Papa Francesco: entusiasmi e resistenze

Con proiezione di filmati sui cinque anni del Pontificato

 

Vinci – Chiesa di Santa Croce – 16 novembre 2018 – ore 21.15

 

Papa Bergoglio amato dal popolo e temuto dagli ecclesiastici: come mai questa forbice del consenso e del dissenso? Al compimento degli 82 anni (li fa in dicembre) e in vista del sesto anniversario dell’elezione (che sarà in marzo) egli ci appare come il più amato tra i Papi che sono venuti dopo Giovanni XXIII, ma anche come il più criticato.

Indico tre provenienze delle critiche a Francesco: le riforme che propone, la figura papale inedita che impersona, la parresia – cioè la libertà di parola – con cui propone i suoi convincimenti e reagisce alle opposizioni.

Il movimento di avversione partì la sera stessa dell’elezione, in contemporanea con quello di simpatia, scatenati ambedue dal famoso “buonasera”: bastò quel saluto perché i simpatizzanti lo sentissero vicino, mentre gli altri già obiettavano che “però” non aveva detto “sia lodato Gesù Cristo”.

In una prima fase le critiche si appuntarono sugli aspetti inediti della figura papale che Bergoglio proponeva: le vesti, le scarpe, il linguaggio, l’abitazione, l’utilitaria. Ma presto si manifestò una più forte opposizione motivata dalle riforme che Francesco subito mise in cantiere, mirate a realizzare una Chiesa “povera e per i poveri”, sinodale, decentrata.

Novità delle novità è risultato il programma di “riforma della Chiesa in uscita missionaria” affermato nella “Gioia del Vangelo” (n. 17). Una riforma che comporta scavalchi di priorità: del Vangelo sul Dogma, della pastorale sulla dottrina, del primo annuncio sui principi non negoziabili, dell’impegno diretto nel servizio all’uomo rispetto alla pedagogia della mediazione.

In questo filone delle novità di sostanza è avvertita come provocatoria anche l’intonazione evangelica della sua predicazione sull’accoglienza del diverso e di chi si trova in situazione irregolare: immigrati, omosessuali, divorziati risposati, conviventi. Le sue denunce contro il capitalismo occidentale – “Questa economia uccide” – gli provoca l’accusa di comunismo, specie da parte della destra statunitense.

Il Vangelo alla lettera – “sine glossa” diceva San Francesco e “sine glossa” ripete Papa Francesco – fa scandalo: era scandaloso il “dimorare presso di lebbrosi” da parte del figlio di Bernardone, e possiamo immaginare che tanti temessero il contagio che avrebbe potuto venirne alla città; è scandalosa oggi la premura di questo Papa per i migranti, e tanti l’accusano di moltiplicarne l’arrivo.

Una parte di responsabilità per l’infuriare degli attacchi spetta al Papa stesso: a differenza dei predecessori, Francesco non fa nulla per evitare le critiche o per riassorbirle, tende a proporre con schiettezza le sue iniziative e le sue idee, odia le cautele di linguaggio, persino polemizza con gli oppositori. E qui forse si può vedere un limite oggettivo della sua azione.

Parrebbe che a provocare dissenso sia soprattutto il prevalere, nella nuova figura papale inedita e spiazzante che Bergoglio impersona, dell’elemento soggettivo su quello istituzionale e di quello del movimento su quello stabilizzante: un Papa che non è posto lì come roccia che tiene il campo, ma come pastore che spinge a nuovi pascoli.

Come si vede dall’accelerazione recente degli attacchi, è venuto a costituirsi un fronte antagonista ecclesiastico che tende a delegittimarlo per ogni aspetto della sua azione: viene accusato d’eresia, di cedimento all’Islam e al comunismo cinese, di complicità con gli abusatori sessuali.

Anche i suoi ammiratori ormai ammettono che Papa Bergoglio – con la sua ansia d’apostolo che lo fa somigliare al confratello Matteo Ricci e alla tenacia con cui quel confratello gesuita del Seicento volle entrare in Cina – esce da coordinate secolari e ci mette a rischio, a molti rischi, persino a quello di una divisione interna alla Chiesa. Fa bene a farlo. Era certamente necessaria quest’uscita da un modello millenario di ministero papale, ma essa non è indolore ed è senza rete.

Va cioè riconosciuto che, insieme a motivi superficiali e alla tradizionale tendenza dei “religiosi” a rigettare ogni novità, vi sono ragioni di buon senso all’arco degli oppositori. Un buon senso che il missionario che vuole “entrare in Cina” tende a contraddire.

Il mix di contagio popolare e laico e di disagio ecclesiastico e identitario nei confronti di Francesco caratterizza anche il nostro paese: anzi il nostro forse più di altri. E si tratta di un contagio e di un disagio in crescita.

E’ ragionevole che il vasto programma di “riforma della Chiesa” per “l’uscita missionaria” provochi maggiore reazione nei paesi dove la situazione della Chiesa Cattolica è più costituita, più radicata, più capillare. Questa è l’Italia.

Più specificamente direi che nella comunità cattolica italiana non si coglie, o non si coglie appieno la gravità della crisi o del passaggio epocale che stiamo vivendo e dunque non si coglie neanche l’opportunità rappresentata da questo papa.

La scelta di mutare linea, fatta dal Conclave e interpretata da Francesco, è epocale e viene dalla presa d’atto della piena sperimentazione dell’altra strada, che era quella del conflitto con la modernità. Ovvero dall’evidenza del suo esaurimento. Chiamato a esploratore del nuovo cammino, Francesco propone innovazioni di linguaggio e d’azione che sono necessità segnalate dalla fragilità delle famiglie, dall’abbandono dei giovani, dal calo delle vocazioni. Dalle novantanove pecore che sono fuori dell’ovile. Ma è una necessità non ancora pienamente avvertita nella nostra compagine ecclesiastica. Da qui, in definitiva, la tentazione di resistere al pastore venuto “quasi dalla fine del mondo”.

Luigi Accattoli

www.luigiaccattoli.it