Cambiano tre parole del Padre nostro e tre del Gloria

L’assemblea della Cei ha approvato ieri la nuova traduzione del Messale che apporta un cambiamento al “Padre Nostro” e uno al “Gloria”: cambiano solo sette parole, ma è una vera novità, perché si tratta di due espressioni che fanno parte del linguaggio quotidiano. Nei commenti il dettaglio.

54 Comments

  1. Luigi Accattoli

    Non abbandonarci alla tentazione. Cambia una delle sette invocazioni del “Padre Nostro”, la sesta: “Non ci indurre in tentazione” diventa “non abbandonarci alla tentazione”. Cambia anche la seconda parte del primo versetto del Gloria: “pace in terra agli uomini di buona volontà” diventa “pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Si tratta di due cambiamenti già intervenuti nella traduzione ufficiale della Bibbia: il Padre Nostro e l’acclamazione iniziale del Gloria sono infatti nei Vangeli [in Matteo e in Luca il Padre Nostro, in Luca il Gloria] e l’edizione Cei 1974 aveva la nuova traduzione del Gloria, mentre la novità del Padre Nostro era arrivata con l’edizione del 2008.

    15 Novembre, 2018 - 19:46
  2. Luigi Accattoli

    Riconsegna del Messale. Le nuove parole non le ascolteremo subito nelle chiese, perché il nuovo Messale dovrà essere “confermato” dalla Santa Sede e poi stampato, ma è da prevedere che le ascolteremo nel corso del 2019, forse a partire dall’Avvento, che arriva in novembre. Il comunicato finale dell’assemblea dei vescovi annuncia la pubblicazione di un sussidio che dovrebbe anche aiutare i sacerdoti nella presentazione di queste e delle altre novità del Messale: “Per dare sostanza a questi temi, si è evidenziata l’opportunità di preparare una sorta di «riconsegna al popolo di Dio del Messale Romano» con un sussidio che rilanci l’impegno della pastorale liturgica. Il testo della nuova edizione sarà ora sottoposto alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza, ottenuti i quali andrà in vigore anche la nuova versione del Padre nostro («non abbandonarci alla tentazione») e dell’inizio del Gloria («pace in terra agli uomini, amati dal Signore»)”.

    https://www.chiesacattolica.it/messale-ecco-la-nuova-edizione/

    15 Novembre, 2018 - 19:46
  3. giuseppe di melchiorre

    Caro Luigi, sono contentissimo!… Lo sono perché questa versione del “Padre nostro” io la uso da anni… Anche se nel precedente post che hai lincato, scrissi che era un mio amico che lo faceva.
    Ti potrei dire anche come recito l’Ave Maria, ma mi astengo.
    Buona e serena notte a te e a tutti.

    15 Novembre, 2018 - 22:35
  4. Luigi Accattoli

    Giuseppe la mia “Ave Maria” suona così: “Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te e con il tuo sposo Giuseppe…”. Questa è una provocazione perché tu dica la tua.

    15 Novembre, 2018 - 22:42
  5. maria cristina venturi

    A quando la modifica del Credo ?

    16 Novembre, 2018 - 0:05
  6. Luigi Accattoli

    Presto, subito dopo la Brexit.

    16 Novembre, 2018 - 7:05
  7. Luigi Accattoli

    Betori 1. Sulla modifica del “Padre nostro” Avvenire il 10 dicembre 2017 aveva pubblicato un’intervista al cardinale Giuseppe Betori della quale riporto qualche passaggio: “L’inizio del lavoro risale in realtà al 1988, quando si decise di rivedere la vecchia traduzione del 1971, ripubblicata nel 1974 con alcune correzioni […]. A sovrintendere questo gruppo di lavoro c’erano naturalmente la Commissione episcopale per la liturgia e il Consiglio permanente, all’interno del quale era stato creato un comitato ristretto composto dai cardinali Biffi e Martini e dagli arcivescovi Saldarini, Magrassi e Papa. Questo Comitato ricevette e vagliò anche la proposta di una nuova traduzione del Padre Nostro e, tra le diverse soluzioni, venne adottata la formula «non abbandonarci alla tentazione», sulla quale in particolare ci fu la convergenza di Martini e Biffi, i quali come è noto non sempre si ritrovavano sulle stesse posizioni. Ora, il fatto che ambedue avessero approvato questa traduzione fu garanzia per il Consiglio permanente, e poi per tutti i vescovi, della bontà della scelta. Eravamo ormai nell’anno 2000 e io fui presente a quella seduta in quanto sottosegretario della Cei”.

    16 Novembre, 2018 - 7:22
  8. Luigi Accattoli

    Betori 2: “Non abbandonarci alla tentazione non è la traduzione più letterale, ma quella più vicina al contenuto effettivo della preghiera. In italiano, infatti, il verbo indurre non è l’equivalente del latino inducere o del greco eisferein, ma qualcosa in più. Il nostro verbo è costrittivo, mentre quelli latino e greco hanno soltanto un valore concessivo: in pratica lasciar entrare. I francesi hanno tradotto ne nous laisse pas entrer en tentation, cioè, «non lasciarci entrare in tentazione». Noi abbiamo scelto una traduzione volutamente più ampia. «Non abbandonarci alla tentazione» può significare «non abbandonarci, affinché non cadiamo nella tentazione» – dunque come i francesi «non lasciare che entriamo nella tentazione» -, ma anche «non abbandonarci alla tentazione quando già siamo nella tentazione». C’è dunque maggiore ricchezza di significato perché chiediamo a Dio che resti al nostro fianco e ci preservi sia quando stiamo per entrare in tentazione, sia quando vi siamo già dentro”.

