Mese: <span>Dicembre 2007</span>

Il passaggio dalla Rete alla realtà mi fa sempre senso e me l’ha fatto anche stamane quando ho incontrato davanti alla pasticceria Regoli, all’Esquilino, due tra i visitatori più assidui di questo blog: Matteo e il Moralista. Mi era già capitato con un’altra decina di visitatori tra i quali nominerò quelli che si sono fatti conoscere attraverso i commenti: Gianluca, Tonizzo, Luisa, Bruno Volpe, Alessandro Iapino. Gianluca venne a Roma da Battipaglia e ci conoscemmo a tavola. Tonizzo mi organizzò un incontro all’Augustinianum di Milano dov’era stato studente. Luisa la vidi in occasione di una sua venuta dalla Svizzera a Roma avendo io da passarle alcuni permessi per un concerto nell’Aula Nervi. Bruno l’ho trovato a sorpresa nella Sala Stampa della visita del papa a Vienna lo scorso settembre. Alessandro Iapino l’ho incontrato a un dibattito a Perugia e abbiamo cenato insieme alla vigilia della marcia Perugia-Assisi. Mi pare di non aver dimenticato nessuno. Tra quelli che non nomino perché mi hanno mandato e-mail ma non si sono “registrati”, ricorderò due fratelli di Sestri Levante e una signora di Gargnano (Brescia) che ho poi conosciuto in occasione di mie conferenze. Matteo e il Moralista sono l’unico caso di incontro a tre e tra persone che abitano nello stesso quartiere romano. Dirò che il Moralista mi è parso più alto e più serio di come me l’ero figurato, mentre Matteo l’ho trovato meno puntuto ma romanesco quanto i suoi commenti. Faceva freddo e tutti e tre benché romani siamo stati puntuali. Uno forse teme che fuori della Rete se non sei di parola ti smarrisci. Io avevo fretta perché a casa mi aspettavano due nipotini venuti dal nonno a fare il presepe,  Non abbiamo parlato granché ma abbiamo convenuto che incontrare persone è cosa buona comunque tu le abbia conosciute, al pozzo, in treno, per lettera o nella Rete. La verificata rispondenza tra la realtà e la Rete – o meglio: tra il mondo dei corpi e quello della parola scritta – è tra le sensazioni che incoraggiano ad andare avanti con l’una e con l’altra. Che poi la Rete ti aiuti a popolare di volti amici il quartiere che abiti, è il dono di questa giornata.

– Boom di vocazioni a Milano!

– Ma che dici? A giugno hanno avuto appena dodici ordinazioni di preti, pare sia il minimo storico…

– Ma se guardi alle vocazioni episcopali ti ricredi: a settembre hanno avuto ben sei ordinazioni!

“Luna vorrei averti mia per sognare insieme a te”: letto sul marciapiede davanti al liceo artistico Alessandro Caravillari di piazza Risorgimento a Roma. Il fatto che la ragazza si chiami Luna fa lievitare l’epigramma.

Molti intorno a noi rifiutano il cristianesimo e qualche volta avvertiamo che lo rifiutano con buona intenzione, perchè non lo trovano di vero aiuto per la vita. Più di una volta il papa nella nuova enciclica (vedi post dal 30 novembre al 5 dicembre) accenna a questo rifiuto. “Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo”: così scrive al paragrafo 10. In un altro passo segnala la sordità dei post-cristiani al Dio vicino dei Vangeli: “Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile” (paragrafo 3). Ma forse la sua idea la esprime meglio che in ogni altro modo con una citazione di Kant, al paragrafo 19: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso”. Ora mi stacco dall’enciclica e domando: il nostro cristianesimo è degno di essere amato? Ben sappiamo che “solo l’amore è credibile” (von Balthasar). Ma forse dobbiamo riconoscere che il nostro modo di segnalarlo non risulta convincente. O è necessario che l’umanità europea si allontani ancora dal fuoco evangelico e avverta il grande freddo per riscoprirlo degno di amore?

A prolungamento della vacanza in Sicilia (vedi post della seconda metà di agosto) continuo a leggere testi di Cesare Brandi che mi è caro anche per la vivacità senese della lingua. In uno intitolato “Naro che cade e Naro che rinasce” si dice che sull’isola “le stelle sono lucide come avessero le lacrime” (Sicilia mia, Sellerio 1989, p. 101).  Quelle felici parole mi ricordano che ieri dopo una pioggia, uscendo dal portone dove mi ero riparato in via Due Macelli, ho sentito una piccola mamma che diceva ai figli: “Guardate come è pulito il cielo, somiglia agli occhi che hanno pianto”. C’è poesia nella conversazione della gente (vedi post del 6 agosto 2006).

Ero in automobile ieri a mezzogiorno quando ho ascoltato papa Benedetto che diceva: “Al tramonto dei nostri giorni sulla terra, al momento della morte, saremo valutati in base alla nostra somiglianza o meno con il Bambino che sta per nascere nella povera grotta di Betlemme, poiché è Lui il criterio di misura che Dio ha dato all’umanità“. Parole trasparenti. Felice io di udirle. Chiarivano tutto. Il detto di Gesù “se non diventerete come bambini” e il motto di Giovanni della Croce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”.

“Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te e con il tuo sposo Giuseppe”.

Credo di aver trovato l’ispiratore dell’autocritica del cristianesimo moderno proposta da Benedetto con la nuova enciclica (vedi post del 5 e del 2 dicembre): è Henri de Lubac. Nell’introduzione a Cattolicismo (citato da papa Ratzinger alla nota 10 dell’enciclica) egli così scriveva nel 1937: “Ci si rimprovera d’essere individualisti anche a nostro malgrado, a causa della logica della nostra fede, quando in realtà il cattolicesimo è essenzialmente sociale. Tuttavia, non è un po’ anche colpa nostra se un tale malinteso ha potuto nascere e ha messo radici, e se quel rimprovero è così diffuso? (p. 9 dell’edizione Studium del 1964). Ed ecco un passo dell’enciclica, al paragrafo 16, sotto il titoletto “Trasformazione delle fede-speranza cristiana nel tempo moderno”, che riecheggia le parole del teologo francese: “Come ha potuto svilupparsi l’idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri solo al singolo? Come si è arrivati a interpretare la «salvezza dell’anima» come fuga davanti alla responsabilità per l’insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri? Per trovare una risposta all’interrogativo dobbiamo gettare uno sguardo sulle componenti fondamentali del tempo moderno. Esse appaiono con particolare chiarezza in Francesco Bacone…“. Dunque oggetto centrale dell’autocritica benedettina non è il Vaticano II e il connesso cattolicesimo dialogante come ha ipotizzato per esempio Antonio Socci, se si tratta – alla lettera – di una questione formulata un quarto di secolo prima dell’avvio di quel concilio.

Ci porteremo dietro a lungo la domanda su che cosa ci voglia proporre il papa con l’invito a sviluppare un’autocritica del cristianesimo moderno (vedi post del 2 dicembre): perchè nell’enciclica egli quell’autocritica non l’abbozza e non troviamo precedenti espliciti nelle pubblicazioni del cardinale Ratzinger. Cinque giorni di riflessione mi hanno portato a formulare questi cinque punti fermi: 1. dice “cristianesimo” e non Chiesa cattolica e neanche Chiese cristiane, o Santa Sede o altro soggetto storico preciso; credo dunque che si debba guardare il più ampiamente possibile all’intero mondo cristiano e all’insieme delle sue manifestazioni; 2. dice “cristianesimo moderno” e non “contemporaneo”, o “ecumenico”, o “degli ultimi due secoli”; ne deduco che anche storicamente egli opti per il campo lungo; 3. nell’accennare a personaggi e questioni parte da Francesco Bacone: forse ci vuol dire che dobbiamo guardare all’intera modernità intesa nel senso più ampio; come a dire che dovremmo tener presente l’ultimo mezzo millennio; 4. come temi dell’autocritica segnala la riduzione della speranza alla prospettiva individuale e ultraterrena, la concentrazione esclusiva dell’impegno cristiano nella formazione delle persone e sulle virtù: dovremmo dunque portare l’indagine su orientamenti a lungo perseguiti dall’intero mondo cristiano; 5. sarebbe in conclusione da escludere ogni possibilità di individuare un obiettivo ravvicinato e particolare dell’autocritica, come lo “spirito conciliare”, o la “scelta religiosa” dell’Azione cattolica, o la spiritualità del clero e dei religiosi quale si è venuta a determinare a seguito dei restringimenti disciplinari seguiti alla crisi modernista, o gli orientamenti dello stesso modernismo. Dobbiamo guardare dunque ampiamente e andare al largo per cogliere lo spirito della proposta del papa. Il mondo spingeva i cristiani a occuparsi dei destini individuali delle persone e i cristiani – quasi senza avvedersene – si sono mossi in quella direzione. Per esempio – come diceva il professore Arsenio Frugoni quando frequentavo le sue lezioni di Storia medievale alla Sapienza – se un ragazzo praticante di vent’anni avesse consultato un trattato di morale durante la seconda guerra mondiale per sapere che cosa gli diceva il “cristianesimo” per le sue scelte di vita, “avrebbe trovato un intero volume sulla morale sessuale e mezza pagina sulla guerra”. E’ solo un esempio, ma un esempio chiaro di ripiegamento dai destini collettivi a quelli individuali, di concentrazione sulla salvezza ultraterrena e di dimenticanza della dimensione sociale del dogma. La stessa opzione avevano compiuto tutte le Chiese e da gran tempo. Lo indico come un filo rosso per l’indagine.

Durante la grande guerra un soldato polacco e uno tedesco stanno per sparare l’uno verso l’altro in una radura ai margini di un bosco, quando un contadino anziano esce dal folto e grida: “Non sparate sul futuro papa!”. – I due si fermano e chiedono: “Chi è il futuro papa?” – “Tutti e due” risponde il contandino.

Durante la grande guerra un soldato tedesco sta per sparare a un polacco a terra che gli tende le mani dicendo: “Non sparare, io futuro papa”. – Il tedesco abbassa l’arma, pensa un attimo e poi fa: “Io non sparare, ma papa dopo di te”.

– “Come abbrevi nelle citazioni l’enciclica Spe Salvi?” – “SS2007: non male per un papa tedesco!”