Benedetto: beato chi non soffoca l’inquietudine – 8

Commentando “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perchè saranno saziati”, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI scrive nel libro su Gesù: “Lo sguardo è indirizzato a persone che non si accontentano della realtà esistente e non soffocano l’inquietudine del cuore, quell’inquietudine che rimanda l’uomo a qualcosa di più grande e lo spinge a intraprendere un cammino interiore – come i Magi dell’Oriente che cercano Gesù, la stella che indica la via verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Sono persone dotate di una snesibilità interiore che le rende capaci di udire e vedere i deboli segnali che Dio manda nel mondo e che in questo modo rompono la dittatura della consuetudine” (116). Alla pagina seguente – volendo dire “qualcosa sulla salvezza di coloro che non conoscono Cristo” – riprende così quella stessa idea: “Dio esige il risveglio interiore per il suo silenzioso parlarci, che è presente in noi e ci strappa alle mere abitudini conducendoci sulla via della verità; esige persone che ‘hanno fame e sete della giustizia’ – questa è la via aperta a tutti; è la via che approda a Gesù Cristo“. Davvero è una via aperta a tutti: chi non conosce  l’afflizione, il pianto, la persecuzione, l’una o l’altra debolezza, o schiavitù, o povertà? Lo dico con una metafora che prendo dal mondo dell’arte. Ho visto la mostra “Chagall delle meraviglie” al Complesso del Vittoriano, a Roma e ho portato con me queste parole che quel pittore scrisse nel 1931: “Voglio vedere un mondo nuovo”. Parole che possono essere intese come una chiave d’accesso al mondo pieno di colori da lui sognato. Anch’io voglio vedere cieli nuovi e terra nuova, anche a me questo mondo non soddisfa. Penso che così, dentro, sia ognuno che cammina sulla terra. E dunque in tutti vi è la premessa – diciamo la condizione base – per captare i “deboli segnali” che Dio ci manda, purchè quel bisogno di novità, cambiamento, pienezza non venga soffocato. Purchè esso trovi anzi alimento, sia coltivato. Direi obbedito.

2 Comments

  1. Francesco73

    Il tema dell’inquietudine è il più bello del cristianesimo, secondo me.
    Io mi porto sempre dietro questa dichiarazione che Camus fa fare al suo Caligola:
    “Io non sono folle, e non sono mai stato ragionevole come ora. Semplicemente, mi sono sentito all’improvviso un bisogno di impossibile. Questo mondo, così come è fatto, non è sopportabile.
    Ho dunque bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità, insomma di qualcosa che sia forse insensato.
    C’è una verità che mi rende la luna necessaria, ma difficile da scoprire. E cioè che gli uomini muoiono, e non sono felici.”

    Auguro davvero a tutti noi di non essere mai quieti in senso terreno, ma di vivere sempre le sfide, le emozioni e i rischi di un’appassionante ricerca del volto di Gesù. La fede è questo, mica un manuale di precetti.

    31 Maggio, 2007 - 14:43
  2. Luisa

    La parola inquietudine mi ha riportato a due anni fa , al 18 aprile 2005, quando il cardinal Ratzinger ha pronunciato quell`omelia che mi aveva particolarmente impressionata. Ecco il passaggio:

    MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE

    “L’altro elemento del Vangelo – cui volevo accennare – è il discorso di Gesù sul portare frutto: “Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dell’esistenza del cristiano, dell’apostolo: vi ho costituito perché andiate… Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio”.

    31 Maggio, 2007 - 15:50

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