Oltre la morte. L’orizzonte di una vita nuova

Per la serie “Nascere e morire nella Bibbia”
a cura del Centro di studi biblici di Sacile
Sala Capitanio in Palazzo Carli Giovedì 2 aprile 2009 – ore 20,30

Ho iniziato a meditare in vista di questo incontro all’inizio della Quaresima, quando ho preso le ceneri nella Cappella Giulia di Santa Maria Maggiore, luogo dove spontanea viene l’invocazione della vita oltre la morte essendo quella Cappella – che è di Michelangelo – dominata dall’idea del Giudizio visivamente richiamata dagli angeli con le trombe mirate ai punti cardinali. Il celebrante usò la formula tradizionale: “Ricòrdati che sei polvere e in polvere tornerai”. Mi sono detto: partirò da queste “ceneri” quando parlerò a Sacile.

L’uomo medievale aveva bisogno di ricordare che era “polvere”, noi invece facciamo difficoltà a ricordare che siamo chiamati a una nuova vita oltre la morte. Il sentimento della finitudine ci è spontaneo. Quello della vita eterna ci ammutolisce. Ma io ora sono chiamato a rompere questo silenzio. Mi conforta il fatto di essere stato chiamato non come biblista, che non sono, ma come un comune lettore della Bibbia che comunica la sua traccia di lettura agli altri lettori.

Affronterò il grande argomento in due tempi: con il primo richiamerò gli elementi essenziali della fede biblica sulla resurrezione della carne e sulla vita eterna, con il secondo mi fermerò su alcuni testi ai quali sono abituato a ricorrere nella mia preghiera quando mi trovo alle prese con l’esperienza della morte. Prima dunque il quadro di insieme e poi la scelta personale.

Credo la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà

Sono le ultime due affermazioni del Credo che recitiamo la domenica in chiesa. Vediamo che cosa “afferma” la nostra fede con l’una e con l’altra. Da dove ci viene innanzitutto la fede biblica nella resurrezione della carne? Viene da lontano. Essa è già esplicita nel tardo giudaismo.

Nel secondo Libro dei Maccabei – che risale al secondo secolo prima di Cristo – vi sono queste due menzioni di tale fede: «Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (7,9); «È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati» (7,14).

Incerta nei secoli precedenti, la fede nella resurrezione è dominante nell’ebraismo del tempo di Gesù, che l’afferma con totale sicurezza nella disputa con i sadducei, che la negavano: “A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi! Voi siete in grande errore” (Marco 12, 26 e 27).

L’apporto proprio di Gesù è che egli lega la fede nella resurrezione alla sua stessa persona: “Gesù le disse: ‘Tuo fratello risusciterà’. Gli rispose Marta: ‘So che risusciterà nell`ultimo giorno’. Gesù le disse: ‘Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno’ ” (Giovanni 11, 23-26)

Il legame tra il Cristo e il mistero della resurrezione sarà accolto e tenuto come centrale dai cristiani di tutti i tempi. Essere testimone di Cristo è essere «testimone della sua risurrezione» (Atti 1,22), aver «mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (ivi 10,41), o aver accolto l’attestazione di coloro che mangiarono e bevvero. La speranza cristiana nella resurrezione è dettata dagli incontri con Cristo risorto. “Noi risusciteremo come lui, con lui, per mezzo di lui” afferma il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 995.

Dobbiamo contemplare la resurrezione di Cristo per intendere la nostra: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!» dice il risorto in Luca 24,39. Dunque risorgeremo con il nostro corpo. Ma sarà un corpo “trasfigurato in corpo glorioso” (Filippesi 3, 21) e in «corpo spirituale» (1 Corinti 15,44), perché “è necessario che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità» (ivi 15, 53).

Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì

In che cosa consiste la “vita nuova” dei risorti in Cristo? Qui siamo nell’indicibile. Nelle “profondità di Dio” come dice Paolo nel secondo capitolo della Prima lettera ai Corinti. La fede della Chiesa non ci dice nulla sul “come” della resurrezione e parimenti non ci informa sul “che cosa” della nuova vita.

Ci mette anzi in guardia dalla pretesa di avere tali risposte: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Corinti 2,9). E ancora: “Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali” (ivi 2, 13).

