Il blog di Luigi Accattoli Posts

Ho trovato questa lettera d’amore di un uomo alla sua donna – scritta nel decimo anniversario della morte di lei – sul quotidiano La Stampa di martedì 6 marzo 2007. Non tutto si capisce a una prima lettura e forse neanche a una seconda, ma si coglie l’oro di un amore intatto negli anni, anzi cresciuto – si direbbe – con i due figli Gigia e Mimì che stanno per compiere, forse, undici anni. Cristina ci viene presentata come donna credente e solidale, provvida anche verso tante “bestioline” di cui si prendeva cura. Lo sposo innamorato e di “poca fede”, come di sé dice due volte, le parla in un lessico familiare a noi oscuro ma pieno d’affetto. “Folle nella speranza” accenna anche all’attesa di un giorno “tutto nostro” che li riunirà. La lettera è preceduta dalle date del decennale “1997-2007” e da una lunga citazione – che ometto – di un testo di Edgar Lee Masters, preso da In memoria di Edith ConantAntologia di Spoon River. Segue un titolo a modo di iscrizione su lastra di marmo: Cristina Domina – in Di Felice – 6.3.97
 
Ciao Cristina, Cristina mia dolce, auguri tanti e belli che dieci fanno oggi quegli anni da quando, reduce da quelle procelle che “Generosa” la Sorte non risparmiò al tuo vivere, approdasti alla spiaggia di quei giorni di cui parlavi e dicevi, anche alla mia poca fede. Una volta tanto, un vento dolce e un mare tranquillo vennero in aiuto a te, che nata ad un mondo non facile, per reggerti scegliesti il bastone della solidarietà. E’ così amore mio che la sera, anzi la notte, nell’attesa di quella pace che non trovo, mi acquieta, mi consola, mi piace pensarti appisolata sul cuscino del male non fatto e del bene mai negato, quel cuscino che mai abbandonasti e, sono sicuro, ti sarai portata dietro. Sono anche sicuro, Cristina mia, che la sera quando il sonno ti accarezza la fronte tu mi pensi, e come sempre dirai “Notte Papi”; sono io invece che, da dieci anni orfano di un tuo segno, non posso che rivolgermi ai ricordi, e dire loro come facevo con te, “Notte Mami”.
Che brutta cosa amore mio ripeterti sempre le stesse cose, ma come forse saprai, come forse vedrai, anch’io ho il mio mare, un mare di amarezza, ed una spiaggia, dove quando mi volto indietro vedo solo le mie orme, perché mancano le tue, quelle che una volta reggevano i miei passi. Accade così che, ogni tanto, folle nelle intenzioni e nella speranza, raccolga una conchiglia, l’accosti all’orecchio, e cauto nel respiro ascolti e attenda, perché forse chissà…che dal vento, dalle onde, dai cieli, dal tuo amore, non mi giunga quel sussurro di te che mi doni forza e certezza, in attesa di quel giorno tutto nostro che finalmente ci riunirà. Queste cose Cristina ti ho detto, perché anche l’eco del vuoto e dell’assenza parlano, e a me non rimane che il balsamo non facile ma soccorrevole della mia voluta lontananza dalle cose di questo mondo, che onestamente non sento più mio. Recentemente un sacerdote della cultura ha scritto “…Il Destino C’E’:…  (E nei suoi morbosi Alfabeti, coppie o solitudini, tutto è già scritto)”. Purtroppo penso che sia proprio così, ora che a farmi compagnia sono i tuoi ultimi giorni, quei giorni in cui i tuoi occhi erano un abbraccio d’amore, d’amore per me, i tuoi silenzi parole d’amore, d’amore per me, e i tuoi ultimi respiri li avresti voluti padri e madri dei miei, genitori novelli e messaggeri augurali di una mia lunga vita. Dì la verità amore mio, come tuo ultimo desiderio, se ti fosse stato concesso, non avresti voluto diventare il mio secondo angelo custode, tu che credevi nel Primo? Ciao bella, anche se sono tante le cose che avrei e vorrei dirti ancora, ora devo lasciarti. Per questa prioritaria mi è andata bene, per il futuro non so cosa dirti. Baci, abbracci, coccole e fusa. Claudio, Gigia, Mimì all’alba del 3652° giorno. Torino, 6 marzo 2007
P.S. Amore, tra dieci giorni dieci, Gigia e Mimì fanno gli anni. Quel giorno, insieme a loro, in braccio a me e alla mia poca fede, ci sarà anche una tua foto, che baceremo undici volte undici, anche a nome di tutte quelle bestioline che da te furono salvate, curate, confortate e assistite fino alla fine dei loro giorni. Per loro, quel giorno, provvederò anche a “fargli la pappa bella”, perché così mi dicesti; così mi ricordasti, così mi raccomandasti a futura consegna, con la naturalezza dell’amore, ma anche con l’apprensione di una madre che vede orfani i suoi figli. Come già allora, come già oggi, come già quel giorno sarà, ad unirci, anzi a tenerci tutti stretti, sarà un nodo alla gola, un nodo che solo una tua carezza potrebbe…sciogliere, ma tu, amore nostro, potrai? Al momento riposa e sogna, sogna e riposa Cristina nostra, mamma CICCIA, nostra MAMI.

