Giulia Gabrieli: “L’eterna gioia donale”

«Io ora so che la mia storia può finire solo in due modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due bei finali. L’importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la volontà di Dio»: così parla Giulia Gabrieli, 14 anni, di Bergamo, quando la informano che il sarcoma la sta sopraffacendo. Muore nella casa dei genitori il 19 agosto e il suo vescovo, Francesco Beschi, che l’ha conosciuta nella malattia, ne dà notizia a Madrid ai mille ragazzi bergamaschi che erano là con lui per la Giornata della gioventù. Tornato a Bergamo il vescovo visita la famiglia e la invita a pregare così: “L’eterna gioia donale Signore, splenda a lei la tua luce perpetua”. Qui la storia di Giulia come è stata raccontata dall’Eco di Bergamo.

22 Comments

  1. fabi

    … le parole qui non servono!
    Grazie a Dio.
    Bellissima Giulia!
    Di Dio. Un abbraccio infinito.

    5 Settembre, 2011 - 19:06
  2. elsa.F

    Giulia, un fiore raro per il giardino del Paradiso!

    5 Settembre, 2011 - 20:16
  3. Marilisa

    Di fronte a storie come questa le parole vengono a mancare, e ci si sente piccoli piccoli perché troppo lontani da una tale grandezza.
    Che dire? Lo stupore ammirato suggerisce il silenzio nel raccoglimento in preghiera.