Come possiamo intendere oggi questo “linguaggio insegnato dallo Spirito”? Pragmaticamente io l’intendo come amorevole accoglienza delle parole che ci furono donate, senza aspirare a cavarne risposte di “sapienza umana”. Oggi ci è chiaro che del “Cielo” – dove vedremo Dio “così come egli è” (1 Giovanni 3, 2) e dove staremo con lui “faccia a faccia” (1 Corinti 13, 12) – la Scrittura ci parla per immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, unione sponsale, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso, cieli nuovi e terra nuova.

Sempre con linguaggio figurato ci viene detto che nella Gerusalemme celeste Dio avrà la sua “tenda” in mezzo agli uomini: “Egli abiterà con loro (…) e tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21,4).

Il linguaggio “insegnato dallo Spirito” ci informa infine che non soltanto l’umanità sarà rinnovata, ma anche il cosmo: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l`ha sottomessa – e
nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l`adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati
” (Romani 8, 19-24).

Dio non ha creato la morte

Fin qui il prospetto biblico della nostra fede sulla “vita nuova” che ci attende “oltre la morte”. Ed eccoci alla seconda parte, più personale, della mia riflessione nella quale ci fermeremo un poco su cinque passi della Scrittura che io – nella mia esperienza di riflessione e di preghiera, come anche di conversazione con gli altri credenti – ho trovato di maggiore aiuto a pensare il nostro destino oltre la morte e anche di consolazione, nell’attesa del ritrovamento delle persone che ci hanno lasciato.

Il primo brano è del libro della Sapienza 1, 13-15: “Dio non ha creato la morte /e non gode per la rovina dei viventi. / Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza: / le creature del mondo sono sane, / in esse non c’è veleno di morte, / né gli inferi regnano sulla terra, / perché la giustizia è immortale”.

Sappiamo come nella cultura moderna si sia fatta dominante l’obiezione a Dio che si fa forte del nostro destino di morte: perché la sofferenza e la morte – somma di tutte le sofferenze – se Dio è vita? E come può essere buono se ha creato la morte?

Noi siamo in difficoltà a rispondere a noi stessi – prima che sulla scena pubblica – perché la nostra tradizione spirituale, non sempre e non sufficientemente biblica, ci condiziona fin dal linguaggio e quasi ci spinge a pensare che tutto viene da Dio: “non si muove foglia che Dio non voglia”. E dunque se muore una mamma che ha bambini piccoli, è Dio che ha voluto così! Se fa naufragio un barcone con trecento clandestini a bordo, se una scuola cade per terremoto sui bambini e le maestre…

Questo è profondamente errato, non è biblico. Dio non ha creato la morte, non l’ha voluta e non la vuole per nessuno. Non è lui a deciderla. Essa è entrata nel mondo “per l’invidia del diavolo”, dice ancora la Sapienza nel secondo capitolo al versetto 22.

Il diavolo, cioè “il nemico” come hanno altre traduzioni. Il serpente della Genesi, il tormentatore di Giobbe, il Satana delle tentazioni di Gesù e quello che entra in Giuda alla vigilia della passione, la Bestia dell’Apocalisse. E’ l’avversario “antico” che ha introdotto la morte nella creazione, che tutta era stata voluta da Dio “sana” e “per l’esistenza”. Nei testi biblici l’avversario – che è “omicida fin dall’inizio” (Giovanni 8, 44) – arriva a essere identificato con la morte, tant’è che in Paolo leggiamo che “l’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte” (1Corinti 15, 26).

Il “nemico” che introduce la morte nella creazione è grande mistero, così grande da spaventare e dunque è forte la tentazione di tacitarlo, oggi più che mai. I credenti tradizionali lo tacitano con un’idea scolastica del “peccato originale” che viene lavato con il battesimo, come se la narrazione della Genesi e la verità che essa contiene bastassero a spiegare tutto; mentre quelli innovatori tendono a tacitarlo parlando esclusivamente della bontà della creazione e dell’uomo, così che non ci sarebbe più nulla da spiegare. Occorre un recupero conseguente del dramma del male e del peccato e della morte – massimo tra i mali e tra i peccati – che il nemico ha introdotto tra noi e in noi. Dramma che fa drammatica la veduta cristiana della storia e la realtà del nostro passaggio in essa. Verremo recuperati alla vita – e sarà una “vita nuova” – dopo che su di noi avrà trionfato l’avversario portandoci alla morte.