Due ragazzi si baciano allacciati all’ingresso della Metro, fermi nel fiume della gente che li sfiora. Mi fermo un attimo, felice del loro incantamento.

“Io se fossi Dio maledirei per primi i giornalisti” cantava Giorgio Gaber nel 1980. Sette secoli prima Cecco Angiolieri andava minacciando che se fosse stato Dio avrebbe spedito il mondo agl’Inferi: “Se fossi Dio mandereil in profondo”. Il padre Livio di Radio Maria si accontenta di molto meno, ma infilandosi anch’egli di slancio nella sterminata compagine di quanti mal sopportano un Dio buonista come quello che ci ritroviamo – compagine che ha il suo profeta in Giona – così esclamava ieri mattina durante la rassegna stampa: “Ah se vorrei essere Dio per un’ora sola, un’ora! Quanti calci nel sedere darei!” Riflessione di giornalista: sia Livio Fanzaga, sia Giorgio Gaber, sia Cecco Angiolieri, sia Giona il profeta cedono a quella religiosissima pulsione vendicativa nell’ora sensibile tra tutte che potremmo chiamare “lettura e commento dei fatti del giorno”.

Ecco l’ultima domanda venuta dopo quella conferenza (vedi post del 22, 24, 26, 28 marzo): come conosciamo e in che consiste la contrarietà del cardinale Bertone alle uscite del cardinale Martini? Mentre la contrarietà di don Stanislaw Dziwisz – oggi cardinale arcivescovo di Cracovia, ieri segretario di papa Wojtyla – è nota solo per vie confidenziali (a me è stata narrata da un testimone disinteressato di un suo sfogo su “quel cardinale che ha sempre qualcosa di diverso da dire”), quella del cardinale Bertone la conosciamo da un intervento all’assemblea della Cei del maggio 2006, durante il dibattito seguito alla prolusione del cardinale Ruini (egli allora era arcivescovo di Genova). C’era stato poco prima il carteggio tra il cardinale Martini e il chirurgo Marino. Bertone ebbe a rimproverare Martini per aver preso – sull’adozione degli embrioni, sulla fecondazione assistita, su aborto ed eutanasia, sulla sperimentazione applicata all’ovocita nella primissima fase della fecondazione, quando i due patrimoni cromosomici sono ancora separati… – posizioni che suonavano “diverse” da quelle comunemente tenute dal magistero della Chiesa e che potevano “creare conusione”. Martini fu difeso in assemblea dall’arcivescovo di Lanciano e Ortona Carlo Ghidelli. Nessun altro intervenne, ma molti in privato lodarono Ghidelli, come molti – anche loro riservatamente – plaudirono a Bertone. Io credo che l’opinione critica del cardinale Bertone sia condivisa dalla maggioranza dei capi-dicastero della Curia romana. Essa può essere riassunta in questa affermazione: gli interventi fuori dal coro del cardinale Martini rendono più difficile il lavoro di chi è chiamato a difendere i criteri non negoziabili. La tesi invece di chi lo difende è quest’altra: egli sollecita i confratelli vescovi a una più attenta considerazione delle difficoltà dell’uomo d’oggi di fronte alla predicazione etica della Chiesa. Bertone vorrebbe da lui un passo indietro, Ghidelli l’incoraggia a continuare con la stessa andatura, ma nessuno dubita della sua fedeltà al papa e della sua piena appartenenza all’ortodossia cattolica.

