Per cinque volte ho avuto figli di tre anni, per quattro volte ne ho avuti di 17 e 18 anni e dunque il fattaccio di Bormio mi attanaglia a tutte le età. Tre anni li aveva Renzo, il cucciolo d’uomo travolto e ucciso mentre sgambettava sulla bici. “Qui possiamo stare tranquilli” aveva detto la mamma. E lui altro che tranquillo, era felice della bici e di farsi vedere dalla sorella più grande e sbandava per superarla. Quattro dei miei figli sono passati per i 17 e i 18 anni, una ci deve ancora arrivare. Ma già avverto la piena dei sentimenti quando potrà dire a un’amica più grande: “Sali che ti porto a casa”. Non sapendo ancora che la vita è piena di trabocchetti, bella sì, bellissima ma storta e fragile. Magari l’altra osserverà: “Ti senti sicura?” E lei magari risponderà: “Prendiamo la pista ciclabile e lì possiamo stare tranquilli”. Era cattiva la notizia della morte di Renzo ma è più cattiva per me quest’altra notizia dei due adolescenti che credevano di fare una cosa quasi innocente e hanno travolto il bimbo e la sua felicità senza neanche vederli. E’ come se di colpo e insieme io abbia 3 anni, 17 e 18 e viva a Bormio e mi trovi a un tempo su quella bici e su quella moto.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
I ragazzi in cura all’Istituto dei tumori di Milano sono in piazza San Pietro all’udienza del papa che li saluta – “cari piccoli amici” – e quelli saltano e gridano, gioiosi per un momento. Mi si confonde il cuore. Gioisco con loro.
Domenica andrò a votare per Rosy Bindi e su questo non dico di più: una parola è troppo e due sono poche. Ma vedi post del 10 febbraio, 4 aprile, 20 maggio.
Pazzerello seduto sulla scala di Trinità dei Monti tiene le due mani sugli occhi e sembra piangere quieto. Ma poi le toglie e si stupisce di ogni vista, indica con la mano una donna, un cavallo che tira la carrozzella, il cielo – e ride ride. Un minuto dopo ricopre gli occhi e piange mentre prepara una nuova risata. Che arriva puntuale, con nuovi gesti chiassosi. Non finirei di guardarlo. Mi pare abbia trovato il giusto ritmo per far fronte alla meraviglia e allo scandalo della vita.
Che bello il serpentone con la bandiera della pace che correva ieri sera intorno alla fontana di Nicola e Giovanni Pisano nella piazza centrale di Perugia. Lo portavano gli scouts a braccia alzate. Io ero là per una tavola rotonda convocata dalle Acli, con la partecipazione di Focsiv e Agesci, per i quarant’anni della Populorum progressio. Nel mio intervento ho segnalato ai marciatori le parole “urti di civiltà” (paragrafo 10) e “dialogo di civiltà” (paragrafo 73) di incredibile anticipo sui tempi. In finale ho dedicato loro queste parole sapienti: “Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (paragrafo 66).
Tenere pulita Roma è un’impresa che neanche Ercole! Salgo su bus 71 fermo al capolinea di piazza San Silvestro e lo trovo pieno dei giornali usa e getta abbandonati dai passeggeri (vedi post del 17 settembre). Sono le 20,30 e ci sono le carte dell’intera giornata. E’ troppo immaginare che i concittadini gettino il giornale gratuito nei cestini. Ed è utopia supporre che gli autisti che fumano intorno al box dell’Atac mentre attendono l’ora di partenza possano raccogliere quella carta. E allora lo faccio io. Lascio la mia borsa portafogli su un sedile ancora libero e faccio il giro del bus raccogliendo i fogli. Con garbo metropolitano i passeggeri si spostano per lasciarmi prendere i giornali che hanno sotto i piedi. Nessuno dice nulla, tranne una giovane signora che domanda incredula: “Lo fa lei?” Allargo le braccia cariche di fogli nel gesto di chi dice: meglio io che nessuno. Un ultimo passeggero, circa la mia età, racoglie i giornali che sono accanto a lui, infilati tra la parete del bus e il sedile e me li porge. Gli dico un bel “grazie”. Scendo, infilo i giornali in un cestino, torno dentro, cavo dalla borsa una salviettina rinfrescante e pulisco le mani. “Che sporchi” fa un signore seduto accanto a me: “Che zozzoni!”
«Io sono un missionario della foresta, non sono un teologo, non sono nessuno e voglio tornare nella mia parrocchia. Voglio essere un uomo normale, ho il diritto di essere sporco»: così aveva parlato ai confratelli gesuiti e ai giornalisti il missionario polacco Adam Kozlowiecki al momento della nomina a cardinale nel 1998. Il padre Adam è morto il 28 settembre in Zambia all’età di 96 anni. Cinque anni passati nei campi di concentramento nazisti e poi tanti decenni in sperduti villaggi africani. Fatto cardinale da Giovanni Paolo era voluto tornare laggiù, dov’era viceparroco nella foresta a 40 chilometri dal primo posto telefonico pubblico. Di quelle parole da pesce fuor d’acqua, pronunciate al momento di indossare la porpora, mi è stata testimone diretta la collega dell’Ansa Elisa Pinna che l’aveva intervistato alla vigilia del concistoro. – Altro cardinale africano – stavolta non d’adozione ma nativo – che ha colpito tutti con il suo spirito di nascondimento è Bernardin Gantin, che dopo 25 anni passati nella Curia romana, al compimento degli 80 rinunciò senza esservi tenuto alla carica di “decano” del collegio dei cardinali (il suo posto fu preso da Ratzinger) e tornò nel suo Benin dove vive tutt’ora.
