La Rete è scimmia della vita

La Rete è scimmia della vita e la vita imita la Rete. Motti che mi sono venuti vedendo stamane a piazza Venezia il vigile sul suo podio fare gesti leggeri con le dita, più che con le mani, per fermare automobili e persone, o per invitarle ad andare. Con le dita come su un telefonino multimediale, mentre una volta il pizzardone aveva i gesti di un meccanico all’officina.

10 Comments

  1. Una persona intelligente (in questo caso Luigi) nota quello che gli altri non notano.

    1 Luglio, 2014 - 21:57
  2. Clodine

    Bisognerebbe essere ciechi per non vedere, cara Antonella, la “malattia”che ha colpito tutti , ma proprio tutti: grandi e piccoli, vecchi e giovani, comunitari ed extra: bianchi neri gialli e arancioni; benestanti o con le pezze al culo, intellettuali e contadini, non importa ma…lo smartphon , più necessario della pagnotta, insostituibile arcano che tutto compensa è diventata la “creatura” più amata, più ambita e venerata sempre alla ricerca dell’ultimo nato!
    Non c’è bipede vertebrato in grado di assumere posizione eretta che non ne possegga uno, o più di uno. Sia che si è seduti in treno, o all’impiedi dentro i bus foss’anche accalcati come sardine tanto da formare un unico ammasso umano che non emerga mano o dito li, a smanettare l’amato aggeggio. Una febbre endemica che supera di gran lunga l’antica peste! Mi fa orrore questo attaccamento, questa finta libertà, l’ebbrezza di potere generata dall’illusione di andare in bilocazione in tempo reale. Che diavoleria a ben pensarci…
    Oh come vorrei che un grande corto circuito, un black out planetario interrompa di colpo tutte connessioni così che ciascuno resti solo con le uniche che possiede e forse non rammenta più di avere: le proprie. Così ben congegnate dal buon Dio, le uniche che rendano liberi per davvero. Come vorrei che ciascuno resti in compagnia della propria zucca e del tesoro che avrà messo dentro, e se questo avrà il sapore del “L “infinito”, di certo, non sarà mai solo.

    2 Luglio, 2014 - 6:51
  3. Clodine

    Hai ragione Luigi: la rete sbertuccia la vita, purtroppo, e quando ci si renderà conto …temo che sarà troppo tardi !

    2 Luglio, 2014 - 7:05
  4. Luigi Franti

    Ringrazio Luigi, perché mi sono accorto, leggendolo, che non avrei saputo come denominare in modo dignitoso e civile uno “smartphone” e «telefonino multimediale» mi sembra una proposta accettabile (la traduzione “telefonino intelligente” sarebbe quasi una bestemmia. Semmai si potrebbe dire “telefonino più intelligente del suo proprietario” …). Otto più.

    Anche “pizzardone” mi ha fatto sorridere: è una parola che non sentivo da un po’ di tempo (mi evoca certe scene di film anni cinquanta, con Sordi o Fabrizi, un’Italia che mi intenerisce sempre). Da noi non si è mai usata: nel nostro dialetto i vigili urbani si chiamano “adili”, che viene dritto dritto dagli “aediles” romani (notevolmente degradati nel rango 🙂 ).

    2 Luglio, 2014 - 9:22
  5. Luigi Franti

    Sul malcostume dice bene Clodine: la cosa che a me fa più impressione è che nessuno più guarda nessuno. Tutti hanno la faccia china sul loro aggeggio.
    Credevamo che «e mira ed è mirata, e in cor s’allegra» fosse un verso immortale, e invece … chissà.
    La gioventù del loco quando lascia le case e per le vie si spande ha in mano l’aggeggio e guarda quello.

    2 Luglio, 2014 - 9:27
  6. Leopoldo Calò

    Franti, lei dovrebbe occuparsi dell’altrui uso della lingua con maggiore imparzialità.