    16 Novembre, 2018 - 7:26
  9. picchio

    in francia è stato fatto durante l’avvento 2017
    cristina viquery

    16 Novembre, 2018 - 7:32
  10. Luigi Accattoli

    Da Girolamo e Ambrogio a Biffi e Martini. Sulla traduzione di quel versetto del “Padre nostro” c’è una disputa antica, che ha accompagnato l’intera storia cristiana. La versione più letterale “non indurci in tentazione” – che infine fu adottata da Girolamo nella sua traduzione dell’intera Scrittura, detta Vulgata, che è divenuta normativa nei secoli – non era condivisa per esempio da altri Padri latini, che pur parlavano il greco e che dunque avevano una perfetta comprensione filologica dell’originale greco. Tra loro figurano Cipriano di Cartagine e Ambrogio di Milano. Ambrogio nel “De Sacramentis”, Liber V, Caput IV, paragrafi 29 e 30, traduceva: “Et ne patiaris induci nos in tentationem” [“E non permettere che siamo indotti in tentazione”]. Cipriano nel “De Dominica Oratione” [La preghiera del Signore] al Caput XXV: “ET NE NOS PATIARIS INDUCI IN TENTATIONEM” [Non sopportare che noi siamo indotti in tentazione].

    16 Novembre, 2018 - 7:43
  11. Leopoldo Calò

    Penso che delle parole non conti solo il significato ma anche il suono. La vecchia versione è molto più bella della nuova.

    16 Novembre, 2018 - 8:02
  12. maria cristina venturi

    In Francia e’stato fatto nel 2017.
    ACH, vi hanno.battuto sui tempi! Ci battono i francesi anche sulle chiese vuote di fedeli e vendute come discoteche e ristoranti.
    Ma non disperiamo, avanti cosi e li raggiungeremo la nuova traduzione del Pater risuonera nel “vuoto di fedeli
    aggiungendo al vuoto degli spazi il.vuoto delle teste.
    Mozzate come nel.nuovo altare di Gallarate.

    16 Novembre, 2018 - 8:25
  13. giuseppe di melchiorre

    Caro e stimato Luigi, la mia “Ave Maria” è il risultato delle mie ricerche mariologiche, specialmente del verbo greco “Kekaritomene” che è il participio passato del verbo “karitòo” e che invece è stato tradotto con l’aggettivo “piena” e che ha altre accezioni molto belle che io utilizzo. Allora, questa è la mia “Ave Maria”:
    “Ave, Maria, colmata di grazia, prediletta da Dio, bellissima, il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne e benedetto è il frutto dell’utero tuo, Gesù, fratello nostro. Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, prega per noi peccatori….”, ecc.
    Spero di non scandalizzare nessuno. Buona giornata a te e a tutti…

    16 Novembre, 2018 - 8:57
  14. Bene “colmata di grazia” . Infatti gratia è un ablativo! Si potrebbe dire: “pervasa dalla grazia divina”. In quanto al Credo bisognerebbe sottolineare che “la Santa Chiesa Cattolica” significa: la Santa Chiesa universale. Penso che sia utile non tanto cambiare le traduzioni, quanto spiegare il vero significato delle frasi relativamente ai tempi in cui le formule sono nate.

    16 Novembre, 2018 - 11:08
  15. maria cristina venturi

    Assurdo appellarsi a SAnt’Ambrogio e Cipriano: non avrebbero mai approvato la traduzione, qualunque traduzione, del Pater Noster nelle lingue locali, per esempio nei dialetti barbari
    Le lorot traduzioni dal greco e dall’aramaico erano rigorosamente in LATINO, essendo il latino ecclesiatico lingua SACRA della Chiesa ne’ Ambrogio ne’ Cipriano avrebbero mai ammesso come ha fatto il CVII la traduzione della Sacra Liturgia in lingue “profane” . Come gli ebrei ortodossi non direbbero mai lo Shelà ‘Israel in inglese o francese ma solo e rigorosamente in ebraico antico, lingua sacra , e i musulmani ortodossi non pregherebbero mai Allah in portoghese., ma solo e rigorosamente in arabo, lingua sacra per loro.
    Queste operazioncine di cambiamento non derivano dal voler seguire Sant’Ambrogio che apparteneva ancora ad un epoca in cui la LIturgia era SACRA e avvolta di sacralità, ma dal “prurito di novita’” che caratterizza i cattolici modernisti per cui tutto può e deve essere cambiato, rimodernato, migliorato,.
    dopo aver abolito la lingua sacra ed universale , che per la Chiesa cattolica romana era il latino, dopo il CVII siamo nel regno, relativistico e profano delle traduzioni. ognuna delle quali provoca problemi a catena. Nessuna lingua è più SACRA,
    Sant’Ambrogio non credo sarebbe felice e chiamarlo a paladino del “non abbandonarci nella tentazione” è una operazione di disonestà intellettuale.
    L’ambrosiano “ne patiaris induci nos in tentationem ” aggiunge all’ induci il patiaris, non stravolge tutta la frase come fa “non abbandonarci ” che non traduce ne’ il greco ne’ il latino, ma è fantasiosa creatività dei novatori della CEI.
    la lingua SACRA , come la Liturgia Sacra non si può stravolgere per “il prurito di sentire novità”

    16 Novembre, 2018 - 11:09
  16. alphiton

    I barbari non parlavano dialetti. Le loro erano lingue a tutti gli effetti, di ceppo indoeuropeo come il latino, anche se appartenenti prevalentemente alla lingua germanica.
    Circa l’atto del tradurre bisognerebbe valutare non tanto la letteralita’ della traduzione, ma la sua capacità di rendere il senso del testo.
    Nessuna lingua è sacra. Gesù parlava aramaico e non latino e con tutta probabilità non conosceva nemmeno il greco, lingua in cui le sue parole sono state tramandate, ma con notevoli adattamenti. Ciò che fa sacra una parola è solo l’intenzione di chi la pronuncia: “il vostro parlare sia sì per sì e no per no; il resto viene dal maligno”. Rimpiangere ancora il latino come lingua liturgica è davvero fuori dal tempo perché sposta l’attenzione sul contenitore e non sul contenuto e sulla disposizione d’animo di chi ascolta.

    Alberto Farina

    16 Novembre, 2018 - 12:00
  17. alphiton

    Errata corrige: lingua germanica = famiglia germanica

    16 Novembre, 2018 - 12:03
  18. Guido Mocellin

    Tornando all’Ave Maria, mi piacerebbe soprattutto che la preghiera recepisse la traduzione corrente di Lc 1,42 e sostituisse “grembo” a “seno” (latino “ventris”).