Punk sporco e pieno di ferri entra in una carrozza della Metro B a Roma, si siede e sistema sotto il sedile una cagnetta arruffata come lui. Ma la bestiola guaisce sottovoce e il punk la prende in braccio, la coccola, le parla all’orecchio come a un bimbo. La posa a terra quando l’ha consolata. La cucciola si scrolla come uscendo da una pioggia e guarda in giro padrona della Metro.

“Se non è vero che Martini critica il papa, come spiega la reprimenda che ha ricevuto dal Vaticano dopo la presa di posizione a favore dell’eutanasia pubblicata sul Sole-24 ore?”: è la quinta domanda che mi è stata fatta dopo quella conferenza (vedi post del 22, 24, 26 marzo). Non era una presa di posizione a favore dell’eutanasia e non ci fu nessuna reprimenda, è stata la risposta. In quel testo il cardinale invitava a una più attenta riflessione sul rispetto della volontà del malato, riaffermando la contrarietà cristiana all’eutanasia. Le sue riflessioni non hanno convinto il vescovo Elio Sgreccia, portavoce vaticano in materia, che gli ha rispettosamente risposto e obiettato con un articolo sul Corriere della Sera del 24 gennaio 2007 e quella è stata l’unica reazione vaticana alla sortita martiniana. La voce sulla “reprimenda” circolata nei media è risultata falsa a ogni controllo, così come sempre sono apparse vane le voci di dissapori papali verso Martini messe in giro da malintenzionati o fantasiosi nell’ultimo quarto di secolo. Contrario a Martini e vivacemente reattivo nei suoi confronti fu in passato don Stanislaw Dziwisz e oggi è il cardinale Tarcisio Bertone, ma non lo fu Giovanni Paolo e non lo è Benedetto. Furono tanti i segni di apprezzamento di Giovanni Paolo nei confronti di Martini, fino a indicare come un modello le sue lectio bibliche nel volume autobiografico Alzatevi, andiamo! (Mondadori 2004, p. 37). Quanto a Benedetto basterà ricordare la lettera di auguri per gli 80 anni e la citazione nel dialogo con i chierici del seminario romano (ambedue del 17 febbraio) venute proprio mentre più fitte erano le voci sulla reprimenda.

“E’ stato stupendo. Ringrazio Roma per averci ospitato, qui si sogna e si è felici! Il Paradiso terrestre. Kiara”: scritta tracciata con pennarello nero sul basamento dell’obelisco di piazza del Popolo.

