Mese: <span>Ottobre 2007</span>

Pazzerello seduto sulla scala di Trinità dei Monti tiene le due mani sugli occhi e sembra piangere quieto. Ma poi le toglie e si stupisce di ogni vista, indica con la mano una donna, un cavallo che tira la carrozzella, il cielo – e ride ride. Un minuto dopo ricopre gli occhi e piange mentre prepara una nuova risata. Che arriva puntuale, con nuovi gesti chiassosi. Non finirei di guardarlo. Mi pare abbia trovato il giusto ritmo per far fronte alla meraviglia e allo scandalo della vita.

Che bello il serpentone con la bandiera della pace che correva ieri sera intorno alla fontana di Nicola e Giovanni Pisano nella piazza centrale di Perugia. Lo portavano gli scouts a braccia alzate. Io ero là per una tavola rotonda convocata dalle Acli, con la partecipazione di Focsiv e Agesci, per i quarant’anni della Populorum progressio. Nel mio intervento ho segnalato ai marciatori le parole “urti di civiltà” (paragrafo 10) e “dialogo di civiltà” (paragrafo 73) di incredibile anticipo sui tempi. In finale ho dedicato loro queste parole sapienti: “Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” (paragrafo 66).

Tenere pulita Roma è un’impresa che neanche Ercole! Salgo su bus 71 fermo al capolinea di piazza San Silvestro e lo trovo pieno dei giornali usa e getta abbandonati dai passeggeri (vedi post del 17 settembre). Sono le 20,30 e ci sono le carte dell’intera giornata. E’ troppo immaginare che i concittadini gettino il giornale gratuito nei cestini. Ed è utopia supporre che gli autisti che fumano intorno al box dell’Atac mentre attendono l’ora di partenza possano raccogliere quella carta. E allora lo faccio io. Lascio la mia borsa portafogli su un sedile ancora libero e faccio il giro del bus raccogliendo i fogli. Con garbo metropolitano i passeggeri si spostano per lasciarmi prendere i giornali che hanno sotto i piedi. Nessuno dice nulla, tranne una giovane signora che domanda incredula: “Lo fa lei?” Allargo le braccia cariche di fogli nel gesto di chi dice: meglio io che nessuno. Un ultimo passeggero, circa la mia età, racoglie i giornali che sono accanto a lui, infilati tra la parete del bus e il sedile e me li porge. Gli dico un bel “grazie”. Scendo, infilo i giornali in un cestino, torno dentro, cavo dalla borsa una salviettina rinfrescante e pulisco le mani. “Che sporchi” fa un signore seduto accanto a me: “Che zozzoni!”

«Io sono un missionario della foresta, non sono un teologo, non sono nessuno e voglio tornare nella mia parrocchia. Voglio essere un uomo normale, ho il diritto di essere sporco»: così aveva parlato ai confratelli gesuiti e ai giornalisti il missionario polacco Adam Kozlowiecki al momento della nomina a cardinale nel 1998. Il padre Adam è morto il 28 settembre in Zambia all’età di 96 anni. Cinque anni passati nei campi di concentramento nazisti e poi tanti decenni in sperduti villaggi africani. Fatto cardinale da Giovanni Paolo era voluto tornare laggiù, dov’era viceparroco nella foresta a 40 chilometri dal primo posto telefonico pubblico. Di quelle parole da pesce fuor d’acqua, pronunciate al momento di indossare la porpora, mi è stata testimone diretta la collega dell’Ansa Elisa Pinna che l’aveva intervistato alla vigilia del concistoro. – Altro cardinale africano – stavolta non d’adozione ma nativo – che ha colpito tutti con il suo spirito di nascondimento è Bernardin Gantin, che dopo 25 anni passati nella Curia romana, al compimento degli 80 rinunciò senza esservi tenuto alla carica di “decano” del collegio dei cardinali (il suo posto fu preso da Ratzinger) e tornò nel suo Benin dove vive tutt’ora.  

Riprendo la mia passeggiata tra le scritte del Ponte Milvio (vedi post del 28 settembre). Sto camminando verso il Foro italico e dal parapetto di destra trascrivo un ultimo giocoso graffito: “Sei proprio la mia toporagna”. Toporagna? Mi colpisce la scelta di questo animaletto notturno dal muso aguzzo per fare le fusa ed eccomi a spulciare il notes alla ricerca dei nomignoli più insoliti già incontrati. Tegolino mio, panzerottina mia: e qui siamo nel mangereccio. Tigrotta e tigrino fanno una coppia felicemente felina. Ciccino, kikkotto, pisola (che sarà magari una che dorme deliziosamente) e pagnottella (forse una rotondetta). Morbidone + patata, patata + piccolino, riccio, coniglietto, diavoletta, micia+ patato, pikkia.

La buona frequenza di patato e patata mi ha ricordato che una volta – a Ferrara – avevo trovato un appagato “Patatonzola ti amo. by patatonzolo” (vedi post del 13 novembre 2006). E’ evidente l’indole mammona dei nostri ragazzi: una si sente chiamare “patata” dalla mamma fino ai 15 anni e quando ne ha 16 chiama “patato” il ragazzo del primo bacio.

Il nomignolo più sorprendente che ho trovato sul ponte è questo: “Non ti lascerò mai puzzona mia!” Ma per lo più si va nel risaputo: “Valentina la pecorina mia per sempre. Andrea”. Oppure il nomignolo è per se stessi, anche se il motivo della felicità è l’altra che delicatamente resta innominata: “Io morbidone sono l’uomo più felice del mondo”.

L’immagine più viva di Piero Marini, cerimoniere papale uscente: la mossa decisa con cui afferra il braccio di papa Wojtyla e lo sostiene in un momento in cui sembra cadere in avanti, nella Cappella Sistina, domenica 11 gennaio 1998. “Ci eravamo fermati subito dopo l’ingresso, aspettando che il canto d’accoglienza finisse. Mi sono accorto che vacillava e sono intervenuto”: l’uomo è sobrio e parlò così ai giornalisti. L’opera che credo resterà di questo “maestro” delle celebrazioni: le liturgie ecumeniche con cui ha aiutato i papi Giovanni Paolo e Benedetto ad avventurarsi nel campo inesplorato della preghiera tra Chiese sorelle. Bella l’apertura a sei mani della “porta santa” del Grande Giubileo a San Paolo fuori le Mura il 18 gennaio dell’anno duemila. Indimenticabili gli incontri liturgici nella Basilica vaticana e a Istanbul tra i due papi e i patriarchi di Costantinopoli.