Ferretti ‘torna’ dal ’68 e si riscopre cristiano

Ho letto con buona partecipazione le confessioni di Giovanni Lindo Ferretti raccolte in Reduce (Mondadori 2006, 120 pagine, 13 euro). E’ stato un bell’incontro dove temevo uno scontro. Perchè mal sopporto quei tipi ultrapuntuti che prima ci scaneggiavano da sinistra e ora ci scaneggiano da destra, sempre arciconvinti che la vasta umanità mai nulla ha capito e mai capirà. Ferretti ha compiuto anche lui il passaggio, essendo prima un cantante rivoluzionario “rovinato dal ’68” (dice in versi) e presentandosi ora come un “reduce” da quell’avventura, che si scopre pieno di ferite e si riscopre cristiano. Ha compiuto il passaggio, ma oggi ama l’umanità non la vitupera. Le pagine più belle le dedica alla nonna (41-43) e alla mamma (76-77): un vero dono quello sguardo riconoscente sulle creature più semplici e benefiche e sul sole e i cavalli, e Dio. “Ho cominciato a guardare la realtà tutta per quello che è e sono stato travolto dal cielo, dalla terra, dall’umanità e dintorni” (105). Preferisco i passi narrativi a quelli argomentativi. Quando fa memoria la sua scrittura è potente, come già lo era il recitativo recto tono dei suoi canti.

10 Comments

  1. Francesco73

    Ferretti pare confermarci che prima o poi il cristianesimo si risveglia nelle persone come memoria familiare, educativa, sociologica.
    Le pagine dedicate alla nonna, alla mamma, alla campagna e alla natura, sembrano indicare la radice quasi platonica, il seme gettato tanto tempo fa, quindi “congelato” per lunghi anni e ora, finalmente, tornato a germogliare, a dare frutto.
    Quando sentiamo dire – anche da parte cattolica – che la fede è sola grazia e che quindi possiamo smobilitare le nostre strutture educative, sociali, comunitarie, familiari, il poco che resta delle forme “incarnate” e in senso lato “sociali e civili” del cristianesimo, dobbiamo aver presenti casi come questo.
    Banalizzando un pò: cosa sarebbe già stato della fede senza le nostre campagne, le nostre nonne, i nostri presepi, le nostre piccole chiese con i canti antichi ed elementari (nelle Marche ce n’è uno che solfeggiano le vecchine nella piccola chiesa del cimitero, vicino a casa mia: “Al tuo santo altar”; quando lo sento mi commuovo sempre), i nostri animali domestici, le nostre feste liturgiche, il nostro popolo che ringrazia per il raccolto, le campane che suonono le ore del giorno, le feste e i lutti?
    Cosa sarebbe stato di noi, e anche della Chiesa?

    19 Gennaio, 2007 - 10:24
  2. Francesco Vergani

    Potente e mite, per grazia ricevuta.

    19 Gennaio, 2007 - 10:38
  3. a me ha colpito il modo in cui Ferretti è stato trattato qua e là per il web: una cosa davvero vergognosa. Una volta ho fatto una piccola ricerca perchè l’ho citato nel mio blog e sono rimasto allibito. Personalmente non lo conoscevo, l’ho fatto negli ultimi tempi, e devo dire che si tratta di un personaggio davvero interessante.

    19 Gennaio, 2007 - 20:46
  4. Luigi Accattoli

    Ho visto anch’io quel maltrattamento del nostro “Reduce”, ma a differenza di donMo non mi ha sorpreso. Chi investe sulla trasgressione e sull’eccesso e poi azzera tutto e riparte con il Gregoriano e riviaggia il mondo per dire zeta dove diceva a, non può attendersi altro. Ma intanto guadagna nuovi amici e forse da voce a qualcosa che pur covava dentro agli amici di un tempo. Insomma uno sconquasso creativo, un soprassalto di pace tra le grida. Questo è Ferretti oggi. Senza quelle grida ostili non ci sarebbe quella pace. Luigi

    20 Gennaio, 2007 - 10:07
  5. fabrizio

    la sua vicenda è talmente scandalosa che bisognava o ridicolizzarla (nel web) o ignorarla (in tv). A parte Ferrara a OttoeMezzo, se non mi sbaglio nessuno tra i conduttori e giornalisti più “impegnati” ha ritenuto Ferretti degno di una mezza intervista. E’ meglio non turbare troppo le coscienze.

    20 Gennaio, 2007 - 10:11
  6. Avere il coraggio di tornare sui propri passi, guardare ai propri errori e capirli significa provare a salvarsi. Perché gli errori sono ferite e riconoscerli significa tentare una cicatrizzazione naturale, senza termocauterio ed anestetici finti per coscienze. Quella potente arma che è la misericordia (che non è il buonismo), credo, permette davvero di ottenere queste continue, piccole-grandi resurrezioni della nostra anima.
    Così scoprirsi reduci e capire quale sia stato lo sbaglio, tornare a casa e provare pace, ritrovare una fede che sembrava smarrita e quelle preghiere “nascoste in un angolo della propria anima”, come fu per l’Innominato dopo l’incontro col cardinale Borromeo… questa è la potenza della nostra fede, la grandezza del messaggio di Cristo. Pace, amore, speranza e misericordia. A tutti. Per tutti.

