Le battute più belle delle elezioni. Fiorello: “A Torino ha vinto il Grissino” [e ancora: “A Torino i sindaci se non finiscono in ‘ino’ non li votano: Chiamparino, Fassino”]. Mentana: “La Breccia di Pisapia”. Giannelli: “Guarda la Moratti è a piedi – Forse Pisapia le ha fregato l’auto”.
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“La saggezza suggerisce comunque di impostare la propria vita come se ogni giorno potesse essere l’ultimo. Così facendo non si avranno mai delusioni e si imprimerà una spinta equilibrata alla nostra vita e al nostro legittimo desiderio di viverla appieno”: così Edoardo Boncinelli oggi a pagina 41 del Corsera, in un articolo intitolato SE UN TEST DA 500 EURO CI DICE QUANTO VIVREMO. Mi è piaciuta la conclusione tirata del genetista laico, così simile a quella dei maestri della nostra migliore tradizione.
Sono Albert Einstein (Nobel per la Fisica 1921) e Albert Schweitzer (Nobel per la pace 1952). Li qualifica così – come “i due grandi Albert del ventesimo secolo” – Alberto Guglielmi Manzoni in un libretto appena pubblicato dalla Claudiana che riproduce il loro carteggio: Pace e pericolo atomico. Le lettere tra Albert Einstein e Albert Schweitzer. Prefazione di Arrigo Levi (pp.93, 9 euro). L’uno ebreo e l’altro cristiano, l’uno scienziato e filosofo l’altro medico e teologo. Leggo e ammiro la loro capacità di intendersi sull’umano, pur in tanta lontananza culturale e geografica: quando si scambiano i primi messaggi, nel 1948, Schweitzer è nel suo ospedale di Lambaréné, in Africa e Einstein è a Princeton, negli Stati Uniti. Per invogliare alla lettura, riporto una riga di ognuno dei due sul rischio che l’umanità perda se stessa travolta dal mito della scienza che tutto può. Einstein: “L’uomo si raffredda più rapidamente del pianeta su cui vive”. Schweitzer: “In quanto superuomini, siamo diventati non uomini”.
Trovo utili – perchè rare – le parole appena dette dal papa per la Libia e la Siria. Trovo insensata la mancata attenzione internazionale alla Siria e altrettanto insensata la confusa sparatoria sulla Libia. La parola a Benedetto: Continuo a seguire con grande apprensione il drammatico conflitto armato che, in Libia, ha causato un elevato numero di vittime e di sofferenze, soprattutto fra la popolazione civile. Rinnovo un pressante appello perché la via del negoziato e del dialogo prevalga su quella della violenza, con l’aiuto degli Organismi internazionali che si stanno adoperando nella ricerca di una soluzione alla crisi. Assicuro, inoltre, la mia orante e commossa partecipazione all’impegno con cui la Chiesa locale assiste la popolazione, in particolare tramite le persone consacrate presenti negli ospedali. Nel primo commento le parole di Benedetto sulla Siria.
Per la settima volta, l’oncologa, esami alla mano, mi affronta con un certo disagio: «Deve essere operato per qualcosa di importante al pancreas. Il chirurgo è bravo. La sua equipe è di eccellenza. L’aspettiamo tra dieci giorni: il posto letto c’è!». Sono ancora malato e la bestia non guarda in faccia a nessuno (bambini, preti, madri di famiglia, giovani…), ma sembra che ce l’abbia con me. La mia vita da prete mi ha un poco addestrato a entrare nel tunnel e a vivere questa situazione, ma, quando sono aggredito dalla malattia, come tutti devo ricominciare da capo a credere (…). Mi sento “inchiodato” a una croce che non ho scelto, ma che va abbracciata con amore, perché è solo l’amore a vincere la morte, che intravedo sarcastica (…). Intuisco dentro di me che è urgente vivere da credente, come se Gesù di Nazaret, morto e risorto, fosse il Vivente, per tutti e per ciascuno. Sono parole di don Romano Martinelli, prete ambrosiano, pubblicate il giorno di Pasqua da “Milano Sette”. Ne ho parlato in Vino Nuovo e possono essere lette per intero nel portale della diocesi di Milano. Mando un bacio a don Romano di cui sono amico stretto insieme a mia moglie.
Sentimento di umanità: cioè sentire l’uomo. Esercizio utile in pace e in guerra. Se ne parlava nel post di ieri con riferimento alla caccia al rais libico.
Uccidere Gheddafi è contro il diritto internazionale, è contro la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è contro il sentimento di umanità. Io sono contrario.
Ieri ero a Bonistallo – comune di Poggio a Caiano, provincia di Prato – per un motivo che è detto in un post del 12 gennaio e così sono scampato al terremoto di Roma. Bellissimo l’incontro di Bonistallo, con tanti giovani a ricordare un amico di nome Armando Drago che lì tutti conoscono e che io avevo conosciuto da lontano e per iscritto. Il pomeriggio il parroco don Cristiano e Mauro Banchini – miei ospiti – mi avevano condotto a vedere due pievi romaniche che sono sulle colline che danno verso Vinci. Tutto bello e buono ma nulla eguaglia la fortuna di aver evitato tutti quei calcinacci.
Muore un’amica a Venezia e per la prima volta partecipo a una sepoltura nel cimitero che è sull’isola di San Michele. “San Michele in Isola” è il titolo della chiesa che fu già dei Camaldolesi e poi dei Cappuccini. Quattro figli maschi tra i venti e i trent’anni portano a spalla la mamma che tutti in vita li aveva portati sulle spalle. Dietro le quattro fidanzate. Le amiche di famiglia commentano che “almeno” quella mamma ha avuto la “consolazione” di lasciarli “che avevano tutti una compagnia”.
«Ricordo una scena che ebbi la possibilità di osservare durante un viaggio, in una nunziatura. Il Papa si aiutava già con un bastone. Lo teneva in mano. C’era uno specchio. Si ferma davanti allo specchio mentre noi l’osserviamo incuriositi e con il bastone minaccia se stesso nella sua immagine riflessa: vedi di camminare dritto»: il racconto (riportato da Avvenire del 28 aprile) è di Piero Marini, per 18 anni cerimoniere di Giovanni Paolo e di Benedetto. Mi è piaciuto e gli ho dedicato un bicchiere di Vino Nuovo.
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