    5 Settembre, 2011 - 21:28
  4. ondivago

    Scusate l’intrusione, non solo solito partecipare alla vostre discussioni.
    Ma mi colpisce moltissimo questo ( e già l’ho riscontrato in altre occasioni). Che tutto il pubblico, numeroso agguerrito e appassionato che movimenta e si scazzotta spesso su queste pagine, si eclissa, si dilegua quando il tema del giorno è quello della sofferenza e della morte.
    Non intese come oggetto di dissertazione, attimo di meditazione, o magari argomento su cui esprimersi da un punto di vista scientifico, etico, legale.
    Oh no. Lì le parole fioccano e gli animi si accendono come al solito.
    Ma quando c’è di mezzo una storia semplice semplice, incontrovertibile, senza fronzoli e senza speculazioni intellettuali, che coinvolge non un Padre della Chiesa o un maitre a penser laico, ma una normalissima persona, pergiunta giovane, giovanissima ( lei giovane sì, non come certi giovani dai capelli abbondantemente brizzolati…) che DA CRISTIANA vive sulla sua pelle la realtà così come è della malattia e della morte…be’, silenzio, tutti muti, bocche cucite, tutti a guardar per aria.
    Non solo qui da voi, ovviamente.
    Ovunque.
    Che peccato. E che stronzata, se mi posso permettere.
    Non per lei, naturalmente, che non ha certo bisogno della nostra distratta attenzione, specie adesso che la sua battaglia, quella vera, quella di San PAolo, la buona battaglia, lei l’ha già vinta, stravinta, ha trionfato.
    Che peccato e che stronzata per noi.
    Lasciarci scivolare addosso storie come queste è prima di tutto una colossale idiozia, e poi la perdita di una occasione irripetibile. Queste non sono tragedie, sfighe, casi limite, e tantomeno NON SONO STORIE EDIFICANTI , quelle di cui abbondano libretti e agiografie celebrative nelle librerie cattoliche, e poi basta. QUESTE STORIE SONO VITA, vita che non vorremmo, vita che non ci piace, ma vita assolutamente normale, perchè la vita, possiamo battere i pugni sul tavolo e tapparci le orecchie quanto vogliamo, è ANCHE questo. Credete che esageri? Fatevi un giretto negli ospedali, in qualunque ospedale, e poi ditemi. Tutti sfigati , quelli di questo esercito ?!
    Ma apriamo gli occhi, porca vacca. E’ cristiano, ma anche solo maturo, intelligente, anche solo furbo, far finta di niente e continuare ad occuparci con grandi arie di importanza di problemi penultimi, terzultimi o proprio di nessun conto e scansare accuratamente, tastanadoci magari il cavallo dei pantaloni, il problema ultimo che tutti ci riguarda inevitabilmente?.
    Se non crediamo, tutto questo ha un senso: chiamasi istinto di cosnservazione, spirito di sopravvivenza,ecc ecc. Ma se crediamo, allora io mi domando francamente se non siamo dei perfetti coglioni a ignorare sistematicamente quella che è la nostra realtà e la nostra condizione per andar dietro a ogni tipo di lucciole e lanterne, magari culturali, politiche, religiose…ma davanti al cancro che viene ad abitare a casa tua,o ad altre numerose cosucce similari, sempre lucciole e lanterne restano.
    Siamo dei vigliacchi recidivi e senza giustificazione, ogni volta che facciamo questo. Incoscienti e fessi per le conseguenze su noi stessi, noi che arriveremo al momento ( o ai momenti) topico con la impreparazione e il dilettantismo di un bamboccione sbacalito. Ma crudeli e colpevoli, piu’ o meno consapevolmente,nei riguardi delle persone che in quelle situazioni lì ci sono già. E il dramma è che questo capita anche quando le persone in questione sono non estranee, ma care, vicine, magari vicinissime. Quello che Giulia riscontrava è quello che immediatamente si tocca con mano quando la malattia arriva in casa tua: la gente scappa e ti molla, la gente ha fifa e scompare, la gente se la fa sotto, anche se ha cinque lauree o se è un monsignore che ha pubblicato fior di interventi sul dolore e su Giobbe…
    Piantiamoci in testa con cocciutaggine se necessario anche cattiva, facendoci violenza, questo: non siamo vaccinati contro il male, ci ammaleremo e creperemo pure noi , e comunque succederà anche a quelli che amiamo e che sono pezzi di noi…La vita è anche questo, e , per un cristiano, questo pezzo di vita, come dimostra la storia di Giulia, di Chiara Luce e di una schiera infinita di altri, è un momento schifoso e durissimo, ma prezioso e privilegiato di INCONTRO CON GLI ALTRI E CON DIO, DI PIENEZZA E DI CHIAREZZA, DI COMUNIONE CON IL SIGNORE E DI GIOIA .
    Sì, di gioia.
    Giulia non l’avrebbe certo voluto questo momento.
    Non è questo il punto.
    Nemmeno Gesù avrebbe voluto il Getsemani e il Calvario, al momento buono.
    Ma il mistero e la condizione di noi tutti, prima di tutto come uomini, e poi come uomini cristiani, è questo, prevede questo, poche storie.
    Che non ci piaccia è del tutto ininfluente.
    Davanti a storie come questa di Giulia, possiamo decidere di far finta di niente come al solito, e di continuare a essere popolo bue , miope, querulo, insignificante che campa alla giornata, oppure tirar su la testa, drizzare le orecchie e la schiena, tirare fuori le palle e prendere finalmente la vita ( e quindi la morte ) sul serio, a partire da tutti quei casi che abbiamo sotto il naso e che abbiamo liquidato con un sospiro, con una preghiera, con un luogo comune, con una pacca sulle spalle, e via. Incominciamo da lì , a fronteggiarlo questo pezzo di verità che ci neghiamo oltre ogni evidenza, sdrammatizzando, prendendola per quello che è, VIVENDOLA per quello che è.
    E cerchiamo di dare un senso degno di questo nome alla nostra presenza di cristiani nel posto dove stiamo.
    Scusate la rompicoglionaggine e la lunghezza.

    6 Settembre, 2011 - 12:05
  5. mattlar

    Una storia davvero straordinaria. Ho sentito la lettura dell’articolo dell’eco di bergamo qualche giorno fa su Radio maria mentre viaggiavo verso Roma e piangevo. Mi piacerebbe saperne di più.
    grazie, Luigi

    6 Settembre, 2011 - 12:13
  6. fabi

    Ciao, mio caro ondivago ( simpatico),
    parlo per me e capisco quello che dici,
    ma per me silenzio non vuol dire, in questi casi, assenza di parole,
    ma proprio: IMPARO!
    I testimoni sono fatti per essere guardati, scrutati … in un qualche modo ‘imitati’…
    Tutto qui e parlo per me.
    Non mi dilungo, però.

