Il blog di Luigi Accattoli Posts

Ristrutturano la Stazione Centrale di Milano e spero che non “mi tocchino” la Sala d’attesa. Tra le passioni che coltivo come utente professionale delle Ferrovie dello Stato (vedi post del 19 marzo) c’è la sosta in quella sala monumentale con i colombi che l’attraversano a volo, la fontana sul fondo degna dell’ambulacro di una moschea, marmi e tendaggi simili a quelli degli androni di Montecitorio, pavimento a lastre colorate come in una cattedrale. Sui suoi pancali stamattina c’era una coppia di zingari che dormivano con le teste appoggiate ai braccioli, avvolti in coperte caldose. Sembravano Gelsomina e Zampanò.

Nella lunga “premessa” al volume su Gesù (vedi post del 18 e 24 aprile) papa Benedetto afferma che la “crocifissione” di quel rabbi ebreo e la sua “efficacia” – cioè la nascita di un culto che lo presenta come “uguale a Dio”, già vent’anni dopo la morte – si spiegano “solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente le speranze e le aspettative dell’epoca”. Più che sull’ipotetica “azione di formazioni comunitarie anonime” che ne avrebbero rielaborato la memoria converrà dunque scommettere sulla dimensione sorprendente del suo insegnamento e degli eventi che ne avevano accompagnato la fine. Ed ecco il passaggio chiave della “premessa”:

Non è più logico, anche dal punto di vista storico, che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù abbia fatto nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio? (18)

Ma papa Ratzinger pur prendendo le distanze così nettamente dal presupposto ideologico radicale del metodo storico-critico di interpretazione delle Scritture – che gioca tutto sulla rielaborazione comunitaria della memoria di Gesù – riconosce il suo debito conoscitivo nei confronti di quel metodo:

Naturalmente do per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo (18)

Questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e continua a darci (19)
Io ho solo cercato, al di là della mera interpretazione storico-critica, di applicare i nuovi criteri metodologici, che ci consentono un’interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede, senza con ciò volere e potere per nulla rinunciare alla serietà storica (19)

In quell’affermazione sull’attendibilità storica del personaggio Gesù da cui dipende la “testimonianza” dei suoi discepoli e in questa disponibilità a un utilizzo critico e libero della moderna esegesi, io ritrovo il nocciolo di quanto aveva proposto il cardinale Carlo Maria Martini in una lectio sulla “figura di Gesù” tenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano nella Quaresima del 1997, in una serie di incontri che ebbero a protagonista anche il cardinale Ratzinger. “Si deve cercare la ragione sufficiente per il sorgere di una testimonianza, soprattutto se vicina ai fatti”, argomentava Martini con riferimento ai “vent’anni” di cui parla Ratzinger, che stanno tra la morte di Gesù e la prima testimonianza di una fede comunitaria nella “natura divina” di Cristo come è attestata dalla lettera di Paolo ai Filippesi (2, 6-11) . “E se tale ragione – continuava Martini – non è data in modo sufficiente né dall’ipotesi della creatività posteriore, né da quella del fanatismo, né da quella dell’inganno, mentre al contrario la testimonianza bene si adatta al suo ambiente originario, presenta caratteristiche di discontinuità con esso così da apparire inedita e sorgiva, allora l’ipotesi seria che rimane è che questa testimonianza deriva da un fatto reale e vi corrisponde”. Abbiamo insomma quello che Ratzinger chiama “qualcosa di straordinario”, superante “speranze e aspettative”; e una “grandezza” che si colloca all’inizio. Abbiamo molto discusso in questo blog sulla diversità tra il cardinale biblista e il papa teologo, ma c’è un punto – quello della lettura dei Vangeli – in cui i due si incontrano e si abbracciano (vedi post del 10 aprile).