    16 Novembre, 2018 - 12:39
  19. maria cristina venturi

    “All’affievolimento della capacità di comprensione della natura immutabile della Sacra Liturgia (cfr. Sacrosanctum Concilium, cap. 1) hanno contribuito non solo l’ignoranza diffusa di essa nel clero e, di conseguenza, nei fedeli; ma vi ha contributo ancor più la sperimentazione, spasmodica e continua, delle c.d. emozioni-shock, come le definisce Michel Lacroix (Il culto dell’emozione, ed. Vita e pensiero, Milano, 2002), cioè le emozioni particolarmente intense e potenti (v., p. es., la liturgia dei gruppi carismatici), che, a lungo andare, anestetizzano la nostra capacità di partecipare in maniera oggettiva, esaltando il soggettivismo e le emozioni dell’individuo.
    Per partecipare, e potremmo dire per comprendere ancor prima, in effetti, la Sacra Liturgia – dove l’attributo “sacra” indica la presenza divina – è necessario aver chiaro che il culto reso a Dio mette a tacere l’ego, al fine di raggiungere la Verità in esso racchiusa.
    Nicola Bux

    16 Novembre, 2018 - 13:26
  20. arneb

    Ma che bello! ? Scopro di non essere l’unico a personalizzare l’Ave Maria! Io mi concentro di piu sul finale”prega per noi/me/Tizio/… Peccatore/peccatori” però da meditare anche le vostre personalizzazioni. Bellissime. Silvio Lepora

    16 Novembre, 2018 - 13:29
  21. maria cristina venturi

    https://querculanus.blogspot.com/2017/12/tradurre-o-interpretare.html

    “Questa veloce carrellata di traduzioni dovrebbe dimostrare che non c’è un consenso unanime sul modo di rendere nelle lingue volgari il Ne nos inducas in tentationem. Semplificare troppo, facendo credere che si possa facilmente sostituire la versione tradizionale con una nuova che renderebbe adeguatamente il senso inteso da Gesú, significa non solo illudersi, ma anche ingannare i fedeli: non appena decisa una nuova traduzione, ci sarebbe qualche esegeta che si direbbe insoddisfatto e proporrebbe una nuova traduzione a suo parere piú fedele. Credo che tutta questa storia si basi su un equivoco di fondo, oggi molto diffuso: pensare che “tradurre” sia sinonimo di “interpretare”, mentre si tratta di due azioni complementari, ma distinte. “Tradurre” significa rendere un testo il piú fedelmente possibile in un’altra lingua. Non possiamo affidare alla traduzione un compito che non le compete. L’interpretazione di un testo spetta agli esegeti, non ai traduttori. Ora, se vogliamo un’interpretazione sicura — e anche recente — del Padre nostro, ce l’abbiamo: basta andare a leggersi il Catechismo della Chiesa Cattolica, che dedica alla preghiera del Signore la sezione seconda della parte quarta. La spiegazione della sesta domanda la troviamo ai nn. 2846-2849 (tra l’altro, vi si dice molto responsabilmente: «Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile»). Una volta che abbiamo capito il senso di quella invocazione, che bisogno c’è di cambiare traduzione? Ancora una volta, mi pare di essere tornato alle discussioni, puramente verbali, che erano tanto di moda negli anni Settanta-Ottanta.”

    Padre Scalese

    16 Novembre, 2018 - 13:32
  22. Beppe Zezza

    Della traduzione di “non inducere” abbiamo già lungamente discusso.
    Della opportunità di cambiare traduzione per il “bene” del,popolo di Dio anche.
    A me pare verissimo quello che dice Betori : l’italiano “indurre” ha qualcosa di più del latino “inducere” ma è altrettanto vero che “abbandonare” ha qualcosa di meno e di diverso da “inducere” . A me non piace ma lo reciterò a Messa come la Chiesa vuole.E
    Il “contenuto” che personalmente darò alle parole che pronuncerò sarà quello di sempre.
    Bellissima mi pare la versione dell’Ave Maria di giuseppe di melchiorre. Naturalmente mi guarderei bene però dal promuovere un cambiamento nell’insegnamento della preghiera alle nuove generazioni.

    16 Novembre, 2018 - 15:06
  23. maria cristina venturi

    Anche io penso che ognuno quando prega nella propria cameretta o nell’ intimo la Madonna con l’ Ave Maria
    , possa benissimo cambiare parole per adattarle al suo “ moto dell’ animo”, ma se recita il Rosario insieme ad altri deve dire le parole che dicono tutti. fa benissimo Giuseppe Di Melchiorre a dire l’ Ave Maria come piu’ gli piace nella preghiera privata, ma se recita l’ Ave Maria con altre persone non puo’ certo imporre a tutti la sua personale versione di questa preghiera.
    un conto e’ La preghiera individuale un conto e’ Il MESSALE cioe’ la preghiera Liturgica comunitaria.
    In questo caso ci si deve rendere conto che esiste una oggettivita’ nelle preghiere che trascende l’ IO individuale. Esiste una dimensione comunitaria in cui tutti recitano la stessa formula e non parole diverse a seconda della “ sensibilita” individuale .
    Quando le Liturgia era in latino non c’ era problema , oggi con le traduzioni , non esiste piu’ Una tradizione .
    La CEI ha cambiato il MESSALE e questa e’ una cosa molto molto grave. Costituisce un precedente pericoloso. Non c’ e’ due senza tre, dopo il Gloria e il Pater magari cambieranno la traduzione del Sanctus o dell’ Agnus Dei . Naturalmente di “ autorita” senza neppur tenere conto dei fedeli, perche’ mai come oggi le cose nella Chiesa sono cosi’ Imposte dall’ alto, dal puro arbitrio di chi ricopre posti di potere.
    L’ unica alternativa e’ come disse Verdi : torniamo all’ Antico e sara’ un progresso.
    Torniamo a recitare il Pater e l’ Ave in LATINO come hanno fatto per millenni santi e gente semplice, i nostri nonni, le nostre nonne, tutta la grande tradizione cattolica,

    16 Novembre, 2018 - 17:05
  24. alphiton

    “La tradizione ha bisogno di traduzione vere – inevitabilmente rischiose: non può vivere di calchi impossibili e autoreferenziali di una lingua che non è più alla base della esperienza dei popoli cristiani”