    20 Gennaio, 2007 - 15:47
  7. marta paola

    Il libro di Giovanni Lindo Ferretti, “Reduce”, è un libro di viaggi. Ce ne sono di ben scritti, con immagini e sapori, come si fa nelle canzoni. Che ti viene voglia di andarci in Mongolia a guardare “le aquile in cielo a volteggiare”, o in Algeria per “l’incontro a gennaio con i Tuaregh in risalita dal Mali”. E – ammesso che si possa – tornare indietro nel tempo: nella vecchia Yugoslavia “un po’ parente povera d’una Emilia in disuso” o nella Mosca sull’orlo del crollo del socialismo reale, “assalto al cielo ben spiaccicato per terra”.
    Giovanni Lindo Ferretti, per chi non lo sapesse, è l’ex leader dei CCCP-Fedeli alla Linea, il gruppo emiliano del “punk filo-sovietico”, un po’ Guareschi un po’ controcultura antiamericana. Adesso, con questo libro emotivamente spesso, sta suscitando le golose attenzioni di tutto quel mondo cultural-giornalistico che spinge per riportare la Chiesa Romana al centro del “discorso pubblico”. Perché Ferretti in “Reduce” fa il punto sul suo stato di ri-convertito al cattolicesimo, sul viaggio – appunto – che da Berlino (dove nel 1982 fondò la band) lo ha portato a un paesino dell’Appennino tosco-emiliano “in regressione genetica, a casa, la mia, dei miei”. In mezzo, temporalmente e spazialmente, c’è la descrizione di quanto è successo, senza rinnegamenti, ma visto sotto una luce diversa perché “dato il luogo e il tempo, sono stato un giovane estremista sciocco stupido e di buon cuore”. Insomma, uno spottone che i cosiddetti atei devoti e tutti i teo-qualcosa hanno già impacchettato e messo in dispensa.
    Il titolo del libro è azzeccato. Per un motivo: Ferretti non è mai stato un terzista. “Reduce” infatti dà l’idea che ci sia stata una tempesta di quelle definitive e che uno – che si è messo in gioco per davvero – sia stato sbattuto sulla spiaggia con le ossa piuttosto malconce. Nonostante tutto ciò, Ferretti continua a lanciarsi a corpo morto, è forse un eccessivo e fa il cristiano con una fisicità che non ammette scorciatoie. Fosse stato un terzista un po’ furbetto invece, non avrebbe potuto essere reduce di un bel niente.
    Detto questo, che è una cosa più di metodo che di sostanza, molti potrebbero essere tentati di leggere il libro con un occhio rivolto ai vecchi testi dei CCCP e ai vecchi proclami, per cercarci dentro le avvisaglie della conversione. Sbagliato. Certo, in una vecchia intervista del 1988 a “Rockerilla” Ferretti diceva: “Una frangia minoritarissima ha deciso che esisteva un nuovo ordine monacale in giro per le strade: questi erano i punk… questa cosa è estremamente medievale”. E, sfogliando il libro (la copertina è una foto di lui che sembra un frate), ci si trova un’esortazione che suona simile: “Fatevi avanti, monaci e monache, famiglie in carne e sangue d’amore”. L’idea cioè che esista un precipitato di umanità più consapevole che tiene viva la fiammella, una minoranza (bolscevica?) che fa la rivoluzione o che salva. Ma non è che il monaco laico di oggi debba essere per forza contenuto in nuce nel punkettone di allora. Sì, la propensione al definitivo, all’osso delle faccende, c’era anche allora, ma questo filo rosso non può reggere un carico troppo pesante.
    A ben considerare, sono più che altro coloro che vorrebbero insegnare a tutti come si fa ad essere buoni cattolici, a cercare questa continuità tra la nuova vita di Ferretti e il suo vecchio “salmodiare” in “Punk Islam”. Sembrano dire: c’è poco da fare, la cultura occidentale è talmente impastata di cattolicesimo che anche la ribellione è anelito di infinito e di unione con la storia secolare di Santa Romana Chiesa. E si lasciano sfuggire – questi insegnanti – un verso di una bellezza sconcertante (il libro è pieno di cose poetiche) che li ridicolizza un po’: “tremo per un non so che si trova a volte a caso”. Essi – invece – godono molto di più per l’ortodossia di alcune prese di posizione dell’ex front man dei CCCP: l’amore per Ratzinger (“Dio benedica Sua Santità Benedetto XVI”), la necessità di tornare alla messa in latino ecclesiastico, un’idea di politica decisamente premoderna (“ciò che mi incanta nella propaganda anticattolica è l’ossequio pedante untuoso di ciò che è conveniente a contingenza politica, già solo per questo falso”), la dichiarazione d’amore per Israele.
    Ciò che rende questo libro di viaggi una lettura che vale la pena fare è la sincerità e l’umanità, forse un po’ allucinata e narcisista, di Giovanni Lindo Ferretti che, quando va in giro, non si limita a guardare posti e gente dal finestrino del pullman ma scende in strada davvero. E lo fa sempre in prima persona, restando “fedele alla linea anche quando non c’è”, a differenza di tanti che la linea la dettano ma pretendono soltanto la fedeltà altrui.