    2 Luglio, 2014 - 10:18
  7. Luigi Franti

    “Pizzardone” merita forse un’altra osservazione: la parola (che deriva, come ho appreso in questa circostanza, da “pizzarda”, sinonimo a me finora sconosciuto di “feluca”, che era in origine il copricapo di queste guardie municipali) ha tutta quella sapida e pur bonaria ironia che il popolo volentieri manifestava, quando aveva una sua lingua, del tutto diversa e alternativa a quella burocratica del potere. A dire il vero, una volta sia il principe che il popolo sapevano parlare meglio: adesso il principe (lo stato, chiamatelo come volete) parla in un’orribile langue de bois e il popolo è muto perché non c’è più.
    Il segno del degrado lo si vede nel fatto che la gente accetta di chiamare le cose col nome che gli dà il potere.
    La stessa cosa è successa per i nomi delle strade: quando era il popolo a decidere, ne è venuta fuori la stupenda toponomastica delle città italiane. Un’amica qualche tempo fa mia ha spiegato che via de’ Malcontenti a Firenze si chiama così perché è la strada che facevano i condannati per andare dal Bargello al luogo dell’esecuzione. Oggi i poveretti dovrebbero passare, che ne so, per via Aldo Moro o viale Palmiro Togliatti.

    2 Luglio, 2014 - 12:18
  8. discepolo

    NOMINA SUNT CONSEQUENTIA RERUM dice Dante nella Vita Nova
    ” I nomi sono la conseguenza delle cose”

    E dunque se l’infermiere non si chiama più infermiere ma “operatore sanitario” ciò è conseguenza del fatto che non è più come il vecchio infermiere ma un personaggio del tutto diverso, e così se lo spazzino si chiama “operatore ecologico” ciò deriva dal fatto che non è più il vecchio spazzino ma un personaggio del tutto diverso, e così via.. se le puttane si chiamano “operatrici del sesso” e i padri e le madri sono “genitore 1 e 2 ” e gli amanti su cui sono stati scritti fiumi di poesie sono oggi solo i “partners”,ciò è CONSEGUENZA di come sono diventate le cose. Persino i ciechi non son più i vecchi ciechi ma i moderni non-vedenti. e gli sciancati sono i “disabili”
    il nome cambia perchè cambia la realtà
    PRIMA viene la realtà e poi i nomi.. e i nomi sono conseguenza della realtà
    S e prima le vie e le piazze si chiamavano Piazza Giuseppe Verdi o Corso Mazzini, o e oggi invece si chiamano Via ALLENDE o Piazza Resistenza Partigiana ciò è conseguenza della realtà.

    2 Luglio, 2014 - 19:26
  9. Luigi Franti

    Lei è medico, discepolo, e si muove (o meglio è portato a credere di muoversi) tra le cose. Io penso invece che noi uomini ci muoviamo sempre tra le parole, anche quando crediamo di aver a che fare con le cose. Con questo non voglio dar ragione a Eco (e Narciso) e concludere che “nomina nuda tenemus”. Le cose esistono, ma tra noi e le cose ci son sempre le parole (che sono tutt’altro che conseguenze delle cose: infatti le inventiamo noi). Del resto, non fate così anche voi medici? Tra voi e i corpi dei pazienti mettete le vostre parole: non è questo, in fondo, fare la diagnosi?

    2 Luglio, 2014 - 21:20
  10. Maurelio

    Riporto una sintesi trovata su internet:
    Il pizzardone (pizzardóne in romanesco, pizzardó nei dialetti marchigiani centrali, pizardó in anconitano) è il nome con cui si identificano i vigili urbani in diverse zone dell’Italia centrale. Nel dialetto milanese corrisponde alla parola ghisa, nel dialetto torinese alla parola civich, nel dialetto genovese alla parola cantunè e nel dialetto triestino alla parola tubo, dalla tipica forma del cappello.

    Chi usa più queste espressioni?
    L’ultima volta che ho usato un’espressione del genere con mio figlio non ha capito a chi mi stavo riferendo…

    3 Luglio, 2014 - 9:21

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