    Cito da Andrea Grillo, teologo e liturgista

    Alberto Farina

    16 Novembre, 2018 - 18:10
  25. giuseppe di melchiorre

    Maria Cristina Venturi, dove ha letto lei che io voglio imporre il mio modo di recitare l’Ave Maria? Quello che mi consola è la certezza che Miryàm è sicuramente più comprensiva anche davanti a certe traduzioni. Le parole sono senz’altro importanti, ma più importante è il modo in cui ci si rapporta con chi si prega. Lei lo sa cosa significa il verbo latino “ind?co, ind?cis, induxi, inductum, ind?c?re”? Significa “Introdurre, condurre dentro”. Secondo lei, Dio vuole condurla dentro la tentazione?
    Come giustamente ha scritto Alphiton, alias Alberto Farina, Gesù parlava in aramaico e non in greco. Solo che i Vangeli furono scritti in greco, o in aramaico e tradotti in greco, perché il greco in quei tempi era l’inglese di oggi.
    Lei interviene sempre “ex cathedra” in questo blog, ma temo che in linguistica non sia bravissima. Forse non sa, per esempio, che vive in una città la cui etimologia ha radici barbare. Milano, infatti, deriva dalla lingua dei Celti e significa “terra fertile” (celtico “med” = “fertile”; “land” o “lan” = “terra”).
    Potrei dire altro, ma mi fermo qui. Saluti!
    Approfitto dell’occasione per ringraziare Beppe Zezza che ha apprezzato la “mia” Ave Maria. Caro Beppe, siamo figli della stessa Madre, vero? Perciò un fraterno abbraccio.

    16 Novembre, 2018 - 18:56
  26. picchio

    Torniamo a recitare il Pater e l’ Ave in LATINO come hanno fatto per millenni santi e gente semplice, i nostri nonni, le nostre nonne, tutta la grande tradizione cattolica,

    ma per carità…ho vissuto nella Chiesa in qui tutto era in latino e non era l’età dell’ oro che immagina la MCV.
    cristina vicquery

    16 Novembre, 2018 - 19:10
  27. Beppe Zezza

    Una curiosità. Sto dando lezioni di italiano a due novizie. Poiché non sono un insegnante professionista ho adottato come metodo di prendere un testo conosciuto e approfittarne parola per parola per spiegare la grammatica e il vocabolario. L’altro giorno ho preso come testo l’avemaria. Quando ho dato la traduzione letterale di frutto del tuo seno con Fruit of Your Breast si sono fatte una risata .

    16 Novembre, 2018 - 19:57
  28. Beppe Zezza

    non sono d’accordo con Giuseppe di Melchiorre quando dice, come cosa manifestamente impossibile : “secondo lei Dio vuole condurla dentro la tentazione”.
    Gesu’ fu “condotto” dallo Spirito nel deserto PER essere tentato!!!
    Dunque anche lo Spirito = Dio può condurre dentro la tentazione.

    16 Novembre, 2018 - 20:03
  29. Beppe Zezza

    Penso che lo scandalo che si ha di fronte a questa affermazione sia legato al pensiero che non sia possibile resistere alla tentazione e quindi “indurre in tentazione” venga inteso come se fosse “indurre al peccato” e questo certamente Dio non lo fa!

    16 Novembre, 2018 - 20:06
  30. Questa la lettera che mio fratello ha inviato a un settimanale cattolico locale. Mi sembra bella e la condivido:
    mi lascia perplesso la decisione di modificare il testo italiano del “Padre Nostro”. Se ci si mette su questa strada, prima o poi qualcuno scoprirà che non è scientificamente esatto dire che il Padre “è nei cieli”, che l’espressione “sia santificato il Tuo Nome” non è comprensibile a chi parla il linguaggio corrente contemporaneo, e così via. Dove si arriverà? D’altra parte “non ci indurre in tentazione” è la traduzione letterale del latino “et ne nos inducas in tentationem”. Il testo latino è di San Girolamo, mica uno sprovveduto. In particolare il verbo italiano “indurre” ha lo stesso significato del latino “inducere” e questo a sua volta corrisponde perfettamente all’originale in lingua greca “eisférein” (portare dentro, portare verso). Ha sbagliato l’Evangelista, dunque? Niente affatto. Se c’è qualche cosa di sbagliato è nella traduzione italiana, ed è la parola “tentazione”. E’ questa infatti la parola che corrisponde come suono al latino “tentatio”, ma noi ci sentiamo oggi un significato diverso che non corrisponde a quello originario. In quel contesto infatti “tentare” sta per “mettere alla prova” (vedi anche il biblico “non tenterai il Signore” da tradurre “non sfiderai il Signore”). Quindi una traduzione rispettosa del significato originario, e nello stesso tempo comprensibile ai contemporanei sarebbe “non sottometterci alla prova”. Invece “non abbandonarci alla tentazione” introduce un altro soggetto (il terzo, dunque, fra il Padre e l’orante) e cioè il Tentatore, il Maligno, che nel testo originale non c’è (c’è invece nella frase successiva “sed libera nos a Malo”, ma nella traduzione italiana è andato perduto). Conclusione: queste innovazioni dovrebbero essere fatte con estrema prudenza, nel dubbio astenersi e in caso di malcomprensione rimediare piuttosto con la catechesi.