Riprendo la mia passeggiata tra le scritte del Ponte Milvio (vedi post del 28 settembre). Sto camminando verso il Foro italico e dal parapetto di destra trascrivo un ultimo giocoso graffito: “Sei proprio la mia toporagna”. Toporagna? Mi colpisce la scelta di questo animaletto notturno dal muso aguzzo per fare le fusa ed eccomi a spulciare il notes alla ricerca dei nomignoli più insoliti già incontrati. Tegolino mio, panzerottina mia: e qui siamo nel mangereccio. Tigrotta e tigrino fanno una coppia felicemente felina. Ciccino, kikkotto, pisola (che sarà magari una che dorme deliziosamente) e pagnottella (forse una rotondetta). Morbidone + patata, patata + piccolino, riccio, coniglietto, diavoletta, micia+ patato, pikkia.
La buona frequenza di patato e patata mi ha ricordato che una volta – a Ferrara – avevo trovato un appagato “Patatonzola ti amo. by patatonzolo” (vedi post del 13 novembre 2006). E’ evidente l’indole mammona dei nostri ragazzi: una si sente chiamare “patata” dalla mamma fino ai 15 anni e quando ne ha 16 chiama “patato” il ragazzo del primo bacio.
Il nomignolo più sorprendente che ho trovato sul ponte è questo: “Non ti lascerò mai puzzona mia!” Ma per lo più si va nel risaputo: “Valentina la pecorina mia per sempre. Andrea”. Oppure il nomignolo è per se stessi, anche se il motivo della felicità è l’altra che delicatamente resta innominata: “Io morbidone sono l’uomo più felice del mondo”.
L’immagine più viva di Piero Marini, cerimoniere papale uscente: la mossa decisa con cui afferra il braccio di papa Wojtyla e lo sostiene in un momento in cui sembra cadere in avanti, nella Cappella Sistina, domenica 11 gennaio 1998. “Ci eravamo fermati subito dopo l’ingresso, aspettando che il canto d’accoglienza finisse. Mi sono accorto che vacillava e sono intervenuto”: l’uomo è sobrio e parlò così ai giornalisti. L’opera che credo resterà di questo “maestro” delle celebrazioni: le liturgie ecumeniche con cui ha aiutato i papi Giovanni Paolo e Benedetto ad avventurarsi nel campo inesplorato della preghiera tra Chiese sorelle. Bella l’apertura a sei mani della “porta santa” del Grande Giubileo a San Paolo fuori le Mura il 18 gennaio dell’anno duemila. Indimenticabili gli incontri liturgici nella Basilica vaticana e a Istanbul tra i due papi e i patriarchi di Costantinopoli.
Conosco Carlo Di Cicco da 32 anni e grande è stata la mia meraviglia – almeno quanto la contentezza – quando ho saputo che il papa lo nominava vicedirettore dell’Osservatore romano. Da altrettanti anni conosco Giovanni Maria Vian, il nuovo direttore dell’Osservatore ma in lui c’erano tutti i presupposti per quel ruolo: prestigio di studioso, da sempre di casa in Vaticano dove avevano lavorato il nonno e il papà (Nello Vian, delizioso gentiluomo del quale ho un ricordo carissimo) e dove lavora un fratello. Ma Di Cicco no, viene dalla campagna, ha badato alle pecore da piccolo, ha fatto l’obiettore di coscienza ed è stato in carcere per questo. E’ nato povero e ama la povertà in cui è nato. Ha la mia età, abbiamo fatto insieme tante vacanze in Abruzzo, in Alto Adige e in Valtellina. I suoi due figli hanno l’età dei miei più grandi. Insieme siamo andati in pellegrinagguio familiare a Santiago de Compostela nel 1986 con un pulmino preso in prestito da parenti. In un periodo difficile della mia vita familiare egli e la moglie Flavia hanno tenuto a lungo i miei figli con loro. Siamo insomma come fratelli, stessa idea del giornalismo, stessa allergia ai ricevimenti. Carlo non ama la cravatta, non gli piacciono i piatti elaborati. E’ un appassionato della montagna. Ha sempre difeso chi paga di persona, chi aiuta il prossimo. Ha subito preso passione per papa Benedetto al quale ha dedicato un “fresco libro” (così l’avevo presentato in questo blog il 25 giugno 2006) scritto con intelletto d’amore: Ratzinger. Benedetto XVI e le conseguenze dell’amore (Edizioni Memori 2006). Per un mio incontro con lui il giorno del funerale in piazza di Piergiorgio Welby vedi un post del 24 dicembre 2006. A portarlo alla vicedirezione dell’OR è stato il fatto che aveva studiato dai Salesiani e quindi era conosciuto dal cardinale Bertone. Egli ora è come un contadino in Curia, uno spiazzamento che immagino fecondo. Una sorpresa della sorte. Lo abbraccio con entusiasmo.
3 Commenti