Sono in campagna da amici a Cervaro (Frosinone) e stasera ho visto le lucciole sul grano in erba: non mi era mai capitato. Le avevo sempre viste sul grano maturo, nelle campagne delle Marche dove sono nato e del Lazio dove sono poi capitato. Ero dunque abituato ad attenderle a fine maggio sul Tirreno e a metà  giugno dalle parti dell’Adriatico, ma mai a fine aprile. E sono già tante e ammiccanti come le altre, svolanti fino all’orto sotto casa. Per niente turbate da Musetta che abbaia a ognuna tutta seria scattando con la testa di qua e di là.

“Deborah ti amo – perdonami”: scritto sull’edificio di ingresso alla stazione Quintiliani della Metro B di Roma. Immagino che lei abbia subito una pubblica offesa e lui voglia farle una richiesta pubblica di perdono. O semplicemente lei si nega al telefono e lui scrive sul muro. Per un altro caso di un perdono invocato con scritta pubblica vedi il post del 12 ottobre scorso: “Perdonalo Claudia!”.

Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione (20)

Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portare avanti il libro (20)

Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi, mi sono ora deciso a pubblicare, come prima parte del libro, i primi dieci capitoli (…) Con la seconda parte spero di poter offrire anche il capitolo sui racconti dell’infanzia che, per ora, ho rimandato, perché mi sembrava soprattutto urgente presentare la figura e il messaggio di Gesù nella sua attività pubblica, al fine di favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con lui (20)

Tre sono le emozioni che provo leggendo il libro del papa su Gesù: una lettura che costituisce come una visita al laboratorio del papa teologo, egli ha fretta di dire il più importante, ma si impegna a dare anche il resto, che completerà quando e come potrà; in questo approccio egli si presenta in abito da lavoro, senza guardie svizzere e senza “sacre congregazioni” che l’assistono, lo vediamo che si alza dalla scrivania, va a cercare il libro da consultare o da citare, ci parla da uomo a uomo, ci invita addirittura a contraddirlo, se ne sentiamo il bisogno; ci comunica il sentimento di un’urgenza, segnalando che a questo lavoro sta dedicando – da quando è papa – “tutti i momenti liberi”. Leggendo queste righe capiamo la scioltezza e quasi la fretta con cui si muove quando sale i gradoni del sagrato di San Pietro, o quando passa tra la folla dell’Aula Nervi, come se stesse pensando che se farà presto potrà scrivere ancora – entro notte – una pagina del secondo volume.

Un libro che aveva iniziato da cardinale – nell’estate del 2004 – e che ha continuato da papa porta naturalmente i due nomi: “Joseph Ratzinger – Benedetto XVI”. Ma in quella doppia firma c’è di più di questa referenza fattuale: c’è l’idea che il papa oggi può e deve comunicare con i cristiani e con il mondo anche al di fuori del momento magisteriale, nell’ampiezza e nella pienezza della sua testimonianza di credente. Il magistero papale ha delle prudenze che impedirebbero una squadernata considerazione della verità storica e teologica dei Vangeli. Qui il papa scende dalla cattedra e cammina tra i banchi, come fanno i maestri a scuola. Cerca insieme ai suoi interlocutori, si fa loro compagno di strada.

Mi affascinava Giovanni Paolo che non rinunciava a essere Karol Wojtyla e scriveva “a mio parere” nelle encicliche e rivendicava il diritto del papa a dire “qualche volta parole azzardate”. Mi affascina due volte Benedetto che segue quel cammino di libertà e l’utilizza per la più alta delle missioni cui è chiamato un cristiano: dire per intero, se possibile, il suo sentimento – apprendimento – insegnamento a proposito della figura di Gesù.

Un nipote di nome Luigi si laurea alla facoltà di Scienze umanistiche della Sapienza con lode, sulle leggi nostrane riguardanti il cinema. Si festeggia con crostate e spumante sul prato che è dietro il rettorato. La tesi ha una dedica che ammirato trascrivo:

Dedico questo lavoro alla mia famiglia
tutta. In ogni caso,
origine.
Mia madre, sorgente di vita e d’infinito
amore.
Mio padre, scintilla prima della mia
curiosità.
Mia sorella, sentiero sicuro, casa
ovunque, stima intrecciata.