    16 Novembre, 2018 - 20:14
  31. Comunque, nella nostra tradizione, si è passati dall’ebraico, al greco, al latino. Niente vieta ora di passare alle lingue moderne. In quanto a san Girolamo, aveva ritradotto i salmi dall’ebraico in forma filologicamente corretta, ma la sua nuova traduzione non fu accettata dai fedeli, molto attaccati alle traduzioni precedenti, forse non corrette, ma entrate profondamente nell’uso! Famoso il caso del salmo 41 (42), assai conosciuto per la “cerva che anela ai corsi d’acqua”. Ma, a quel che pare, il testo originale ebraico non parla affatto della cerva,

    16 Novembre, 2018 - 20:24
  32. Clodine-Claudia Leo

    Riguardo ai dialetti, i barbari non li parlavano di certo. I dialetti emersero dopo la caduta dell’Impero Romano avvenuta il 476 dopo Cristo. Di la in poi cominciano a confondersi le lingue e ad apparire il volgare con i rispettivi dialetti idiomatici, non prima, in cui vigeva una vera e propria globalizzazione dovuta all’espansione di Roma: super-potenza egemone il cui controllo sui territori era totale. Uno degli aspetti unificatori e forse il più importante era proprio la lingua ufficiale praticata da tutti i popoli: il latino. Affiancato dal greco:lingua ufficiale di tutti i popoli dell’Impero e tale restò per la Chiesa d’occidente a partire dagli albori. Le fonti raccontano di una ineliminabile rispondenza tra forma lessicale dei concetti e relativi contenuti che non possono essere “costretti” dentro un diverso “contenitore” senza essere deformati. Per questo è la lingua ufficiale della Chiesa, e lo è a livello ecclesiale e del diritto da sempre.

    Tutta questa necessità dei Padri Gesuiti di andare a correggere Gesù Cristo,di andare a mettere i puntini sulle “i” alla Parola di Dio francamente non la comprendo: “e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male” , forse che il Figlio unigenito non è stato tentato dal nemico che infierì pesantemente? E se è stato tentato Lui. Quanto quanto più noi. Quando mai il nemico ha voluto la santità di un’anima, piuttosto la dannazione! Passi del Vangelo raccontano la drammatica situazione che viviamo noi, povere anime bersagliate costantemente -“poi viene il diavolo e porta via la Parola dai loro cuori” parabola del Seminatore- “Allora va -il diavolo-prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima” Luca 11,15-26″-

    Dio tenta? Non lo so? Voi che dite: Dio Tenta? Chi siamo noi per dire cosa deve o non deve fare Dio. Sappiamo che permette che lo siamo, tentati, altrimenti come può saggiare la fede. Penso ad Abramo tentato nell’omicidio del suo Figlio Isacco, a Giobbe,a Giacobbe, a davide, a Salomone. La Bibbia è piena di esempi di tentazioni terribili. Tentazione permesse e concesse della cui piena consapevolezza, nella fede, siamo coscienti, nessuno è incosciente dinnanzi alla tentazione, e scegliamo scientemente.Sono le malattie spirituali che impediscono questo discernimento, altrimenti niente sarà lecito al Maligno, se non gliene vien data la facoltà.

    16 Novembre, 2018 - 20:29
  33. Clodine-Claudia Leo

    Vorrei rammentare, a coloro che parlano di “calchi impossibili”, che se malauguratamente la Chiesa abbandonasse il Latino, lingua madre adottata in tutti i principali documenti magisteriali, e con un “voilà,les jeux sont faits” si dilettasse a modificarne i testi, la scelta non sarebbe solo linguistica, ma ecclesiologica, e molto pericolosa: si potrebbe incorrere in una sorta di abiura all’unità, costituente fondamentale (credo Ecclesiam, unam sanctam catholicam), a favore di una visione particolaristica, quasi che la Cattolica fosse una… “federazione” di Chiese locali. Non è del resto un caso che gli indifferenti o gli ostili al Latino ecclesiale siano stati, perlopiù, fautori dell’indebolimento del primato petrino e della radicalizzazione della collegialità episcopale così è stato, ad esempio, all’epoca della Riforma protestante, e il riferimento, in questo caso, non è del tutto casuale…

    16 Novembre, 2018 - 20:58
  34. Traduzione del Salmo 41 (42) vella Vulgata attribuita a San Girolamo secondo la versione greca dei 70:
    “Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum
    ita desiderat anima mea ad te Deus
    sitivit anima mea ad Deum fortem
    quando veniam et parebo ante faciem Dei.

    Versione secondo il testo ebraico:
    Sicut areola praeparata ad inrigationes aquarum
    sic anima mea praeparata est ad te Deus
    sitivit anima mea Deum fortem viventem
    quando veniam et parebo ante faciem tuam.

    Nova Vulgata:
    2 Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum,
    ita desiderat anima mea ad te, Deus.
    3 Sitivit anima mea ad Deum, Deum vivum;
    quando veniam et apparebo ante faciem Dei?

    16 Novembre, 2018 - 22:16
  35. alphiton

    Vedo un enorme confusione fra il latino come lingua ufficiale della Chiesa cattolica romana e la lingua usata nella liturgia che, evidentemente, è altra cosa. La decisione di usare le lingue vernacole nella liturgia nasceva dall’esigenza di favorire la partecipazione attiva dei fedeli. Se tutti conoscessero l’ebraico, il greco e il latino, non ci sarebbe bisogno di nessuna traduzione, ma, essendo ciò del tutto irrealizzabile per evidenti motivi, questa operazione è indispensabile. Da insegnante di latino e greco sono contento che venga usato l’italiano perché è la lingua che Gesù avrebbe parlato se Dio avesse deciso di incarnarsi ora in Italia. Mi pare che alcuni siano passati dal latino del culto, oramai superato per decisione della Chiesa, al culto del latino, visto come nostalgico feticcio da cui non ci si vuole staccare.

    Alberto Farina

    16 Novembre, 2018 - 22:21
  36. Traduzione ufficiale odierna:
    [2] Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
    così l’anima mia anela a te, o Dio.

    [3] L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
    quando verrò e vedrò il volto di Dio?

    16 Novembre, 2018 - 22:27
  37. giuseppe di melchiorre

    Si vede che chi conosce le lingue ha un modo di pensare e ragionare più appropriato. Perciò complimenti davvero ALPHITON!!!! C’è del greco in questa parola, vero?… Latino e greco sono genitori del nostro italiano…
    Complimenti Alberto!!!

    17 Novembre, 2018 - 8:45
  38. Leopoldo Calò

    Dio ci farebbe nascere, ci butterebbe in questa valle di lacrime e di dolore, ci sbatterebbe all’inferno – per altro conoscendo la nostra sorte fin dall’inizio, essendo come è noto onnisciente – è vi state a preoccupare del fatto che non potrebbe essere lui, anzi Lui ad indurci in tentazione? Ma per favore.