    6 Settembre, 2011 - 12:42
  7. Marilisa

    Il tuo intervento appassionato, caro ondivago, contiene molte verità. Il fatto è, più semplicemente, che pagine di vita come questa che il caro e sensibile Luigi ci ha proposto, lasciano senza parole. Ci hai pensato? Non si tratta di colpevole indifferenza, come tu hai interpretato. Non credo che ci sia veramente qualcuno che abbia letto e si sia fatto scivolare addosso, senza reazione, la vicenda di dolore e al tempo stesso luminosa di Giulia.
    Questa magnifica ragazza è tanto al di sopra delle meschinità della vita di molti di noi che non si può fare altro che ammirarla e guardare al suo esempio come ad una speranza- solo una speranza- che il suo coraggio e la sua luce divina possano almeno sfiorare noi, che preghiamo rivolti a lei come ad una creatura tutta rivestita di Grazia. In casi come questi, rarissimi, le parole non servono. Il silenzio forse vale molto di più.

    6 Settembre, 2011 - 13:12
  8. Alexandros

    @ ondivago
    In calce ad un post simile è difficile scrivere un commento non banale. E tanto meno vi è qualcosa su cui disputare e replicare. Ecco perché io me ne astengo, e così forse è anche per gli altri frequentatori di questo blog.

    6 Settembre, 2011 - 14:56
  9. ” La parola giusta può essere efficace,ma nessuna parola è tanto efficace quanto un silenzio al momento giusto”.

    Per quanto nelle parole di ondivago si legga passione, voglia di fare, partecipazione attiva, non credo che egli possa arrogarsi il diritto di giudicare in quale modo gli altri ( e anche noi ) vivono sulla pelle queste situazioni. Personalmente, ho a che fare con il cancro da quando ero bambina. Ed è sin da allora che ho imparato che, spesso, un silenzio partecipa più di una parola, una mano stretta dice più di tanti discorsi, una preghiera in solitudine vale mille voci.
    Pensaci, ondivago.Forse, anche la rabbia che ti porti dentro, se gridata al Signore, si trasforma in preghiera attiva. Non sei un rompicoglioni, sei una persona che pensa e che vuole dare un senso a ciò che crede. Tutto questo va benissimo, ma devi anche imparare che esistono altri che fanno la stessa cosa in maniera diversa, spesso in silenzio, sbigottiti davanti al dolore o davanti alla grandezza di persone come Giulia. Essere cristiani, credo che non si misuri solamente con l’impegno che ciascuno di noi può contribuire in questi casi, ma anche con la maniera personalissima di accettare e vivere quanto ci troviamo davanti ogni giorno.
    E, credimi, te lo dice qualcuno che in questo periodo non sa neppure se l’immagine nello specchio sia la sua.

    6 Settembre, 2011 - 14:59
  10. Mabuhay

    Un grazie a Luigi x la segnalazione. E’ uno dei tesori evangelici che piace tanto a te, e che fa tanto bene a noi, a tutti.

    E un abbraccio speciale a Princess…ti leggo e non ti dimentico…, davvero! Ciao.

