Giacomo Jon è una delle più giovani vittime del Covid-19: il virus se lo porta via il 28 maggio 2020, a 24 anni. Da due mesi era ricoverato all’ospedale Sacco di Milano. Studente in Scienze teologiche, insegnava religione all’Istituto comprensivo della Valle Versa, in Oltrepò Pavese, ed era cerimoniere della chiesa di San Rocco di Voghera. Di carattere espansivo, molti rimpiangono il sorriso contagioso che lo caratterizzava e chi ha avuto la possibilità di un ultimo saluto in ospedale racconta che dal vetro che chiudeva la sua camera egli ha risposto appunto con un sorriso a chi lo salutava a gesti e con parole scandite per poter essere intese a distanza. Nel primo commento riporto la testimonianza di un amico che gli fu educatore in oratorio, Daniele Lottari. Nel secondo svolgo una mia argomentazione prendendo la partenza silenziosa di Giacomo a tipo e simbolo delle tante morti senza parole di questa pandemia.
Anno: <span>2021</span>
In risposta alla mia richiesta di storie di pandemia, un’insegnante di Genova, Lella Noce, ha mandato il racconto di come il Covid è entrato e uscito dalla sua famiglia, la scorsa primavera. Un racconto che aveva avuto occasione di proporre a una serata di un gruppo ecclesiale dal titolo “Covid e Fede”: “una riflessione a partire dal testo di Giovanni 11, 1-41 sulla resurrezione di Lazzaro”. Nei commenti la riporto nelle parti essenziali e ringrazio Lella per averla inviata.
Olga e Vincenzo Molino avevano festeggiato i 63 anni di matrimonio in settembre e sono morti per Covid all’Ospedale San Gerardo di Monza il pomeriggio di domenica 15 novembre a un’ora di distanza l’uno dall’altra. Avevano 83 anni lei e 82 lui. Di origine meridionale, trasferiti a Milano dopo il matrimonio, quando Vincenzo aveva trovato lavoro al Villaggio Falk. Portati al Pronto Soccorso con la stessa ambulanza, al momento di separarsi per essere ricoverati lui nel reparto maschile e lei in quello femminile, Olga aveva voluto tenere con sé la giacca del marito “per sentirlo vicino”. Nei commenti il racconto della nipote Katia raccolto il 17 novembre dall’Ansa e un altro spunto dei parenti narrato il 18 novembre dalla Gazzetta di Mantova.
Avendo letto qui nel blog che in ospedale mi è capitato di fare il “ministro straordinario dell’Eucarestia” non essendolo, Alver Metalli – un caro amico che i visitatori conoscono, mia ha narrato come sia capitato anche a lui di farsi portatore della Comunione eucaristica a una donna morente in un ospedale di Buenos Aires. Nei commenti riporto il suo trepido racconto e qui gli mando un bacio altrettanto trepido. Trepido: cioè con il batticuore.
“Buongiorno, sono Demetrio Antonello di Vicenza. Le invio la mia esperienza Covid, trovando interessante la sua iniziativa di raccogliere i vissuti, piuttosto che ascoltare in TV gli opinionisti”: parte così una risposta alla mia richiesta di storie della pandemia. Il racconto di Demetrio è gemello della mia esperienza e lo riporto nelle parti essenziali, anticipando la doppia conclusione: lode per il trattamento ricevuto in ospedale, protesta per il “fai da te” cui siamo costretti prima (dice lui) e dopo (aggiungo io) l’ospedale. Io ora sono in attesa di una chiamata per il “post Covid” che non arriva e non riesco neanche a sapere se la mia domanda è stata “processata”, come si dice dei tamponi. Nei commenti riporto il vivo racconto di Antonello che ringrazio.
Con la propria pagina Facebook e con un’intervista al “Gazzettino” di oggi, Marco Perale, 62 anni, assessore alla Cultura al comune di Belluno, in ospedale per Covid dall’inizio dell’anno, combatte due battaglie in una: perchè questa pandemia venga presa sul serio sia nelle implicazioni sociali sia nel segno di sfida e di assoluto che essa porta con sè. Nel primo commento metto il nocciolo della sua battaglia – anche politica – contro i negazionisti e per l’obbligatorietà del vaccino; nel secondo riporto le parole che mi ha mandato dall’ospedale San Martino di Belluno in risposta a una mia domanda sulla sua esperienza personale del Covid.
