Così in Siria ci hanno insegnato l’accoglienza

A un centinaio di metri dalla strada si vede una casa, bassa a un piano, spoglia come la maggior parte delle case arabe delle zone di campagna, finestre chiuse, nessun movimento. Poi la porta si apre e fa capolino la testa di un bambino, quindi quella di un ragazzo e, in successione, di alcune donne giovani e di una più anziana tutte con velo. Tutti ci guardano incuriositi quando, a un cenno della madre più anziana, il ragazzo si avvia nella nostra direzione, evitando accuratamente di parlare con noi (donne!) e si intrattiene con il guidatore e la guida (uomini!) probabilmente per avere informazioni sulla nostra sosta, quindi ritorna alla casa per relazionare. A quel punto ci fa cenno di andare da loro con grandi segnali“: è un passaggio di un episodio di accoglienza del forestiero a me narrato da una visitatrice del blog e da me inserito nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto, al capitolo 19 che ha un titolo a effetto: SAMARITANI CENTURIONI CANANEE.

4 Comments

  1. Nino

    Forse il servizio e i segnali di fraternità avviati dal caro Padre Paolo Dall’Oglio, si fanno sentire.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Mar_Musa

    La comunità di Deir Mar Musa è stata fondata dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio ed ospita aderenti sia di rito cattolico che siro-ortodosso

    6 Dicembre, 2009 - 15:16
  2. Non c’entra nulla ma volevo suggerirvi la lettura di un libro stupendo:
    W. Paul Young, Il rifugio, BUR.
    Vale davvero la pena di leggerlo, negli USA è stato un successo inaspettato e spero che venga letto da molti anche in Italia.
    Tanto per scoprire come si possa comprendere l’amore di Dio dentro le croci – anche più terribili – della vita.

    6 Dicembre, 2009 - 18:33
  3. roberto 55

    Ho letto il racconto, Luigi: è molto bello.
    Complimenti.

    Buona notte !

    Roberto 55

    9 Dicembre, 2009 - 23:56
  4. Mariaelena

    Caro Luigi, sono stata in Siria l’estate scorsa e ovunque andassi mi sentivo ripetere che c’è una pacifica convivenza religiosa laggiù. Vero, ma non troppo. Che c’è accoglienza. Vero, ma non tanto.

    Incuneato tra l’Iraq, il Libano, la Giordania, la Turchia, il Mediterraneo e la Palestina (come recitano le cartine del posto, ignorando Israele), il Paese è un vero caleidoscopio di riti e tradizioni: undici gerarchie diverse (ad es. la melchita, l’armena, la caldea e la maronita) tutelate da una laicità garantita per legge. L’unico limite lo detta l’articolo 3 della Costituzione stabilendo che l’Islam deve essere la religione del Presidente della Repubblica.

    Le comunità cristiane (9% dei siriani), hanno allora la libertà di comprare terreni e costruire chiese. Di notte, a Damasco, le croci che sovrastano i tetti sono illuminate al neon, lo stesso che accende i minareti. Il risultato è una diffusa luce verde che rischiara ogni strada della Capitale.

    Un equilibrio fragile. Pronto a saltare, come spesso capita, a ragione del fatto che “sei straniero”, “sei occidentale”, “sei cristiano”. Personalmente sono stata accolta sulla soglia, messa all’angolo. Perché straniera, perchéoccidentale, perché cristiana. Peggio, perché “donna”.

    Battagliera come sono, e venendo meno alla buona creanza – solo oggi me ne pento – al momento di andare via mi sono rifiutata di dare la mano. Anche perché la manica arrotolata della mia camicia che lasciava scoperto un po’ più del polso ha fatto si che mi si etichettasse in malo modo. Salvo poi vedere (dallo spioncino della porta) uomini facoltosi alloggiare nel mio stesso albergo, far piantonare le camere da diversi “scugnizzi” mentre un corteo di donne (col velo ma dai modi “occidentali”) entravano e uscivano come merce di poco conto da quelle stanze. Che dire: non ho gradito.

    13 Dicembre, 2009 - 18:46

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