    6 Settembre, 2011 - 15:14
  11. ondivago

    Hai una vagonata di ragione, Fabi.
    “Imparo” è un gran verbo, e lo impiego e lo condivido pienamente anch’io, ed è appunto quello che bisogna fare perchè queste situazioni non siano per noi tante occasioni sprecate.
    E sono d’accordo anche con te, Marilisa.
    Pagine come come queste lasciano per forza senza parole.
    Ma non credi che le parole , poi, bisogna sforzarsi di trovarle?
    E non serve che siano parole alte, ispirate, di chissà che profondità.Quelle, veramente, spesso lasciano il tempo che trovano.
    C’è bisogno di parole di vita normale, di vita e basta, di umanità soprattutto e prima di tutto.E poi c’è bisogno delle ( poche, pochissime) parole del vangelo, se siamo cristiani.Il vangelo non ci dà rispostine da fornire a chi soffre, ma ci dà suggerimenti lapidari e radicali sul modo in cui noi dobbiamo , ad esempio, vivere con chi sta nella sofferenza. Credo anch’io che in molti casi il silenzio, per non dire la fuga, di molte persone intorno a chi si trova la malattia addosso , non siano indifferenza. Al contrario , possono essere dettati dalla paura, se non dal panico, dal timore di soffrire, dal rifiuto dell’idea, dal troppo amore, anche: sai quante volte ho sentito dire …” non ce la faccio a vederlo così, sto troppo male!”
    Ora, sono tutte reazioni comprensibili, ma che , nei fatti, in primo luogo lasciano chi si trova il peso della malattia addosso ancora piu’ solo( e già la malattia di per sé ti eleva tutto intorno steccati e ti piazza addosso una valanga di bolli ed etichette, e nessuna piacevole!) e in secondo luogo privano te, se tieni a quella persona, della possibilità di continuare a vivere il tuo tempo e il tuo affetto con lei come vorresti che fosse e come sarebbe giusto che fosse…

    Su una cosa, invece, ho qualche dubbio.Certo questa ragazza deve essere una anima magnifica e il suo splendore l’avrà portata direttamente a piantare gli occhi in quelli del nostro Amico…Certo è un “modello”, o per dirla bene con Fabi, una testimone di come si affronta cristianamente un pezzo di vita così.
    Ma con tutto questo, e senza togliere nemmeno un micron alla sua grandezza, io non ne farei qualcosa di tanto alto e tanto al di sopra che non si possa fare altro che ammirarla …Le persone sante, compresi i santi conclamati, ufficiali, chi ci dice che fossero questi giganti irragiungibili, questi fuoriserie della vitu’, del coraggio , della fede? A me pare che tutti, tutti loro, a partire dagli stessi apostoli, abbiano tutti, ma proprio tutti quanti, i nostri limiti, le nostre fragilità. Ma pure le nostre bassezze, la nostra capacità di fare il male, quella insomma che tu chiami perfettamente bene la nostra meschinità.I santi, per come la vedo io, non sono eroi. O, se lo sono, lo sono nella cocciutaggine e nella tigneria della fede, dell’abbandono a Dio, della scommessa sulla sua potenza piu’ forte di tutte le loro inevitabili tare, errori, colpe e sconfitte.Io credo, insomma, che ciascuno di noi, SE SOLO VOLESSE FARLO VERAMENTE, potrebbe essere oggi un san Paolo, un san Pietro, un papa Woitila… e quindi, potrebbe essere benissimo una Giulia Gabrieli!
    Il suo coraggio e la sua luce divina, come dici tu, sono certamente da togliere il fiato, ma sono stati conquistati attraverso una umanità normalissima, rivendicata , amata, ribadita, e anche attraverso la giusta, giustissima e cristianissima rabbia, la ribellione, lo stupore incredulo, il senso di abbandono…cristianissimi perché gli stessi provati da Gesù, e perché, come in Gesù, sfociati in quel Qualcosa di indefinibile e di altro, di misterioso, che potremmo forse vagamente indicare come adesione alla volontà di Dio, come voglia di incontrarlo di persona, in ultima analisi come vero amore.
    Insomma, questa io spero che non sia una strada rarissima, almeno non lo sia per i cristiani. Dovrebbe essere, anche se lo dico con molto pudore e a voce molto bassa, la nostra strada, il nostro modo , faticoso e illuminato dal vangelo, di piazzare un passo dopo l’altro sulle orme di Gesù.Difficile, doloroso, solitario e splendente, ma è lì, alla nostra portata, traguardo che faremmo bene a cominciare a preparare, a partire dalla volontà di restare abbrancati a Cristo comunque, in ogni caso, e non nonostante i nostrio limiti, aldilà dei nostri limiti, ma attraverso i nostri poverissimi limiti.
    Scusa il supplemento di rottura, ora taccio.