Non è un percorso che possiamo svolgere qui e ora. Ma è possibile indicare la direzione in cui potremmo affrontarlo da lettori della Bibbia: le parabole del Giudizio che troviamo nei Vangeli (bisognerà pure intendere in qualche modo il “via da me maledetti” che esse contengono) e la figura della Bestia dell’Apocalisse e la lotta dell’Agnello con la Bestia, che è sempre nell’Apocalisse – libro che oggi leggiamo così poco e meno ancora intendiamo. L’ “ira dell’agnello” (Apocalisse 6, 16) che libera l’umanità dall’incubo della Bestia dovrebbe essere un testo da mandare a memoria e da mettere a base della nostra invocazione in ogni esperienza del male, del peccato e della morte.

Perché tu lo riavessi in eterno

Vediamo ora altri tre brani, dal Libro dei Maccabei e da Paolo, tra i più rispondenti alle domande che ci affollano l’anima quando pensiamo al “mondo che verrà”. Essi ci assicurano sul ricongiungimento con le persone che ci hanno lasciato. Perché è vero che non dobbiamo porre domande carnali a un linguaggio che viene dallo Spirito, ma non c’è motivo di dubitare della consolazione e dell’aiuto a credere che può venirci dalla Scrittura in una materia così decisiva.

Il primo testo è in 2 Maccabei 7, 29 dove la mamma dei sette fratelli Maccabei, mandati a morte dal re pagano perché rifiutano di mangiare carne di maiale, così incoraggia il più piccolo dei figli a resistere al persecutore: “Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”.

Paolo in 2 Corinti 4, 14 esorta quelli di Corinto a credere nella resurrezione, precisando che in essa li ritroverà: “Siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù, e ci porrà accanto a lui insieme con voi”.

Sempre Paolo scrive a Filemone (15) che avrà con sé in eterno lo schiavo Onesimo, ora che è divenuto cristiano come il padrone: “Forse per questo
è stato separato da te per un momento, perché tu lo riavessi in eterno
”.

Quando ascoltiamo questo linguaggio in bocca a cristiani di oggi dubitiamo di esso, quasi si trattasse di un cedimento alle nostre debolezze. Credo invece che
quelle rassicurazioni bibliche vadano accolte anche oggi e pienamente come suonano. Della “vita del mondo che verrà” quasi solo questo sappiamo, per quanto attiene al resto dell’umanità e dunque questo elemento dovremmo averlo caro.

Oggi sarai con me nel paradiso

In questa riflessione personale sui testi biblici riguardanti la “nuova vita”, abbiamo svolto una considerazione severa nei confronti del linguaggio tradizionale, che riferisce la morte alla volontà di Dio; ma abbiamo anche condiviso, testi alla mano, la speranza nel ricongiungimento con quanti abbiamo conosciuto nella vita.

Ora vediamo l’ultimo e il più caro – per me – tra i testi biblici che ho raccolto per questa conversazione, sempre nell’ordine dell’aiuto a credere e della compagnia in cui ci ritroveremo nel Regno: si tratta delle parole che Gesù dice dalla croce al ladrone che gli chiede di ricordarlo quando sarà nel Regno: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Luca 23, 43).

Anche queste parole ci incoraggiano all’uso del linguaggio tradizionale sull’attesa del Cielo e del Paradiso. Della “vita nuova” – dicevo sopra – quasi nulla sappiamo. “Occhio non vide, né orecchio udì”. Essa è nascosta nelle “profondità di Dio”. Ma ci è stato detto che essa è stata preparata per noi, che in essa lo vedremo “faccia a faccia” e in essa ritroveremo chi fu con noi in questa vita.

Termino con la preghiera detta “raccomandazione del morente”, che è proposta dal Rito romano dell’unzione degli infermi e che bene riassume quanto abbiamo ascoltato nei testi ispirati che ho richiamato: «Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. […] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. […] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno».

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