Inizio da oggi a trattare del libro del papa su Gesù (vedi post del 18 aprile), proponendomi di dedicargli almeno tanti post quanti sono i capitoli. Inizio dalla “premessa”. Riporto in corsivo le frasi più vive e poi metto qualche commento. Seguo questo metodo per facilitare la partecipazione di chi ancora non ha letto il libro. Segno tra parentesi la pagina da cui ho preso la citazione, in modo che chi vuole può ampliare la lettura.

Io ho fiducia nei Vangeli (17)

Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio” (18)

Io ritengo che proprio questo Gesù – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente (18)

Anch’io ho fiducia nei Vangeli e quando non capisco rileggo, interrogo chi ne sa di più, attendo di capire. Tendo a imparare a memoria le parole di Gesù riportare dai Vangeli: spero di riuscire a memorizzarle per intero entro l’ultimo giorno. Ripeto tra me quelle che non capisco, avendo fiducia che se continuo a bussare mi verrà aperto.

Che la figura di Gesù che troviamo nei Vangeli sia convincente è forse l’idea più chiara che io abbia mai avuto. Non conosco figura più “sensata e convincente”. Penso che se la Chiesa impegnasse tutte le sue energie a presentare il Gesù dei Vangeli al mondo d’oggi, riprenderebbero le conversioni. Qui da noi, intendo dire. Perché le conversioni a Gesù ci sono ancora e tante, ma lontano da qui.

Nella mia ingenuità sogno di dedicarmi alla presentazione della figura di Gesù. Bisognerebbe trovare, forse, un modo conviviale di farlo: si offre una sobria cena a una folla di curiosi e si racconta il Vangelo. Un po’ come avvenne quel pomeriggio sul lago di Tiberiade, che sboccò nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Io sono convinto che il metodo risulterebbe praticabile. La Chiesa cattolica in Italia ha tanti mezzi, perché non prova a investire qualcosa in una tale iniziativa?

“A volte prendevo lo scooter e me ne andavo in campagna da sola. Mi mettevo sotto un albero e aspettavo che quel senso di profonda solitudine passasse”: così parla Romina, una delle 41 claustrali intervistate da Espedita Fisher nel volume Clausura. Le nuove testimoni dell’assoluto pubblicato da Castelvecchi (260 pagine, 16 euro). Alina, Esmeralda, Chiara, Lucy, Michelle, Alba, Bianca, Irina sono alcune altre, da me scelte tra i nomi che danno luce.  

“Non comando nè sarò comandato”: scritto su un murale antimilitarista – si vedono elmetti e canne di fucile – in via Giuliano l’Apostata, a Roma

Dio non tace ma il suo è un “silenzioso parlarci”. E’ necessario il dono di una particolare “sensibilità interiore” che ci renda “capaci di udire e vedere i deboli segnali che Dio manda nel mondo”. Sono riflessioni che trovo alle pagine 117 e 116 del volume del papa su Gesù di Nazaret. A pagina 56 egli svolge una riflessione più ampia sulla fioca parola di Dio, invitandoci ad accettarne il mistero, che possiamo penetrare solo con lo “slancio del cuore” e come uscendo da noi stessi: “Naturalmente ci si può chiedere perchè Dio non abbia creato un mondo in cui la sua presenza fosse più manifesta; perchè Cristo non abbia lasciato dietro di sè un ben altro splendore della sua presenza, che colpisse chiunque in modo irresistibile. Questo è il mistero di Dio e dell’uomo, che non possiamo penetrare. Noi viviamo in questo mondo nel quale appunto Dio non ha l’evidenza di una cosa che si possa toccare con mano, ma può essere cercato e trovato solo attraverso lo slancio del cuore, l’esodo dall’Egitto”. Ho appena terminato la lettura del volume e questi richiami all’accettazione del mistero sono le righe che più mi hanno segnato. Il papa ci invita a considerare la condizione indifesa in cui i cristiani si trovano nel mondo. Più indifesa di quanto non vorremmo. Privi di qualsiasi prova provata, chiamati a gettare le reti sulla parola del Signore, che giunge a noi – appunto – come un “debole segnale”.