    6 Settembre, 2011 - 15:34
  12. lycopodium

    Grazie Ondivago,
    è giusto il senso di quello che dici.
    Viviamo troppo in una mentalità “calvinistica” o alla amici di Giobbe, che legge le cose belle che ci capitano come premio, magari per le nostre idee, le nostre battaglie o per noi stessi.
    E’ capitato anche qua.
    E’ vero che giriamo la faccia, ma perchè siamo abbagliati da testimonianze come queste.
    E giudicati.

    6 Settembre, 2011 - 15:40
  13. ondivago

    @ Principessa

    Vero, tutto vero quello che tu dici.
    Specie se parli del parlare per confortare. Hai ragione: ci sono molti altri modi per significare presenza e partecipazione.
    Basta che ci siano.
    In molti casi, invece, la stretta di mano è routinaria, e il silenzio è imbarazzato: niente di piu’.
    Per quanto riguarda la rabbia, puo’ trasformarsi in preghiera attiva, eccome.
    E in questi casi è comunque un atto di fede forte, anche se amaro e forse non ideale. Non ci si arrabbia con qualcuno che non c’è , ma con Qualcuno che ami , di cui ti fidi e che vorresti pronto ad aiutarti.
    Tutto il rispetto per il modo personale e individuale che ciascuno ha di rapportarsi al dolore, suo e degli altri. Ma troppe volte ho dovuto constatare che per paure o incertezze si perde la possibilità di vivere comunque alla grande, come erano stati vissuti fino a quel momento, rapporti intensi e profondi che si sgretolano, si impacciano, si raffreddano…aggiungendo solitudine e dolore a solitudine e dolore.
    Se ho deto cose che ti hanno urtato, scusa per davvero.
    ( anch’io, però, non parlo in linea teorica, ma a partire da anni di esperienza)

    6 Settembre, 2011 - 15:51
  14. Assolutamente no, ondivago, nessun urto o offesa. E’ esattamente perchè concordo in pieno con quanto dici – e che spieghi ancora meglio in questi ulteriori commenti – che mi sono permessa di parlarti come ho fatto.
    Ciò che hai constatato tu, e che bene racconti nelle ultime righe del tuo post alle 15.51, è comune a molte situazioni di malattia o anche solo di disagio che vengono da molti scartate come “impossibili” da sperimentare perchè “fanno troppo male”. Senza renderci conto che proprio in quei momenti che possono sembrarci impossibili, forse, sapremmo esternare la grandezza che ci portiamo dentro. Anche in silenzio.Per assurdo, talvolta anche una presenza silenziosa è capace di infondere coraggio e conforto.
    Tutto questo, però,non significa che non dobbiamo accettare anche altri modi di rapportarsi a certe situazioni e di comprenderne le difficoltà ad esprimersi.Accogliersi e tollerarsi comincia dalla soglia di casa, anzi! da dentro noi stessi, ed è forse l’essenza della Cristianità.
    Ti capisco, spesso si parla di amore, di rapporti profondi, di amicizie intoccabili e poi, invece, l’egoismo o l’istinto di conservazione o la paura di soffrire o le convenzioni o l’incapacità di affrontare certe situazioni mostrano quel che siamo, e quanto dolore e solitudine riusciamo a dare a chi proclamavamo essere importante nella nostra vita.
    “Sapevo” che dietro le tue parole c’era molto più che solo convinzioni teoriche.
    un caro saluto

    @ Mabuhay
    benritrovato e grazie. un abbraccio

    6 Settembre, 2011 - 16:46
  15. fabi

    Grazie Ondivago,
    la grazia perfeziona la natura, diceva un santo ben noto.
    Ecco che hai ragione, a mio avviso, ma mi pareva chiaro.
    Comunque:
    Tutti abbiamo la grazia,
    Dio ce la concede ( in un passo che non sto a scrivere, ma se volete sì, la nostra ‘piccola’ Dottore della Chiesa S.Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo) come Lui vuole …
    per questo siamo tutti santi in potenza!!!
    Un abbraccio e … che simpatico nome!?

