardo, voglio abboccare e ti segnalo:
    http://www.anpi.it/colonie/impero.htm.

    Non meno significativa fu la partecipazione in prima fila di preti e cappellani con stellete sia nella Spagna di Franco che nella Germania di Hitler.
    Ma poi lo Spirito Santo è intervenuto e ci ha donato san Giovannino Roncalli.

    7 Novembre, 2009 - 12:54
  9. roberto 55

    – “Sei negro !”
    – “Sono suddito britannico delle Indie Occidentali, signore”
    – “Resti sempre un negro !”
    – “Non mi lamento, quando vedo certi bianchi …….., signore”

    Dialogo tratto dal vecchio film (del 1965, mi pare, o giù di lì) “La collina del disonore”, di Sidney Lumet (e con un giovane Sean Connery).

    Buona notte a tutti !

    Roberto 55

    8 Novembre, 2009 - 2:17

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