Mese: <span>Dicembre 2013</span>

Basta che si metta in camicia da notte e ogni donna è regina a casa sua.

«Come un pastore [il Signore Dio] porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri»: è un versetto di Isaia 40 che si legge nella messa di oggi e che Francesco ha commentato al Santa Marta: «È l’immagine della tenerezza. Il grande Dio non ha paura della tenerezza. Lui si fa tenerezza, si fa bambino. Nel Vangelo Gesù stesso lo dice: così è la volontà del Padre, che neanche uno di questi piccoli si perda. Perché ognuno di noi è molto importante per il Signore, il quale ci fa camminare dandoci la speranza. Questo lavoro di consolazione è stato il grande lavoro di Gesù nei quaranta giorni che vanno dalla risurrezione all’ascensione: consolare i discepoli, avvicinarsi e dare speranza, avvicinarsi con tenerezza. Pensiamo alla tenerezza che ha avuto con gli apostoli, con la Maddalena, con quelli di Emmaus. Dobbiamo chiedere la grazia di non avere paura della consolazione del Signore, che ci farà sentire la tenerezza di Dio Padre».

Oggi compio gli anni alle due del pomeriggio con l’abituale puntualità. Settant’anni impreveduti e immeritati. Ringrazio d’averli.

Rientro in tempo da Grosseto per votare Renzi alle primarie del Pd, un voto per cambiare: meno ideologia e più concretezza, meno idee ricevute e più creatività, meno apparato e più movimento. E’ la cumbia di chi cambia.

Parto in automobile con mia moglie per Grosseto dove stasera parlo alla diocesi su invito del vescovo Rodolfo Cetoloni. L’argomento è la Gioia del Vangelo appena pubblicata da Papa Francesco. Sono felice di questo impegno. L’Aurelia che passa per Santa Marinella dove facciamo vacanza in luglio, la Tolfa sulla destra con i suoi picchi, Tarquinia sul monte, l’Argentario di qua, la Maremma con i colori decembrini. Vi porto con me. – Rodolfo, biblista e francescano di Terra Santa, è una bella figura di vescovo che dà il primo posto al Vangelo come vuole Papa Bergoglio. Dieci anni fa ebbi un incontro intervista con il cardinale Martini presso la sua residenza, quand’era vescovo di Montepulciano. Seguirono tanti appuntamenti ai quali mi chiamò. E’ la prima volta che vado a scovarlo in Maremma.

A Nelson, fratello nella notte dell’attesa. L’ho visto da vicino due volte: quando venne da Papa Wojtyla, poco dopo la liberazione dal carcere, nel giugno del 1990; e quando il Papa polacco gli fece visita a Johannesburg, il 16 settembre 1995. Mi piaceva quella sua serenità di uomo diritto davanti al mondo, dopo aver insegnato a tutti l’attesa camminante della liberazione. Gli dedico nove versi da una poesia di Elena Bono, che non lo nominano ma dicono quel cammino nella notte dell’attesa. Nel primo commento i nove versi, nel secondo un saluto a Elena e a Stefania dimidium animae suae.

C’è un barbone a Roma, sombrero di paglia e sigaretta in bocca, che sistema un cagnetto di nome Fofo su un passeggino per bambini intecciandogli attorno un boschetto di piccoli rami d’alloro. Fofo sta là dentro soddisfatto e crede che così abbia a essere. Così noi sulla terra.

“Portate via con la forza da uomini armati”: sono parole dell’appello di Francesco per le cinque monache ortodosse sequestrate in Siria. Al termine dell’udienza in piazza, ha ricordato le cinque donne e ha invitato a un’Ave Maria, che ha guidato con voce lenta e così bassa da sorprendere la folla e da spingerla a unirsi all’invocazione. Lentezza che si fa preghiera.

“Matteo, Gianni o Pippo? Matteo. L’ho già votato l’anno scorso, il bimbaccio toscano, quando c’era in ballo la premiership. La sua candidatura avrebbe messo a disposizione del centrosinistra l’arma vincente: la giovinezza (con annessa rottamazione). Invece è andata com’è andata, l’usato sicuro non ha funzionato. Adesso la competizione è per la leadership. Dopo un anno il bimbaccio è rimasto tale e quale e ha l’ energia del cinghialetto per spazzar via l’autoreferenzialità dei cacicchi”: così il creativo e caro Giovanni Colombo in una dichiarazione per Renzi che condivido. I visitatori già conoscono questo colombaccio, che l’ultima volta ho citato per un’arguta premonizione sull’arrivo di un Papa di nome Francesco.

I primi giorni dopo l’elezione di Francesco, il portavoce Lombardi alle domande sul fatto che il nuovo Papa non cantava e prestava poca attenzione a cerimonie e cerimoniali ebbe a rispondere che ciò è tipico del gesuita, il quale – secondo un aulico detto – “nec rubricat nec cantat”. Da allora cerco l’autore di questa massima che trovo indovinata. Ho chiesto al padre Lombardi che mi ha detto di non saperne “la prima fonte”. Ma di sicuro i miei visitatori la scopriranno. Sulla “mancanza del coro” nella vita dei Gesuiti c’è una spassosa pagina di Miguel de Unamuno nella “Vita di don Chisciotte e di Sancio”, al capitolo XLVI, ma non vi è il motto caro a me e a Lombardi.