    6 Settembre, 2011 - 17:11
  16. elsa.F

    Giulia
    Chiara Luce
    Tracce luminose
    Sentieri di luce
    Per imparare a vivere
    E imparare a morire.

    6 Settembre, 2011 - 18:22
  17. Marilisa

    Caro ondivago, forse non ti sei reso conto, nel tuo trasporto, che ti sei allontanato dall’incipit del tuo intervento. La tua arrabbiatura era indirizzata verso tutti quelli che in questo blog (e in altri) discutono di mille cose e restano muti, a tuo parere, di fronte ad una storia di vita penosa ma, al tempo stesso, illuminata quale è stata quella di Giulia. Secondo te che cosa avrebbero dovuto dire i frequentatori del blog? Mi sembra di capire che, a tuo parere, avrebbero dovuto rammaricarsi perché, nella sofferenza, alla ragazza è mancata spesso la vicinanza anche degli amici. Certo che tutto ciò è sommamente riprovevole sia che lo si guardi da un punto di vista non religioso, sia-soprattutto- che lo si veda dall’angolo del nostro dirci cristiani. Ma le filippiche lasciano un po’ il tempo che trovano. Tu non hai mai sperimentato le contraddizioni dei cristiani? Io purtroppo spesso, molto spesso.Dal canto mio, posso ripromettermi mille volte di essere coerente, ma so bene che con i miei limiti sarà facile che non lo sia, mio malgrado. Gesù stesso provò grande amarezza per l’incoerenza, nei momenti peggiori, dei discepoli nei suoi confronti. Ma la storia di Giulia , se ci fai caso, viene proposta soprattutto per esaltarne la luminosità complessiva, ed è questa che innanzi tutto colpisce. Si prova grande pena per un destino crudele e non si può fare a meno di ammirare la grandezza di una ragazza che gli è andata incontro con le paure proprie di un normale essere umano, poi superate nell’abbandono alla volontà di Dio.
    Nella nostra vita quotidiana siamo circondati da persone sofferenti per un motivo o per l’altro. La vicinanza ai nostri fratelli è doverosa, ma sbagli, caro ondivago, quando pensi che il silenzio sia sempre peggiore delle parole anche semplici, “di vita normale”. Le parole a volte sono inutili perché suonano senza senso. Anche le parole devono essere ispirate da Dio perché siano efficaci. La vicinanza nel silenzio talvolta parla di più.
    Colpevole è la fuga, ed è vero che non di rado è dettata dalla paura,dal panico, dalla consapevolezza della nostra incapacità a portare sollievo. Quante volte si è sentito dire, di fronte a certe sofferenze, che sarebbe preferibile la morte? Lo hai ricordato anche tu. La verità è che la sofferenza è difficile da sopportare anche per chi la vede da vicino; coinvolge tutti. Ma obiettivamente è una debolezza che rientra nei limiti umani. Fortunato chi riesce a superare tale limite.
    A proposito della santità.
    Anche io la penso un po’ come te. I santi, che la Chiesa ci propone come modelli, erano, a mio parere, persone “normali” con i pregi e i difetti dei comuni esseri umani. Solo che a determinarne la santità fu il prevalere, nella loro esistenza, delle qualità (doni di Dio) vissute per realizzare il Bene.
    A differenza di te, però, io non credo che il cammino da loro intrapreso sia facile da percorrere per chiunque fra noi. Me lo augurerei naturalmente, ma abbandonarsi alla volontà di Dio non è per niente facile, tutt’altro; non è-io credo- alla “nostra portata” senza una Grazia speciale. Ecco perché io vedo in Giulia Gabrieli una creatura al di sopra di molte altre. Sono convinta, tuttavia, che altre persone che vivono nel nascondimento siano “speciali” e anche se non saranno mai proclamate ufficialmente sante, di fatto lo sono.
    «L’eterna gioia donale Signore, splenda a lei la luce perpetua. Amen»: questa piccola ma significativa modifica del requiem sarebbe opportuno che fosse applicata sempre, per qualsiasi defunto. Sarebbe ora che la Chiesa lo facesse, come dovrebbe modificare il “non indurci in tentazione” del Padre nostro e qualche altra formula di preghiera che stride con l’Amore di Dio.
    Ti saluto con simpatia, caro ondivago.