    17 Novembre, 2018 - 9:08
  39. alphiton

    Ringrazio Di Melchiorre per i complimenti che mi ha fatto, ma li ritengo financo eccessivi, perché le mie considerazioni sono frutto più che altro di buon senso. Quel buon senso che è diventato merce rara, specialmente quando si è accecati da vuoti pregiudizi…
    Quanto al nomignolo alphiton, sì, è una parola del greco antico che vuol dire “farina”… un innocente gioco di parole.

    Un caro saluto a tutti

    Alberto Farina

    17 Novembre, 2018 - 11:47
  40. maria cristina venturi

    Visto che la disapprovazione di Alphiton verso chi ritiene il latino ancora la “ lingua universale” è sacra della Chiesa e’ evidentemente rivolta anche a me, posso solo riferire la mia esperienza: vado alla Santa Messa Vetus Ordo in rito ambrosiano a Milano alla Chiesa di Santa Maria alla Scala. Le Messa e’ in Latino, i foglietti sono con il testo a fronte per cui chiunque sappia leggere pu9’ seguire le parole e il loro significato. La Messa e’ cantata in gregoriano e con anche inni e cantici che tutti piu’ 9 meno sanno anche il latino. Quasi tutti i partecipanti cantano questi inni, dal Salve Regina al veni Creator senza problemi. Anche il testo degl8 inni si puo’ seguire sul foglietto con accanto la traduzione. Vorrei che Alberto Farina prima di tranciare giudizi venisse a vedere una volta a Milano chi sono questi “ biechi” cultura del latino: vedrebbe molti giovani, studenti un8versitari, famiglie, molte famiglie di filippini, molti stranieri che non sapendo l’ italiano almeno nel Latino si ritrovano , certo anche anziani che non hann9 dimenticato le liturgi3 della loro giovinezza.
    Caro Alberto Farina se il Papa Benedetto XVI ha promulgato il Summorum Pontificum una ragione c’ e’ : la ricchezza del Vetus Ordo non puo’ andare persa,
    A chi da’ fastidio che alcune persone amin9 l’ antica Liturgia? In una Chiesa che permette tutto, anche le feste di Halloween in Chiesa, i banchetti sopra le reliquie dei Santi, le continue buffonate ed abusi che si vedono nelle parrocchie, perche’ ve la prendete cosi’ a male se qualcuno canta ancora il Vexilla regia o il Pange Lingua?
    Sembra veramente un odio diabolico….

    17 Novembre, 2018 - 14:37
  41. alphiton

    Io a Messa ci vado nella mia parrocchia, dove ho rcevuto i sacramenti, dove ho salutato i miei genitori per l’ultima volta, dove incontro persone a cui voglio bene e mi sono amiche. Tutto questo per me vale molto di più del latino. Gli abusi non c’entrano niente: lei fa sempre di ogni erba un fascio e questo non è corretto. Per il resto faccia quello che vuole. A me non interessa.

    Alberto Farina

    17 Novembre, 2018 - 17:15
  42. maria cristina venturi

    Non e’solo una questione di latino ma una questione di sacralita’ e spiritualita della Liturgia. Se gia’il.Cardinal Martini,non certo un tradizionalista, ben prima del Motu Proprio di Benedetto XVI, volle espressamente che fosse celebrata almeno in qualche.chiesa milanese una Messa secondo il Vetus Ordo ambrosiano era per preservare e tramandare alle generazioni successove la grande ricchezza di canti , di antifone.del rito ambrosiano. Rispetto per la tradizione e per la Liturgia che hanno anche.gli Ortodossi, iCopti, la chiesa cattolico-siriana , quella irachena ecc.
    Domani prima domenica d avvento ambrosiano ci sono due perle dell’antico canto ambrosiano ,l’Antifona di
    ingresso Ad te levavi e il cantoalla comunione “Sicut fulgur” che paragona l’avvento di Cristo a un lampo che brilla da Oriente fino all’Occidente
    Non c’e’bisogno di essere professori di latinoper gustare questa bellezza, anzi le persone semplici.e incolte la gustano ancora di piu .E’una bellezza spirituale che eleva.l’anima a Dio.

    17 Novembre, 2018 - 19:10
  43. Clodine-Claudia Leo

    Mi genufletto dinnanzi a due latinisti !
    Tuttavia, essendo sensibile ad ogni argomento riguardante Liturgia e Riti, fondamentali per dare culto a Dio Padre, al Figlio e allo Spirito Santo per la santificazione dei fedeli. Senza fare analisi che porterebbero alle calende greche, approfondii l’argomento e, personalmente non mi trovo allineata con i commenti del Maestro Giuseppe Di Melchiorre e del Prof.Alberto Farina.

    Ebbi l’onore, la fortuna anche, di seguire seminari presieduti dal Salesiano, nonché carissimo amico di vecchia data, Don Roberto Spadaro, primo Segretario della Pontificia Academia Latinitatis. Ma ancor più interessante su questo versante furono le catechesi, presso l’Istituto Cattolico Santa Maria in Viale Manzoni qui nella Urbe, di Padre Gabriele Amorth, noto esorcista deceduto nel 2016. Dagli appunti che mi sono andata a rileggere si parlò di questo argomento e del perché tutte le preghiere di esorcismo siano formulate rigorosamente in un Latino conciso, autoritario,diretto, verificabile, privo di verbosità o ridondanze. Non tanto, e non solo, perché -sosteneva il Padre esorcista- pregare Dio e proclamarlo in lingua latina fa infuriare Satana, ma perché l’abbondanza di concetti, rintracciabili nell’odierna teologia , tende a rendere inefficace il rituale a motivo del conflitto interpretativo.

    Tant’è , che dopo annose peripezie che videro Paolo VI esortare la commissione Liturgica Italiana affinché i testi fossero tradotti con assoluto rigore, con perfezione assoluta,in fedeltà al testo originale. Purtroppo, come spesso accade e malgrado la Congregazione per la dottrina della Fede, il 25 Gennaio 1974 avvertiva che “il significato da dare ad esse,le traduzioni, secondo la mente della Chiesa siano quelle dell’originale Latino”, di fatto, non solo non di rado offendono la purezza della lingua italiana, ma spesso ottundono eperfino tradiscono il richiamato senso all’originale.
    Così “Revelare” diventa “condurre alla visione”, “sanctam concedere laetitiam” si risolve con “dar unba rinnovata gioia pasquale”, “gratia” viene sostituito da un generico “amore”. La domunentazione sarebbe vastissima.