La terza domanda dopo quella conferenza (vedi post del 24 e 22 marzo) fu: “Lei vuole scagionare il cardinale, ma non potrà negare che ha giudicato ‘inopportune’ le parole del papa sui conviventi. Ecco che lo scrive oggi (19 marzo, ndr) il quotidiano Il Giornale, in un articolo che è firmato addirittura da un vescovo, Sandro Maggiolini”. Ho risposto che era una notizia totalmente falsa: tra le parole dette dal cardinale Martini ai pellegrini ambrosiani in Terra Santa o ai giornalisti che li accompagnavano non c’è nulla di simile. Si può controllare sul sito dell’arcidiocesi di Milano, dove è possibile anche ascoltare in voce le mditazioni dei due cardinali e sulle cronache dei quotidiani che avevano laggiù degli inviati. “Ma non è possibile! Ecco qua il titolo: ‘Se Martini tifa per i Dico e scomunica Ratzinger’. Le chiedo come sia accettabile un simile falso”, protestava il mio interrogante. E io a dire che non c’è fine all’imbroglio mediatico, favorito stavolta dalla condizione di salute del vescovo Maggiolini depistato da qualche informatore male intenzionato. E protestavo il mio dispiacere, essendo io estimatore e amico sia di Maggiolini (vedi post del 5 gennaio) sia di Martini. “Ma è vero o no – saltava su un altro obiettante – che il cardinale Martini ha compiuto ‘uno strappo sui Dico’, parlando contro la nota che la Cei sta preparando? Questo lo ha scritto il Corriere della Sera tre giorni fa”. Neanche questo è vero, è stata la mia risposta, ma almeno in questo caso si tratta di una forzatura interpretativa e non di un’invenzione di parole. Conclusione: occorre verificare ogni volta le parole che vengono attribuite a Martini. Sulle convivenze la sua posizione è assolutamente rispondente a quella ufficiale e la si può controllare – sempre sul sito milanese – leggendo il discorso su “Famiglia e politica” che tenne per la vigilia della festa di Sant’Ambrogio nel dicembre del 2000: dunque in tempi non sospetti. Le battute dette ai giornalisti e quella dell’omelia di Betlemme (passo citato nel post del 24 marzo) erano riportate anche da Avvenire il giorno 16 marzo ma senza l’interpretazione forzata di Repubblica e del Corriere della Sera. Leggendo Avvenire si aveva l’impressione di ascoltare un cardinale saggio e magnanimo, leggendo i titoli degli altri due l’immagine era di un cardinale spregiudicato e provocatore. Tanto di cappello ad Avvenire.

“Sei in ogni parte di me. Ti sento scendere tra respiro e battito. Sei nell’anima e lì ti lascio per sempre”: scritto con calce bianca su un marciapiede di via Alessandro Severo, a Roma.

La seconda domanda in coda a quella conferenza (vedi post del 22 marzo) fu: “Ma non le sembra che il cardinale Martini tenda a contrapporsi al papa con le sue uscite?” Non mi pare proprio, è stata la mia risposta. Sono i media che a volte sceneggiano questo contrasto, ma una simile intenzionalità non trapela mai dalle sue parole. Egli tende con esplicita intenzione ad aggiungere una voce a quelle che si esprimono all’interno della comunità cattolica italiana. Le sue uscite dal silenzio sono rivolte all’Italia: quella in dialogo con il chirurgo Marino fu pubblicata dal settimanale l’Espresso (20 aprile 2006), la riflessione sul caso Welby apparve sul Sole-24 ore (21 gennaio 2007), le battute sulla famiglia che va “promossa più che difesa” furono rivolte a giornalisti italiani presenti alla celebrazione di Galloro per gli 80 anni (17 febbraio), quelle di Betlemme sugli insegnamenti che non dovrebbero “cadere dall’alto” sono state rivolte a un pellegrinaggio ambrosiano in Terra Santa (15 marzo). Anche nella scelta delle parole si pone volutamente come interlocutore della Cei o di altre voci che partecipano al nostro dibattito pubblico. Nel caso di Betlemme ha detto, in forma di invocazione: “Ci sia dato, anche come Chiesa italiana, di dire quello che la gente capisce: non un comando dall’alto che bisogna accettare perché è lì, viene ordinato, ma come qualcosa che ha una ragione, un senso, che dice qualcosa a qualcuno”.