    6 Settembre, 2011 - 18:23
  18. mattlar

    Il mondo è veramente bello, direi quasi ondivago nella sua bellezza. C’è chi sta zitto una vita, poi quando è il momento di starsene veramente in silenzio e ascoltare la vita e la sofferenza che lo interpellano, strillando, dispensa insegnamenti con un profluvio di parole, così da distrarre il discorso verso di se e verso le sue categore e per concludere che quella vita non è da ammirare e la sofferenza è uguale per tutti.

    6 Settembre, 2011 - 18:56
  19. plpl8

    Davanti al dolore ognuno reagisce in maniera differente, a volte imprevedibile..come si fa ad avere la presunzione di sapere qual’è il modo corretto di porsi ? C’è chi rifugge da queste storie e chi se ne sente attratto in maniera morbosa, la sensibilità di ognuno non è discutibile, è la nostra storia, la nostra natura. In ogni caso condivido il pensiero di ondivago, nel senso che dovremmo tutti sforzarci più.

    6 Settembre, 2011 - 20:21
  20. Leopoldo

    “Certo questa ragazza deve essere una anima magnifica e il suo splendore l’avrà portata direttamente a piantare gli occhi in quelli del nostro Amico…”
    Riporto le parole del verboso ondivago per dissentire da coloro che continuano ad esprimere giudizi positivi su chi vorrebbe darsi ragione della sofferenza, propria e altrui, attraverso la fede, e alla fine, buon per lui, se la dà. E’ evidente che tali giudizi implicano la riprovazione di chi invece muore disperato, per dire, o non accetta di vedersi morire un figlio nel modo terribile in cui è morta questa povera ragazza. E ciò a prescindere dal fatto che spesso la disperazione è il frutto di un malinteso senso di giustizia (se hai sofferto di qua non potrai non godere nell’altra vita) indotto dalla religione e che vorrebbe a tutti i costi compensare il dolore, che invece non è né giusto né ingiusto: c’è e basta. Vi assicuro che trovarsi a metà del guado, né pieno di fede come la piccola Giulia, né pervaso da laica saggezza, come chi sa accettare la morte e la malattia come qualcosa da combattere ma tutto sommato naturale, non è esattamente il massimo. Da qui, veramente, può nascere la disperazione. Non foss’altro che per questo, chi predica di aldilà senza vivere nel fuoco di una fede vera, quindi capace di dare speranza vera, dovrebbe andare all’inferno, se ci fosse l’inferno, con tutte le scarpe.

    6 Settembre, 2011 - 21:51
  21. fabi

    Ciao Leopoldo,
    ti leggo solo adesso.
    Da parte mia, molto delicatamente posso dirti che
    Gesù in croce ha sofferto realmente ed è morto abbandonato
    da tutti. Ha urlato.
    Ha raccolto, così, tutte le grida di tutti i moribondi
    scendendo nel dolore più lacerante di ognuno.
    Non poteva che essere così.
    Non credo che ci sia una gran spiegazione del dolore,
    ma alemno saperlo ‘raccolto’ da Qualcuno,
    consola o dà una piccola – grande grazia.
    Scusami se ho tentato di dirr qualcosa in un campo così
    delicato e misterioso.
    Ho molto rispetto.

    6 Settembre, 2011 - 22:45

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