    Ma il più significativo tradimento, per me, è quel “TRadere” che già nell’originale greco, specie nella forma passiva o riflessiva significa “essere sacrificato”, o “darsi in sacrificio” : ” in qua nocte tradebatur ” di 1Cr 11,23 e della prece Eucaristica n.III, che non doveva affatto tradursi in “La notte in cui fu tradito”, ma “La notte in cui si sacrificò, si consegnò alla morte, o fu sacrificato” , si scelse, perché così fu deciso senza non poca vergogna : “la notte in cui fu tradito”.

    Stupendo: per il bene delle anime, un errore madornale non “albo” ma “nigro vel rubro signandus lapillo”.

    17 Novembre, 2018 - 21:50
  44. giuseppe di melchiorre

    @ Clodine-Claudia Leo
    Ciao, Clodine. Io non mi ritengo assolutamente un maestro in niente. Tu invece ti esprimi quasi sempre come tale. Fatti tuoi!…
    Quando intervengo nel blog dell’ospitale Luigi, esprimo solo delle opinioni personali. Però sto molto attento al modo di esprimermi e non mi arrabbio se altri non condividono le mie opinioni. Questo perché il modo dell’espressione è la spia della sostanza di una persona. L’ho appena scritto e lo ripeto che sono un cultore del dubbio. A me piace cercare perché quando trovo mi fa più piacere. Comunque “in qua nocte tradebatur” non si traduce “La notte in cui fu tradito”, ma “nella notte in cui era tradito”. No problem!…
    Buona notte. Dormies aequan?miter!…

    17 Novembre, 2018 - 22:46
  45. giuseppe di melchiorre

    Scusa, Clodine. Era “dormies aequanimiter” = “dormi serenamente”, come senz’altro hai dormito… Buona domenica!…

    18 Novembre, 2018 - 8:45
  46. Leopoldo Calò

    Io penso che il problema non stia solo in una maggiore o minore fedeltà al testo tradotto. La modifica al Padre Nostro nasce dall’esigenza, credo, di fugare ogni dubbio sull’amore di Dio per l’uomo. Per voi che credete è una questione di traduzione, per chi non crede e si pone il problema dell’esistenza di Dio, è una questione che riguarda la natura stessa del Soprannaturale. E se Dio fosse altro che amore infinito? Già porre la domanda in modo così semplificato mi pare ingenuo, ma questo è lo spazio.

    18 Novembre, 2018 - 10:01
  47. Clodine-Claudia Leo

    Caro Giuseppe, ho dormito bene. Certo.
    Se ti ho chiamato maestro non fu per irriverenza! In quanto maestro di una corale -così mi sembrò di aver capito in un tuo passato intervento- credo tu lo sia realmente. Come non fu per impertinenza aver detto di Alberto Farina che è un Professore di Greco e Latino: egli lo dice ed io gli credo. A motivo di ciò, mi pongo in umile ascolto, umilissimo ascolto, malgrado e nonostante la divergenza di vedute che ci divide apertamente. Nessuna ironia, né maldestra intensione, neppure di sottofondo. Non è nel mio stile.

    Dici di essere in ricerca? Anch’io lo sono, come tutti. Ma se per me la ricerca della Verità si ferma dinnanzi al Crocifisso, non giudico chi continua a girare dubbioso attorno a quel dito per indagare se toccò o non toccò il corpo di Cristo. Ritengo che la fede abbia una sua razionalità e, per quanto mi riguarda, non v’è nebbia che possa offuscare la trascendenza della Verità. Ho totale fiducia nella Divina Provvidenza che mai forza il chiavistello del “vero”, ma ne rispetta la natura. Penso che la fede, anche la più semplice ed ingenua abbia una sua ragion d’essere e sia sempre grammaticalmente corretta, nello studioso, nel grande teologo, come nella persona comune e semplice.