    26 Gennaio, 2007 - 19:01
  8. Luigi Accattoli

    Ecco una lettura ben informata e anche appassionata del libro di Ferretti. Ma attenta Marta Paola, il libro si intitola “Reduce”, non “Naufrago”! Il “reduce” ne ha viste tante ed è carico di ferite, ma non viene da una tempesta che l’ha sbattuto su una spiaggia: viene da una lotta che egli stesso ha ingaggiato. Tu – mi pare – tendi a leggerlo, quel libretto, come fosse intitolato “Naufrago”. Il “reduce” ha piena responsabilità della lotta che ha condotto. Mi pare che Ferretti guardi così a se stesso, “stanco e confuso”, che ritrova il proprio passato – sia come tempo che come luogo – con un lungo cammino in “regressione genetica”. Saluti, Luigi

    27 Gennaio, 2007 - 18:30
  9. marta paola

    grazie Luigi,
    ma confesso di aver creduto per qualche tempo che il titolo del libro di Giovanni Lindo Ferretti, Reduce, fosse in inglese. Riduci, diminuisci, era un tocco pop che mi piaceva molto e che allo stesso tempo dava il peso di quello che Ferretti era ed è diventato: una personalità in minore, che ha smesso da anni di urlare e di avere la cresta e di essere corrosivo ma che comunque, memore del suo passato, mantiene un legame con il pop e con il suo pubblico e gli concede un titolo che potrebbe essere quello di un disco.
    Invece no. Ferretti ha chiamato il suo libro Reduce, in italiano: una parola che evoca sempre qualcosa di tragico, di funesto.
    In ogni caso, non appena ho capito la lingua usata per il titolo, mi sono posta una domanda: Reduce da che? Dal filosovietismo? Dalla RozzEmilia? Da qualche scossone personale (e sappiamo ne ha avuti tanti)? Secondo quanto è lo stesso Ferretti a suggerire, egli si sente reduce da questo:

    “Cantante dei CCCP – Fedeli alla linea
    in regressione genetica tornavo a casa,
    la mia, dei miei, nel natio borgo
    dove era vissuta sempre la mia gente.
    La disgrazia unita al boom economico,
    miracolo italiano in dopoguerra,
    ci avevano traslocato in città.
    Gli adulti a lavorare, guadagnare col pane
    il companatico e il risparmio.
    I bimbi a crescere, studiare,
    farsi ammaliare nelle città in grande mutamento.
    Tutti ad ammodernare il mondo,
    con zelo, ognuno il suo, negli anni ’60 e ’70.
    Reduce da cotanto immane sforzo,
    confuso e stanco,
    di troppe cose già a noia
    e d’altre che rifuggono il conto,
    mi fermo, a rimirar il cammino e d’intorno.” (p. 15)

    Ferretti l’ha scritto come scriveva i testi delle sue canzoni, anzi, usando spesso e volentieri dei versi di brani dei CCCP e dei CSI per rimpolpare le frasi. Come era nelle canzoni, la scrittura di Ferretti è un atto d’amore nei confronti dell’aggettivazione e una dichiarazione di guerra (da qui forse un’ulteriore motivazione del titolo italiano) all’articolo determinativo.

    A questo punto è legittimo che io ponga di nuovo la domanda: Reduce da che? Tutti i reduci parlano di quello che è stato, della cosa nei confronti della quale si sentono e sono reduci. Ferretti no, o almeno non fino in fondo. Questo libro, era l’occasione per fare il punto della situazione presente e il bilancio di quella passata, e questo era, inoltre, ciò che il titolo italiano prometteva. Ne è venuta fuori un’operazione di riduzione, di cernita e di scarto, dove a essere scartato è tutto quanto Ferretti è stato in un periodo della vita che ha il diritto di rinnegare ma non di dimenticare.

    28 Gennaio, 2007 - 16:37
  10. Luigi Accattoli

    Certo Ferretti non è “reduce” soltanto dall’immane sforzo dell’inurbamento e del semicoatto contributo che si trovò a dare all’impresa collettiva di “anmmodernare il mondo”, come dice nel testo da te citato ma “torna” anche da una sbornia ideologica – soprattutto in questo senso è un “reduce”, che vuol dire non solo “ritornante” ma anche “superstite”. Nel suo caso, poi, io credo che quella molteplice parola foglia dire soprattutto “rimpatriante”. Perchè il reduce tende a dedicarsi al medicamento delle ferite, egli invece se le tiene – le ferite – e guarda avanti, deciso ad avere di nuovo “il cielo in faccia”. Ci informa che dopo tanto “stordimento”, durato un ventennio, trovandosi “non contento di sè” è tornato a casa e ora si scopre “sereno, in pace nella famiglia e con la storia”. Questa riscoperta che “la vita può ancora essere bella” ce lo avvicina e lo rende interessante. Fosse fermo a medicare le ferite, io credo non staremmo qui a parlarne.

    28 Gennaio, 2007 - 17:09

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