Mese: <span>Novembre 2006</span>

Con un comunicato intitolato Menzogne infamanti tese alla distruzione di Telepace, don Todeschini, direttore dell’emittente, definisce “assolutamente false” le accuse che gli sono state rivolte dai giornalisti della redazione romana “con un uso a dir poco disinibito della stampa”. Afferma che “non è avvenuto alcun licenziamento, poichè è in corso una trattativa con la Federazione nazionale della stampa italiana”. Nega di aver “posto in essere vessazioni, umiliazioni, insulti e sopraffazioni alle dipendenti… mobbing, spionaggio interno, privacy negata e vere e proprie violenze psicologiche”, come affermato in servizi gornalistici e osserva che di ciò “non vi è alcun cenno nelle non poche vertenze – di carattere esclusivamente economico – instaurate dalle pretese vittime”. Osserva che nella Curia Romana non vi è affatto “disagio e imbarazzo” per la situazione dell’emittente, a differenza di quanto affermato in tali servizi e annota che “a Telepace risulta il contrario, nel senso che il Vaticano non ha alcuna intenzione di essere coinvolto in questo gioco infamante”. Smentisce di aver “boicottato un volto storico dell’emittente, don Giovanni D’Ercole”, precisando che “anche questa è una notizia del tutto falsa e smentita dallo stesso interessato”. Sulla “timbratura del cartellino” così scrive: “Premesso che non sussiste alcun divieto nel contratto nazionale, Telepace ha spontaneamente evitato di continuare a utilizzarlo per non alimentare inutili polemiche”. Sul “filtro delle telefonate”: “Non è stato mai imposto alcun filtro nè tantomento alcun controllo, ma si tratta semplicemente di modalità tecniche di gestione del telefono aziendale che comunque costituisce bene dell’impresa e ne è consentito l’utilizzo esclusivamente per fini lavorativi”. Infine Telepace preannuncia querela “per tutelare la propria immagine e i propri diritti” nei confronti di “articoli e notizie apparse su quotidiani e settimanali”.  – Il comunicato non cita alcuna testata, ma dai rimandi ai titoli degli articoli contestati si capisce che reagisce soprattutto al servizio di Giacomo Galeazzi apparso ieri sulla Stampa: “Il monsignore spia le croniste. Vita da caserma alla tv del papa” e a un altro firmato M.D., apparso sull’Espresso in edicola: “Va in onda TeleBugia”.

“A me ci pensa Padre Pio”: scritto a mano, con pennello a vernice rossa sul telone verde di un autofurgone. Quelle parole di una fiducia così totale, quasi bambina, lette lo scorso giugno mentre percorrevo l’autostrada Roma-L’Aquila, mi tornano in mente ora che i paolini diffondono quella curiosa classifica dei santi più “invocati”, secondo una loro indagine campione, che dà appunto Padre Pio come il più invocato, seguito da Antonio da Padova, la Madonna, Francesco d’Assisi, Rita da Cascia, Giuseppe sposo di Maria, Gesù, Gennaro patrono di Napoli, Teresa di Calcutta, Rocco, Agata, Gerardo. Mi piace il tono familiare, quasi di complicità con il santo di Pietrelcina, che traspare da quella scritta. Lo stesso tono, anche nella punta dialettale che la caratterizza, che spesso avvertiamo quando una persona semplice ci vuole informare che ha un protettore da qualche parte, poniamo per le pratiche ospedaliere: “Mi ci pensa una zia che lavora in amministrazione”. Dico “mi piace” a ragion veduta. Odio la speculazione sulla fede dei semplici, che purtroppo non è sconosciuta ai frequentatori di San Giovanni Rotondo, ma ammiro quella fede.