“Sono una giovane donna di 51 anni, residente a Merate, in provincia di Lecco. Sono sulla sedia a rotelle a causa di una malattia invalidante. Ho una sorella che ha la mia stessa malattia. E poi c’è mia mamma Enrica”: Carola Manzoni si presenta così nell’intervista che le fa Vittore De Carli nel volume “C’è una veste bianca anche per noi” (LEV 2020). La polmonite da Covid colpisce Carola nella primavera del 2020 e la sua ospedalizzazione si intreccia con quella della mamma che proprio in quei giorni viene operata “per i calcoli alle vie biliari”. Ne viene una fitta interrogazione a Dio intonata a una disarmante fiducia filiale nella sua “vicinanza” ma anche a una schiettezza femminina che porta Carola all’esclamazione con la quale ho intitolato la sua storia. Di quella interrogazione riporto qualche brano nel primo commento.
Anna Maria Mazzoleni, 68 anni, e Roberto Riva, 65, di Olginate, Lecco, gestori di una cartoleria, si sposano in comune il 21 novembre 2020 dopo che il Covid ha tenuto lui, a lungo, tra la vita e la morte: ricoverato all’ospedale di Lecco dal 16 marzo al 24 aprile, dopo due settimane con il casco Cpap è stato intubato e ha fatto dieci giorni in terapia intensiva. Un trauma che ha spazzato via le titubanze che li avevano trattenuti dalle nozze per quasi tre decenni: “Dopo quello che è successo ci sembrava giusto regolarizzare la nostra posizione”. Nei commenti le parole di Roberto e quelle di Anna Maria come le ha raccolte il “Corriere della Sera” del 24 novembre in “Vivimilano”.
Ecco un testo drammatico che un prete di Como, Alfredo Nicolardi, invia per Natale alla propria comunità dall’ospedale dov’è ricoverato per Covid: una lettera piena di domande brucianti e priva di parole consolatorie. Don Alfredo, parroco di Cadorago, Caslino al Piano e Bulgarello, 58 anni, viene ricoverato nella clinica Valduce di Como l’8 dicembre e in essa muore il 31 dicembre. Al funerale presieduto dal vescovo di Como, il 4 gennaio, nel santuario di Sant’Anna di Caslino al piano, un compagno di messa, don Carlo Puricelli, ricorda un messaggio avuto da don Alfredo nell’ultimo giorno di coscienza, prima di essere intubato, con la richiesta dei sacramenti e di potersi confessare: «Dal vetro, ma assolvetemi». Il vescovo nell’omelia riferisce un altro messaggio che don Alfredo gli aveva inviato dalla clinica: “Offro tutto per la nostra diocesi”. Nei commenti riporto la lettera di don Alfredo pubblicata dal “Notiziario” delle tre comunità: contiene le parole più preziose da me rintracciate nelle storie di pandemia delle quali sono venuto a conoscenza.
“Soltanto il nostro lato migliore ci salverà” è la conclusione della lettera che nei giorni della Pasqua 2020 Fabio Amigoni, bergamasco, scrive alla moglie Elena (56 anni) presa in una drammatica vicenda da Covid 19 che la vede ricoverata in Bergamo il 9 marzo 2020, intubata e trasferita in sonno all’ospedale Sant’Anna di Como. Il risveglio il 21 marzo e la dimissione il 24 aprile avviano un ritorno alla normalità che ha una tappa di rilievo a giugno con la ripresa da parte di Elena del lavoro di impiegata, pur in una situazione di debolezza e di non completa guarigione. Nei commenti riporto quasi integralmente la “Lettera a Elena” che Fabio intitola “Luna di miele amaro”. Il testo completo della lettera lo trovi alla pagina 185 del fascicolo del novembre 2020 del mensile parrocchiale “Comunità Redona” (Bergamo) e nel sito “Visioni del tragico”.
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