    Buona Domenica in attesa del Cristo Re

    18 Novembre, 2018 - 11:29
  48. alphiton

    Amo il latino, però…
    di Carlo Maria Martini

    Avendo raggiunto il traguardo degli ottant’anni, posso dire di avere vissuto per almeno trentacinque anni l’antica liturgia, quella in uso prima del Concilio Vaticano II, tutta rigorosamente in latino, con i suoi cinquantadue brani di Vangelo domenicali che si ripetevano ogni anno, dando occasione a una predica per lo più non molto diversa da quella dell’anno precedente.
    L’antico rito è stato quindi quello della mia Prima Comunione, delle incipienti esperienze di chierichetto, dei contatti con la Parola di Dio offerta dalla liturgia. È stato il rito della mia ordinazione sacerdotale, delle mie Messe, dei sacramenti ricevuti. È nel quadro di questo rito che è iniziato e si è sviluppato quel contatto col divino che porta a riconoscere in Colui che chiamiamo Dio il mistero ineffabile e indisponibile, quello che ci sovrasta da ogni parte, ci avvolge, ci penetra, ci vivifica e ci fa presentire una santa vicinanza.
    Anche il latino non mi ha mai fatto problema. Da bambini, soprattutto nelle risposte della Messa e in quei canti che tutta la gente conosceva, lo storpiavamo con naturalezza e con disinvoltura (come ricordava in uno scritto dell’epoca monsignor Francesco Olgiati, uno dei fondatori della Università Cattolica del Sacro Cuore, citando la storpiatura di un conosciutissimo canto che diceva Procedenti ab utroque compar sit laudatio così: «Accidenti come trotta il caval del sor Laudazio»).
    Ma ben presto cominciai a imparare questa lingua e a scoprire con gioia i significati reconditi di quanto cantavamo con fervore: perché ce la mettevamo tutta e l’entusiasmo e la gioia non mancavano! L’insieme di tali celebrazioni aveva una qualità che non derivava tanto dai testi, che la gente non capiva, ma dalla dedizione personale e gratuita di chi vi partecipava.
    Il latino divenne poi, nei giorni dell’adolescenza e della giovinezza, la mia lingua di studio e anche di uso quotidiano. Ancora oggi non avrei difficoltà a predicare in questa lingua. A Milano, nella Cattedrale, ero solito celebrare in latino nelle grandi festività. Perciò ho visto con rammarico il decadere del latino, anche nel mondo ecclesiastico, e i vani sforzi per farlo rivivere, tra cui quello ardente e un po’ ingenuo di Papa Giovanni, che considerava la sua enciclica Veterum Sapientia per la promozione della lingua latina nella Chiesa uno dei tre atti fondamentali del suo ministero di Papa, insieme con il Concilio Vaticano II e il Sinodo Romano.
    Avrei quindi le credenziali per approfittare del recente Motu proprio e ritornare a celebrare la Messa con l’antico rito. Ma non lo farò, e questo per tre motivi.
    Primo, perché ritengo che con il Concilio Vaticano II si sia fatto un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci con la Parola di Dio, offerta in misura molto più abbondante rispetto a prima.
    Vi saranno certamente stati alcuni abusi nell’esercizio pratico della liturgia rinnovata, ma non mi pare tanti presso di noi. Del resto, lo dirò per quelli che capiscono il latino, abusus non tollit usum. Di fatto bisogna riconoscere che per molta gente la liturgia rinnovata ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale.
    In secondo luogo non posso non risentire quel senso di chiuso, che emanava dal l’insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo ad esempio in Galati 5, 1-17. Sono assai grato al Concilio Vaticano II perché ha aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile. Certo, c’erano anche allora dei santi, e ne ho conosciuti. Ma l’insieme dell’esistenza cristiana mancava di quel piccolo granello di senapa che dà un sapore in più alla quotidianità, di cui si potrebbe fare anche a meno ma che dà più colore e vita alle cose.
    In terzo luogo, pur ammirando l’immensa benevolenza del Papa che vuole permettere a ciascuno di lodare Dio con forme antiche e nuove, ho visto come vescovo l’importanza di una comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l’adesione di tutti al mistero altissimo. E qui confido nel tradizionale buon senso della nostra gente, che comprenderà come il vescovo fa già fatica a provvedere a tutti l’Eucaristia e non può facilmente moltiplicare le celebrazioni né suscitare dal nulla ministri ordinati capaci di venire incontro a tutte le esigenze dei singoli.
    Ricavo come valido contributo del Motu proprio la disponibilità ecumenica a venire incontro a tutti, che fa ben sperare per un avvenire di dialogo tra tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero.

    Alberto Farina

    18 Novembre, 2018 - 12:08
  49. giuseppe di melchiorre

    Grazie, Clodine, per la tua attenzione… Anch’io ho FEDE in Gesù, comunque mi piace sempre cercare, per scoprire meglio LUI… Sono stato presidente di un coro polifonico (ho organizzato una cinquantina di concerti in Abruzzo), non direttore, perciò non sono maestro in niente… Però mi piace imparare… Un caro saluto a te!…
    Per Alberto Farina la stima di sempre e l’apprezzamento per l’importante citazione di Carlo Maria Martini. Cari saluti anche a te, Alberto!…

    18 Novembre, 2018 - 14:19
  50. Amigoni p. Luigi

    Rif. 17 novembre 21.50 -Latino e greco (e Martini)

    Intervengo non da esperto biblista, ma da prete che cerca di pregare la Parola di Dio e di studiarla, anche con il “poco” di latino e greco che sa.
    Il tradere della terza preghiera eucaristica usato due volte (“in qua nocte tradebatur”, “corpus meum quod pro vobis tradetur”) nell’attuale italiano della messa è tradotto bene nel primo caso (veniva consegnato = veniva tradito; essere tradito è – anche – essere consegnato o dato); non è tradotto bene nel secondo caso perchè il consegnare o dare o offrire non implica l’idea di sacrificio.
    Faccio notare che il verbo usato per “dare” è uguale in 1 Cor 11,23;
    Ef. 5, 2 e 5,25; 1 Tim 2, 6; Tito 2,14.
    Solo Efesini 5, 2 completa il “tradere semetipsum” con “oblationem et hostiam Deo”. Analogamente fa 1 Tim 2, 6. Ma non gli altri passi. Così in latino, così in greco.

    Opportuna la citazione di Martini, fin troppo benevolo verso il “vetus ordo”.

    19 Novembre, 2018 - 9:02
  51. Clodine-Claudia Leo

    Rif 19 novembre @9:02

    Da quel che so, io personalmente poco ma non l’autore del testo: L.Salleron “La sovversione della Liturgia, G.Volpe Ed.,Roma 1968, leggo che in quel -“Tradere” – il protagonista della frase è, appunto, “passivo”, cioè subisce l’azione espressa dal verbo mentre nella forma riflessiva il protagonista della frase “agisce” su di sè, cioè compie un’azione su se stesso.
    Leggo ancora, che già nell’originale greco, sulla scorta d’una vastissima documentazione classica *Tradere* in quel contesto, si presenta in forma passiva o riflessiva e significa “essere sacrificato” o “darsi in sacrificio”.
    In questa forma ritenuta più che attendibile, tanto da accendere una controversia a tutt’oggi in atto, è implicata l’idea del sacrificio. In proposito, viene citato un aneddoto in cui un rev.do Padre in sede di confronto, non sapendo come giustificare l’errore, angelicamente esclamò :” anche se letteralmente le cose stanno come dite voi, pro bono animarum abbiamo scelto “la notte in cui fu tradito”…
    “Abbiamo” scelto, appunto!

    19 Novembre, 2018 - 21:04
  52. Amigoni p. Luigi

    Rf. 21.04 di ieri – In qua nocte tradebatur

    Nella preghiera eucaristica terza (e anche in 1 Cor 11, 23) il verbo (tradebatur) non è riflessivo. Nemmeno in greco.

    20 Novembre, 2018 - 0:45
  53. giuseppe di melchiorre

    P. Amigoni, ha ragione, “tradebatur” non è riflessivo ma passivo..
    Laudetur Jesus Christus… Anche “laudetur” è passivo…

    20 Novembre, 2018 - 21:16

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