Mese: <span>Dicembre 2007</span>

Autocritica del cristianesimo moderno” sono le parole dell’enciclica per me più inaspettate. Essa afferma che il restringimento della speranza in epoca moderna – divenuto evidente con la caduta delle ideologie – richiede un ripensamento da parte del mondo secolare e da quello cristiano: “Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare  a comprendere se stesso”. L’autocritica cristiana deve riguardare in particolare il fatto che esso – incalzato dall’avanzare della scienza” – si è “in gran parte concentrato sull’individuo e la sua salvezza” e “con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito, anche  se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell’uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti”. In altro passo dell’enciclica il papa afferma che dalla scommessa dell’umanità moderna sulla scienza la fede “viene spostata su un altro livello, quello delle cose solamente private e ultraterrene”, diventando quasi “irrilevante per il mondo”. L’autocritica del cristianesimo – dunque – dovrebbe partire dal rifiuto di quell’irrilevanza e dalla rivendicazione del dovere di occuparsi della “storia universale” e di comunicare un messaggio non solo rilevante ma decisivo per l’intera umanità. Non avevo mai incontrato questa idea di un’autocritica del “cristianesimo moderno” – forse analoga a quella del cristianesimo antico svolta da papa Wojtyla – negli scritti del cardinale Ratzinger e nei testi di papa Benedetto. Non la capisco per intero ma ne sono attirato. Nel primo commento a questo post fornisco i quattro testi nei quali il concetto è formulato.