Perchè papa Benedetto parla di “grandezza della fede”

Ecco il brano della lettera di Ignazio ai Romani da cui Benedetto XVI ha preso l’espressione che citavo al post precedente  ‘Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza’: “Quando infierisce l’odio del mondo nelle persecuzioni, la fede cristiana non è più effetto di persuasione ottenuta con parole dagli uomini, essa allora è opera della grandezza divina”. Sta a dire che l’adesione alla fede in tempo di persecuzione è più manifestamente che mai un dono che viene da Dio. Penso che possiamo accostare la nostra epoca a quella delle persecuzioni, almeno nel senso che anche oggi, in mezzo alle mille avversità culturali che sappiamo, gli uomini possono essere attirati alla fede cristiana solo da una forte esperienza dell’amore di Dio e non certo dalle parole dei credenti. Ognuno può misurare la forza di questa affermazione patristica, attualizzata da papa Benedetto, riflettendo sulle conversazioni in materia di cristianesimo che gli capita di fare quotidianamente, con i colleghi, gli amici, i figli. Certo non è immaginabile che siano le nostre povere parole, oggi, a convertire qualcuno!

6 Comments

  1. Forse più i fatti che le parole possono aiutare alla conversione, caro Luigi. Meglio cristiani nei fatti che con dichiarazioni programmatiche.
    Ma qual è la grandezza di cui parla S. Paolo? Forse il ripetersi quotidiano continuo e coordinato di piccoli gesti che, sommati, fanno uno stile.
    Un abbraccio a tutti voi.

    20 Novembre, 2006 - 18:35
  2. Francesco73

    Ho visto che negli ambienti “lontani”, ma lontani per conformismo, per pregiudizio superficiale, per appartenenza culturale di massima ad altre storie, ciò che costituisce una provocazione positiva e alla fine – in qualche misura – efficace, è l'”inquietudine” dei cristiani.
    La sensazione, cioè, per cui il cattolico che ti sta di fronte non è uno che ti ripete a memoria la lezione, che si irrigidisce per ordine di scuderia, che ti sbatte in faccia il suo “pensare positivo” ,che è poi solo una tragica riduzione della virtù della speranza.
    Ciò che colpisce è la lotta interiore del cristiano, la sua fiducia che però si bilancia e si sconta sempre con quello che Moro chiamava il “principio di non appagamento”, il non darsi pace finchè il proprio cuore non riposi in Dio e il mondo non abbia conosciuto la stessa possibilità.
    Se e quando i non credenti, o gli indifferenti, percepiscono tale tensione, e tale sofferenza sorridente, allora il discorso cristiano suscita una qualche curiosità anche grazie alla condotta umana.
    E questa curiosità, soprattutto oggi, è la chiave di conoscenza del Vangelo, non ve ne sono più molte altre.

    20 Novembre, 2006 - 18:59
  3. Luigi Accattoli

    Tonizzo, fai attenzione: la citazione è dalla lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani (e non di Paolo ai Romani). La “grandezza” di cui parla Ignazio non è nostra, ma di Dio (“divina”, dice la traduzione che ho utilizzato). Dai brani del papa che avevo citato al post precedente appare chiaro che quella grandezza noi la sperimentiamo nella preghiera, ma ovviamente siamo chiamati a mostrarla agli uomini attraverso la nostra vita, tutta la vita, azioni e parole insieme. Qui può valere la tua intuizione sul ripetersi continuo e coordinato di piccoli gesti che infine fanno uno stile. – Io trovo affascinante la proposta del papa, ma essa è aperta, non arriva alle determinazioni pratiche. Chiede uno sviluppo e un’applicazione che egli lascia a noi. A ciascuno nel suo specifico e alla comunità nel suo insieme. Davvero c’è da meditare. Luigi

    20 Novembre, 2006 - 19:07
  4. Mah, Frank, posso dirti che se tu dialoghi con gli atei o i non credenti, vedi che alla fine ti dicono: “Ma davvero è così? Tu ci credi veramente?”. Mettiti a parlare di dottrina sociale, difesa del debole… altro che politica e fesserie!

    Penso a padre Vajont. Era un sacerdote della Cattolica che insegnava lì ed era di Longarone, aveva perso quasi tutta la famiglia nella sciagura del 9 ottobre ’63. Ecco, aveva dentro un senso di pace, nonostante avesse un tumore che stava combattendo, mai visto in altre persone. Non è morto sopportando, è morto sorridendo. Ed era giovane, lo ricordo spesso e lo prego anche.
    Se non è testimonianza questa…

    20 Novembre, 2006 - 19:09
  5. Scusa Luigi, ma io oggi sono un po’ stordito.

    20 Novembre, 2006 - 19:10
  6. Francesco73

    Certo Tonizzo, ma queste sono testimonianze eroiche, e l’eroismo della sopportazione e del “martirio” non è sempre per e da tutti…
    Direi che – se non sempre può darsi l’eroismo – quasi mai dovrebbe darsi il perbenismo come esito del credere, una certa “ferialità” che sembra coincidere solo col fare le cose per bene e non far male agli altri.
    Sarebbe molto anche solo questo, certo, ma forse per questo non è nemmeno necessario il cristianesimo. Che, proprio per la sua grandezza, introduce nel nostro cuore qualcosa di “implausibile”, che ci avvince, ci attrae, ci respinge, ci scarta, ci fa soffrire e ci fa volare insieme.
    Questa “inquietudine” cristiana, e il coraggio di ammettere onestamente che noi la proviamo, e viviamo nelle tante cose della vita e della storia, è quello che può attrarre, incuiriosire, far conoscere, testimoniare.

    20 Novembre, 2006 - 19:33

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